lunedì 7 novembre 2016

TEMPO DI FIERA - Racconto di Giancarlo Pertici

Racconto di Giancarlo Pertici


Tempo di Fiera

È sopratutto dopo il tramonto, che la si avverte, anche in lontananza; tra il baluginare delle luci intermittenti a fendere il cielo e a violare l'oscurità; per la musica di quegli anni, ad annunciare, a metà novembre, quell'evento unico, accompagnato da un miscuglio di profumi tipici del periodo, che va dall'acre sentore di caldarroste, al penetrante profumo d'anice dei brigidini, a quello caldo dello zucchero filato e di quello fuso del croccante. Tutti assieme a rammentare, anche ai più distratti, che sul Piazzale è tempo di fiera. Piazzale che abbandona per alcuni giorni quel clima intimista, da fidanzatini, che sa assumere dopo il tramonto alla tenue luce dei distratti lampioni che sembrano destinati unicamente a rendere fruibile, anche di notte, il 'Viale delle rose'. Si riveste invece a festa, sopratutto per i più piccini, desiderosi di divertimenti nuovi, quelli decantati sulla Domenica del Corriere o visti al cinema con la Settimana Incom. Piccini, dei quali è facile avvertire la presenza per i gridolini di gioia, le risate di meraviglia che il clangore dell'autoscontro non riesce completamente a sovrastare, mentre la musica assordante sembra essere la colonna sonora di quei giorni, senza limiti e senza misura.

Ed è proprio nonno Nuti, probabilmente, a farmi fare un primo giro, a dorso di un cavallo, su quella giostra nei giorni della fiera, mentre il mondo gira attorno, accompagnato da carrozze, auto da corsa, motociclette, autopompe, locomotive. Credo di averle provate tutte in più giri, con nonno accanto a sorreggermi. Ed è anche quella sera, probabilmente, che, tra brigidini, zucchero filato e croccanti, in gara tra loro zio Magnino e nonno Nuti a rimpinzarmi, mi becco una bella indigestione per una settimana di disturbi varii, e per uscirne solo grazie alle cure attente di una mamma evidentemente risentita nei confronti del fratello e di nonno Nuti. Quell'anno la Fiera per me termina anzitempo. Nonno e zio messi da parte per alcuni giorni, per una guarigione assicurata prontamente.

Ma il senso di libertà che riesce a suscitare in me la fiera, quella volta, la prima, in compagnia di Ginina, mia cugina! Probabilmente una domenica pomeriggio. Cielo terso, sferzato da un leggero vento di tramontana, a rendere tiepido il sole di un inverno che si annuncia sempre in anticipo. L'età, quella della scuola, per me che ho appena principiato con la prima elementare, Ginina già in quarta. Eppoi la volta successiva, da solo o quasi, sospinto e frenato da tutta una serie di raccomandazioni da parte di nonna, di mamma, di zia Berta senza contare quelle di nonno Nuti, mentre mi accompagna per via, lui che si ferma alla Misericordia.

Finalmente posso salire, e da solo, sugli elicotteri che ammiro da anni, mentre girano e volteggiano in cielo, per poi perdere quota, colpiti da raffiche di mitraglia, fino a ritrovarsi a girare, abbattuti, a pelo terra. Regole, di cui non riesco da subito a capire il senso ed anche lo stesso funzionamentO, fin quando, cloche alla mano, dolcemente il mio elicottero, di un rosso vivo, inizia ad ubbidire: è la prima volta. Lo sento nel palmo della mano, la cloche che sembra accusare il movimento riflesso, in alto o in basso, di quel 'mio' elicottero che si muove a comando innalzandosi sempre più sù... per uno spettacolo, quello di una San Miniato, sconosciuta da quel punto di vista, in un insieme unico, che va dalla Piazzetta del Fondo fino al blocco delle Carceri in fondo a San Martino. Appena un attimo.. poi la mancanza improvvisa del respiro e del terreno sotto i piedi, sensazione invero già vissuta altre volte, con alla guida Ginina. Ma con la cloche in mano è altra cosa. Prevale il senso di impotenza, mentre a sirena spiegata, perdo quota, colpito inesorabilmente e mi ritrovo, a luci lampeggianti, ad annaspare a pelo terra... Lezione che imparo: non distrarsi mai, mentre, per l'ultimo che resta in aria, vincitore delle disfida, c'è in palio un giro Gratis, quello successivo. 

Stesso premio anche sulla giostra dei “calcinculo”, che qualcuno chiama più educatamente “calcinsella” anche se a me sembra più appropriato il primo, visto che Berto per spingermi in alto, nel tentativo di prendere quella specie di nastro appeso per un filo ad un palo di lato alla giostra, mentre con un piede fa leva sul seggiolino, con l'altro, per accompagnarmi con una seconda spinta, mi rifila un calcio proprio lì, all'altezza dell'osso sacro e non sempre è indolore. Giostra che non mi ha mai attratto particolarmente, fin quando non ho iniziato a capire il perché dell'interesse dei maschietti, al passaggio delle femminucce con le gonne al vento.

Poi c'è il passaggio obbligato sull'autoscontro, nel momento che resta l'unica giostra per una Fiera che a San Miniato occupa quasi tutto il mese di novembre, grazie al 'Santoni', giostraio samminiatese doc, che ogni anno fa tappa nella sua citta natale per passare un po' di tempo con familiari e amici. È sotto quella tettoia elettrificata che viene sdoganato, senza infingimenti e senza perdite di tempo, ogni novembre, quel rapporto tra maschietti e femminucce – l'età quella variabile dell'adolescenza - che, diversamente, verrebbe rimandato di giorno in giorno, in attesa... di un primo passo... dell'occasione propizia... del giorno sereno o nuvoloso, del vestito nuovo, o dell'ultimo “quarantacinquegiri” da dedicare prontamente a Lei, di passaggio davanti al Cantini, teatro di attese per noi (quasi tutti) maschi e “forche caudine” per le femmine che a capo basso, trattenendo il respiro, passano oltre mentre tendono l'orecchio a carpire ogni piccolo commento. Quasi sempre in coppia, tra amiche, sottobraccio per domandarsi a vicenda “chi l'ha detto?... si rivolgeva a me?”.

E proprio grazie a quel clima che si respira sotto quella tettoia, protetti dal frastuono dell'autoscontro e dalla musica assordante che sembra coprire anche ogni singola parola od espressione, che avviene in ciascuno una sorta di maturazione... per una crescita improvvisa ed imprevista... per il coraggio del primo passo, della prima parola spesa a proposito, quasi immunizzati da tutto quel clangore... pronti magari, senza vergogna, anche ad un passo indietro, quasi come per dire “non sono stato io... non ho detto una parola”. E quel primo passo sull'autoscontro, a destreggiarsi tra altri contendenti, fra scontri e incontri verso Lei per attirarne l'attenzione. Per uno come me, da poco sortito dal seminario e intento a riprendere una vita normale tra i miei coetanei, e con evidenti lacune a scuola da colmare, con il tempo libero veramente limitato, oserei dire nullo, quelle settimane, quelle della fiera che abbracciano tutto il mese di novembre, diventano irresistibile tentazione.

Dalla mia cameretta a ridosso di Piazza de' Polli, impossibile percepire i suoni della fiera e anche il baluginare delle luci, tutte dalla parte opposta del colle della Rocca, che invece attira a sé come mosche quelli che vivono 'di là', in centro. È come per accordo tacito che, insieme a Rosario compagno di studi, modifichiamo i nostri orari interrompendo lo studio all'imbrunire, quando il Piazzale inizia a riempirsi. In quei giorni di regola è la tramontana a regalare giornate terse di sole, ma anche freddo pungente, appena il sole scompare oltre l'orizzonte, e l'avverti già appena inizi la salita di sant'Andrea mentre ti investe sù per quella dei Frati, e dalla quale ti difendi rincattudiandoti dentro il montgomery. Freddo salutare che spinge ad affrettare il passo fin lassù, sulla piazza antistante la chiesa, dove, riparata dal massiccio del complesso monastico, sembra non arrivare. Mitigata dalla rigogliosa vegetazione che fa da cornice al Piazzale e ai suoi giardini, nell'ampio spazio del mercato e della fiera, la tramontana fa sentire appena di cosa si è rivestita, senza procurare danni o particolari disagi. È quasi una carezza quando di un balzo saltiamo su quell'innaturale scalino che separa la piattaforma dell'autoscontro dalla piazza.

Tre gli scalini, ma solo vicino alla biglietteria, e nei lati corti. Con i pochi spiccioli i tasca, siamo a fare i conti di quanti gettoni e quanti giri sarà possibile fare con lo sconto per abbonamento. Ed è proprio lì, su quella pedana, che scopri l'importanza di esserci proprio in quel momento e in quel luogo che 'dona' opportunità inimmaginabili in quanti, come me, si accontentano spesso di sguardi fugaci dall'alto di quella 'vetrina' che è la saletta giovani del 'Cantini', oramai scomparsa da decenni. 

Me ne accorgo la prima volta, con estrema concretezza, la sera che vedo sbucare da dietro il 'bastione' che sostiene da anni la terrazza pericolante, un gruppetto, nuovo o quasi, di ragazze. Quasi tutte conoscenze, almeno di vista. I nomi li ho appresi solo negli anni successivi, alcuni addirittura ora, nel momento che ne faccio memoria. E tra queste una ragazza, dai modi rudi, forse dettati dalla giovane età, dal tono particolarmente basso della voce, che sorride e ride mentre cavalca disinvolta il suo autoscontro e risponde alle compagne di scuola, il volto incorniciato da un caschetto a suggerire un'età anche inferiore, ma che risponde a tono a chi la chiama per nome e che mi turba profondamente. Nome che ora ben so e che mi suona anche bene. Mi riporta a mente un primo amore, una prima 'simpatia' non corrisposta.

Forse qualche volta i nostri sguardi si incrociano, fugacemente e incidentalmente, non certamente per sua iniziativa, a suggerirmi sopratutto indifferenza, che non mi ferisce ma che alimenta invece in me l'interesse insieme a quel turbamento che vorremmo sempre provare quando si incontra una ragazza. Quell'inverno si consuma irreparabilmente e anzitempo per un'epilogo imprevisto, quando a metà di quel mese con tutta la famiglia mi trasferisco, oramai diplomato, lontano da San Miniato.
Non l'ho più incontrata anche se ne conosco il destino. Quando passo o mi soffermo davanti a un Luna Park, o semplicemente ad un autoscontro, immancabilmente mi riaffiorano le immagini di quei giorni, della fiera della mia gioventù in San Miniato e di questa ragazza che non ho mai realmente conosciuto, e della quale Facebook continua a ricordarmi con immagini datate anni 60 e 70.






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