mercoledì 15 giugno 2016

NOI... QUELLI DELLE LUCCIOLE - RACCONTO DI GIANCARLO PERTICI

di Giancarlo Pertici


NOI... QUELLI DELLE LUCCIOLE

Noi che non avevamo la Tv in casa, noi che non avevamo il cellulare, noi che andavamo a scuola a piedi, noi che la domenica mettevamo il vestito buono... avevamo invece raggiunto una certa autonomia che in estate, a dispetto di tutto e tutti, ci consentiva di recuperare giorno per giorno il necessario per il gelato da CIONCE. Avevamo la nostra 'carta di credito', o meglio il nostro 'bancomat' che funzionava solo in estate.

Noi... 'quelli delle lucciole', da maggio in poi ogni sera liberi di catturare tutte le lucciole che volevamo, senza limiti come ci sono oggi per le chiocciole, e che la mattina ci rendevano sempre almeno 10 lire. Oggi nessuno va più a far lucciole... forse sono fuori corso legale? rendono solo lire? Potrebbe essere un motivo valido per abbandonare l'€uro.

...noi siamo come le lucciole, brilliamo nelle tenebre...
Con l'inizio del mese di maggio pare che qualcosa cambi già nell'aria, come se la primavera stesse per scoppiare all'improvviso, tutta protesa verso l'estate. E le abitudini sembrano seguire a ruota.. o, forse, anche tracciare il solco da seguire, senza tentennamenti e piacevolmente verso spazi e tempi che vanno ad aggiungersi a quelli, per noi bambini, irrinunciabili, da destinare al gioco, al gioco comunque inteso. Anche se c'è un prezzo da pagare, una sorta di biglietto di ingresso, un po' come quello che ci strappano al cinema, per un 'dopo cena' diverso, talmente stuzzicante che la prima volta si rischia di uscirne ubriachi. Almeno questa resta la sensazione che mi porto addosso e dentro, quando, mano per mano a nonno Nuti, mi ritrovo affannato e tutto sudato lungo le rampe delle scale che portano al primo piano, alla nostra prima camera. L'ora tarda, quella che ricordo come essere la prima volta, almeno nei modi quasi bruschi di nonno, il quale, posando la 'cipolla' sul comò, esclama, in un tono che non ammette repliche - "subito a letto! ...prima la preghiera a San Giuseppe... poi si spegne la luce." - E in effetti, appena sotto le lenzuola, neppure ricordo quanto di quella preghiera sia uscita dalle mie labbre, che mi ritrovo più che nel sonno, catapultato di nuovo in quel mondo notturno dal quale sono appena uscito. Ed è proprio per questa sorta di sogno, fatto per rivivere e far durare più a lungo quella realtà, che ancor oggi, a distanza di tanti anni, ne ritrovo tracce sensibili nella mia mente.

Che con maggio sia cambiato qualcosa lo si sente anche dall'atmosfera che si respira in chiesa per il 'Maggio'. Diversa da quella delle 'Novene' di Natale o del rosario nel mese di ottobre, a portone sprangato, rinserrati nei pastrani con sciarpe al collo, pezzola o velo pesante per le donne a coprire anche le spalle a mo' di scialle, mentre dense volute di vapore accompagnano il masticare di 'marie' e di 'padrenostri'... e noi immobili, quasi irrigiditi per evitare il disperdersi del calduccio dentro il pastrano, quello accumulato in casa davanti al camino. Pronti poi, alla fine, a far ritorno silenziosi ed in fretta tra le mura di casa.

Il Maggio è altra cosa. Non segna la fine della giornata, bensì l'inizio di quella parte tanto attesa che assaporiamo in piena libertà all'aperto: divertimento puro... fatica, se c'è, che riesce a lavare anche quella accumulata durante il giorno. Diversa anche la disposizione in chiesa per il Maggio. A parte io e nonno Nuti, sempre i soliti, nella prima panca. Gli altri, e sono la maggioranza, tendono a riempire le panche iniziando dal fondo di chiesa, mentre per la novena di Natale siamo soliti stringersi stretti attorno all'altare, quasi gomito a gomito. E in quello stare in fondo, quasi sull'uscio, sta tutta la voglia di uscire che non sempre riesce a contenersi, nei modi e neppure nei tempi. Qualche risatina mal repressa, lo scalpiccio tra il salire e il ridiscendere dall'inginocchiatoio, il rintocco di qualche scappellotto sonoro e - "un sta' un' po' bono" - sussurrato, ma poi neppure tanto, teso a coprire la frignata di rimando, mentre il prete di turno, il Bellaveglia, ogni tanto spazientito si volta verso il fondo a lanciare occhiate minacciose. Poi l'organo copre tutto o quasi e la funzione principia.

Ma alla benedizione finale...- "ego benedico vos, in nomine patris et filii et spiritus sancti" - sembra la partenza di una gara sui cento metri. Tutti o quasi, noi bambini, a barare sul millesimo per giungere per primi in piazza, per quel posto che ognuno ha prefigurato per quella sera, per i giochi provati, per quelli sognati, per quelli lasciati a mezzo la sera prima. All'Amen, di regola, in chiesa non c'è più nessuno, almeno di noi più piccoli. Neppure nonno Nuti tenta di trattenermi, si accontenta di seguirmi con lo sguardo per capire da che parte della piazza ritrovarmi.

Al tenue lume dei lampioni, quella piazza, quella nostra piazza davanti all'ospedale, appena uscito 'il maggio' di chiesa, si riempie, si anima. In quelle due panchine piazzate ai lati del portone dell'ospedale, ci piazziamo noi, siamo quelli di mezzo per età... si gioca a "dire, fare, baciare, lettera o testamento". Sul prato, nella penombra, è la volta dello 'sculaccione'. Sugli scalini della cisterna, qualche nonno carica la pipa e si fa qualche tirata, mentre osserva la scena dall'alto. Dalle finestre del primo piano malati e infermieri a guardare chi passa; qualcuno a pariglia o a braccetto, chi a chiacchiera, chi fa il giro della piazza, chi va e chi viene da Piazza dei Polli fino all'ospedale per più giri. All'ombra, ed è sopratutto ombra, della querce d'angolo accanto alla chiesa, si gioca sopratutto a nascondino. Sono i più grandi intenti in questo gioco, anche se non ho mai capito perché nessuno li vada a cercare. Forse sono andati anche loro a fare lucciole.

Ed è quasi sempre a fine serata, prima che scatti l'ora del rientro, che ci disperdiamo in mille rivoli a catturare quelle lucciole che ci stanno osservando nella penombra. Le vedi bene da lontano. Ma quando ti avvicini sembrano svanire, sfuggenti, sembra che vadano a rifugiarsi all'ombra dei lampioni dove non le puoi vedere. Io ho imparato un segreto. Non ricordo da chi l'ho imparato anche se mi sembra di averlo sempre saputo. Non ci vuole fretta. Delicatezza, un passo leggero in perfetto silenzio, un passo per volta teso ad individuare una lucciola alla volta, senza spaventarla. E appena a portata di mano, con le mani protese a coppa, la raccolgo sfiorandola appena, facendola posare sul palmo, ché non si spenga quel suo lumicino intermittente, per riporla in una scatola o in un vasetto di vetro. I posti migliori sono quelli negli angoli, all'ombra delle quattro querce, davanti al cancello della Ragnaia, all'imbocco di 'Sotto il Ponte', ma anche lungo le scarelle di mattoni che da vicolo Borghizzi portano a Pian delle Fornaci. È all'imboccatura di un portone buio, è dietro un angolo dove la luce dei lampioni non arriva che si raccolgono a frotte, tutte in gruppo prima del momento del rientro, il loro, come quando le rondini si raccolgono sui fili della luce per il rito della migrazione. Quello è sempre il momento migliore.

- "Ora ti bastano, è il momento di andare a letto, è già molto tardi" - Nonno è sempre convincente quando per una mano mi trascina verso casa. Nell'altra un fagottino, o caramelle o un cavalluccio. Ma non prima di aver messo al sicuro il mio tesoretto, che depongo ogni sera sopra il tavolo di cucina, sotto la campana di vetro a far compagnia alla sveglia. È li che le lucciole portano buoni frutti. Bastano sempre per il gelato, qualche volta anche di più, sopratutto se a controllare il risultato della nottata c'è già passata mamma, senza che nonno se ne sia accorto. Non mi hanno mai tradito le lucciole, mai una volta... ossia, una volta sì! Un mezzo tradimento patito da attese eccessive, quella volta che la raccolta fu talmente abbondante e in anticipo sull'ora solita che dovetti fare due viaggi da piazza a casa. Mi aspettavo un risultato eccezionale...- "anche se avessero fatto una sola moneta ciascuna..." - . Invece la mattina dopo, dopo la solita immane strage di lucciole, il trovare appena dieci lire sotto la campana ha l'amaro sapore del tradimento. Solo l'anno dopo, a scuola, forse riesco a farmene una ragione, forse, racchiusa in una parola nuova imparata a scuola: inflazione.

Da quella volta ho cessato di fidarmi ciecamente delle lucciole. Faccio affidamento sopratutto a nonno Nuti, lui non tradisce mai.

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