mercoledì 15 giugno 2016

IL SOLE OLTRE LA PAURA - RACCONTO DI GIANCARLO PERTICI

di Giancarlo Pertici


IL SOLE OLTRE LA PAURA

Quello di Carlo è un risveglio agitato, forse popolato di sogni, probabilmente, inquietanti, dei quali sopravvivono solo tracce, solo i contorni sfuggenti, non i contenuti. Ne resta solo il sapore, amaro come la sensazione di cui la lingua inaridita sembra intrisa. Carlo si fa l'idea che il sogno lo voglia introdurre, tra dubbi e timori, là dove, da alcuni giorni, la sorte lo ha destinato: a Pisa in Questura. Ambiente che gli ha sempre suscitato soggezione, e sensi ingiustificati di colpa. L'orario è oramai quello previsto per la partenza, la sua. "Devo svegliare Alessandro!" Il suo pensiero a mezza voce, mentre sente Grazia, la moglie, confabulare in camera dei figli. È il momento della sveglia. Poi, Cristiano e Tiziana a scuola. Diversi gli orari. Per Cristiano, in programma da tempo, anche la visita dal pediatra.

Ben prima delle otto già in strada, Carlo verso Pisa, Grazia verso la scuola di Cigoli. Il traffico scorrevole nonostante una pioggia battente iniziata già nel pieno della notte. Così sospinto e costretto da una folla annoiata e impaziente, composta sopratutto da magrebini, Carlo si ritrova in coda, una cartelletta in mano, con dentro i documenti necessari all'atto di affidamento di appena tre giorni avanti. In coda per regolarizzare il permesso di soggiorno di Alessandro, 13 anni da compiere, proveniente dal Marocco. Fermato per strada dai servizi sociali alcuni giorni prima, risultava entrato in Italia da oltre un anno in compagnia del padre che lo aveva lasciato di proposito a tentare la fortuna. E lui si era arrangiato vendendo di tutto per sopravvivere.

Infine il turno di Carlo e una signora gentile e disponibile a dispensare anche generosi consigli oltre ai timbri necessari. Quindi il viaggio di ritorno con tutto l'occorrente per iscriverlo, con il suo nome arabo, Abdelrasack, nello stato di famiglia. La superstrada a tratti è allagata. È dalla notte che piove e, dalle prime ore del mattino, anche con grande intensità. Le nubi che, in lontananza, sembrano interessare la zona di San Miniato e dintorni, hanno assunto un colore plumbeo per nulla rassicurante, sottolineate da scariche di fulmini dei quali si vede solo il lampo. Alessandro mostra evidenti segni di paura e Carlo tenta di rassicurarlo, mentre entrano nell'occhio del ciclone rallentando la velocità, proprio quando piombano in un'enorme pozza d'acqua che sembra esplodere sotto l'auto facendoli balzare di lato. La carreggiata è invasa da una cascata ininterrotta d'acqua che fuoriesce anche dal ciglio della strada. Alla luce artificiale dei fari l'impressione è quella di trovarsi in piena notte e non nel mezzo del giorno.

Grazia a quella stessa ora è dal pediatra con Cristiano. Visita breve e di routine a confermare la crescita regolare e l'assenza di seri problemi; occhi e orecchi in tensione verso quello che sta avvenendo fuori. Una vera tormenta d'acqua che sta martellando la zona e che le consiglia di lasciare Cristiano a casa, di risalire verso la scuola, anche se in anticipo, a riprendere Tiziana. A scuola sono già tutti in preallarme per il timore che possa esondare l'Egola. Appena uno sguardo, il suo, dal ponte verso quel corso d'acqua che non pare minaccioso anche per quanti, proprio in quel momento, allo scoccare di mezzogiorno, sciamano dalle fabbriche verso casa. Pochi istanti dopo anche Carlo passa di lì e, memore della piena vissuta sul 'Giuncheto' anni addietro, lanciato uno sguardo giù, si tranquillizza rallentando ancora la corsa, come a prendere una boccata d'ossigeno, come fosse appena uscito dallo stato di apnea. 'Tutto sotto controllo' sembra voler dire, 'Oramai a casa' mentre esce dall'abitato verso l'aperta campagna. Pochi secondi, frazioni, solo attimi... e si ritrova, subito dopo la strettoia del mulino, in località Tognetti, dove Grazia è ferma a bordo strada.

Aria smarrita la sua. Si sta chiedendo cosa fare, in cerca di una reale soluzione. Di fronte a loro quello che assomiglia a un fiume in piena, che sfocia con violenza dalla piccola vallata tra il podere di Potenza e quello del 'padovano'. Una valanga d'acqua che il modesto fosso di scolo non riesce a contenere. Straborda invadendo lo stradello laterale, tra gorghi e creste. La via principale è di fatto saltata con un balzo, superato il muricciolo di bordo strada, per rifinire nei campi sottostanti, ridotti ad un enorme lago innaturale. In lontananza si ode un rombo sordo e minaccioso che è come un brontolio che sale di tono, sotto un cielo ancora plumbeo, le nubi inaridite, svuotate oramai da ore ininterrotte di pioggia. Ha smesso di piovere.

Sono decisioni prese in fretta, quelle di Carlo e Grazia, per cercare di arrivare a casa, dove nonna Giulia è in attesa. Si avventurano, davanti Carlo, dietro Grazia, guadando quel tratto con l'acqua che sfiora gli sportelli delle auto. Carlo, mentre l'effetto onda apre un varco in quella massa d'acqua che in quel punto attraversa la strada, con un'occhiata allo specchietto, verifica soddisfatto il moto ondoso provocato, mentre le auto subiscono solo un leggero rallentamento tentennando di lato. 'Finalmente! oramai a casa' il pensiero comune di Carlo e Grazia. Pensiero che si dissolve appena dopo la prima curva, quella ad angolo sull'Egola. La vallata laterale è un immenso lago che si riversa in quella strettoia costituita dal rio di Paesante che in quel punto supera il piccolo ponticello attraversando direttamente la strada in piccoli vortici. Forse cinquanta centimetri d'acqua per meno di cento metri a separare dallo stradello di casa. La decisione condivisa, con un cenno sotteso di intesa, vede Grazia prendere in collo Tiziana mentre Carlo, mano nella mano ad Alessandro, traccia la via, i piedi ben piantati in terra, a vincere la corrente impetuosa che rende particolarmente faticoso e difficile il procedere. Non senza ansia riescono a raggiungere, l'uno stretto all'altra, la 'riva' opposta proprio dove inizia lo stretto stradello di casa. È lì che l'acqua stagna in un movimento di riflusso diretto verso quello che una volta era il corso del rio.

A casa la sorpresa, inattesa, a creare ulteriore disagio. Manca la corrente. Probabilmente un fulmine ha messo fuori uso il telefono distruggendolo, mentre l'impianto elettrico di casa sembra in cortocircuito. Isolati da tutto e da tutti. È a quell'ora che in paese i più si sono fermati o a casa o in fabbrica per il pranzo dopo aver quasi distrattamente passato oltre quel ponte che divide in due Ponte a Egola. Forse appena uno sguardo distratto, rassicurante, a verificare il livello, non certo minaccioso, dell'acqua, inconsapevoli di quanto sta avvenendo di lì a pochi chilometri, a pochi minuti di distanza dove il confluire simultaneo di più vallate sta formando, improvvisa, una muraglia d'acqua che sormonta di quasi un metro quel lago innaturale formatosi fra le colline ai lati,riconoscibili da un lato dal Castello di Cigoli e dall'altro da quello di Stibbio. Quando Carlo si affaccia dall'alto della collinetta di casa diventa spettatore unico e privilegiato di quanto sta avvenendo e di quanto sta per toccare agli ignari Pontaegolesi, quasi tutti, ma non tutti al sicuro. Una muraglia d'acqua sta procedendo a velocità costante verso il centro abitato. Solo una innaturale cresta, ancora più alta e minacciosa, tra sbuffi di schiuma, contrassegna il punto in cui scorre di regola quel Rio, che ora sembra quasi sbavare di una rabbia troppe volte repressa. È come una scia di schiuma che ne contrassegna il cammino.

Proprio accanto al ponte, in un modesto fondo il cui piazzale si affaccia sul corso dell'Egola, Mauro
da tempo tiene la sua piccola bottega di falegname, dedicandosi sopratutto a lavoretti di riparazione e riveniciatura. E tra vecchie amadie e sedie da recuperare a vita migliore anche quelle di Grazia e Carlo, affidate da tempo a lui che rimanda di mese in mese il momento opportuno. Appena l'acqua irrompe su quel ponte si apre subito un varco nel portone, trascinando fuori il contenuto, che agevolmente e ubbidiente, va a seguire la corsa di quel fiumiciattolo impazzito, senza che nessuno possa fermarlo e neppure esserne testimone. 'Ho perso tutto, anche le vostre sedie ' l'amara confessione implorata come una preghiera, quella di Mauro a Grazia, nei giorni successivi, nel momento della conta dei danni.

La 'Vacca' - è cosi che è conosciuto per soprannome uno dei più noti conciaioli di paese – ha lasciato i bottali in moto e anche l'uscio aperto, per una pausa pranzo, la sua, sempre brevissima che lo trova altrove quando l'acqua irrompe a rovesciare a terra i pianali pieni di pelle e a bloccare il giro dei bottali, ai quali compete il merito di aver salvato almeno quelle pelli custodite al suo interno. E sulla medesima piazza Bellarme ha murato, con la solita tavola, il portone di ingresso. Tavola, sempre la stessa, da tempo usata a difesa delle piene che, ogni autunno o quasi, invadono sopratutto la via di Giuncheto, ma che risulta inutile contro quella massa d'acqua che sospinge Bellarme e famiglia, impotenti, al piano di sopra.

Massa d'acqua che invade in pochi minuti case, magazzini, fabbriche, botteghe, aggirandosi tra strade, corti e piazze. La piazza della Chiesa a quell'ora non conta nessun posto auto libero. Ogni posto è occupato, come avviene quando c'è la minaccia, vicina o possibile, di una piena destinata ad invadere tutta la zona di Leporaia e a dileguarsi tra mille rivoli passando in tutta la sua lunghezza la via di sotto: Via di Giuncheto. Ma questa volta l'acqua ha altre mire, ha altre dimensioni, ha altre ambizioni e non si accontenta del solito giretto, ma con prepotenza, carico di motriglia e di olio e di carburanti, lascia il segno e colma ogni avvallamento, dal una via all'altra, da una piazza all'altra, in un paese che sembra all'improvviso come deserto. I pochi per strada si sono subito riparati in casa salendo ai piani superiori. Dai balconi e dalle finestre sguardi sgomenti a rimirare oggetti varii trasportati dall'acqua in ogni dove. Controcorrente, sulla via di Giuncheto, Daniele, forse anche un po' alticcio, sta tentanto il ritorno a casa, con il suo 'cinquantino'. Corsa che si arresta all'improvviso in un singhiozzo convulso del motore, appena il tubo di scarico tocca il pelo dell'acqua. Appena un attimo e Daniele, impotente spettatore del suo motorino trascinato via dalla corrente, fa appena in tempo ad aggrapparsi ad una cancellata mentre braccia amiche lo trascinano fin dentro il portone più vicino. Nelle scuole di campagna bambini e insegnanti restano isolati per ore, in attesa di soccorsi che arriveranno solo a sera.

Alcuni, sopratutto piccoli artigiani, si attardano in fabbrica, anche fin verso il 'tocco', mettendo in ordine per la ripresa pomeridiana del lavoro. Pausa pranzo sempre minima. Paolo, di ritorno da un cantiere, nel suo magazzino di elettricista, ripone sugli scaffali il materiale in avanzo e carica sul furgone filo e scatole da incasso. E così anche quel giorno, a caricare e scaricare, come d'abitudine, anche se con particolare fretta, per l'acqua che gli arriva alle caviglie, preso a mettere al sicuro il materiale più delicato, riponendolo negli scaffali più alti. Ma con l'acqua che arriva tutta assieme, ed occupa piazzale e magazzino salendo subito di oltre il metro, Paolo, si ritrova, uno scalino per volta, seduto in precario equilibrio in cima ad uno scaleo. Solo in tarda serata sarà soccorso da un anfibio, assieme ad altri.

In mancanza di notizie, senza corrente e col telefono fuori uso, ora che il cielo è stato spazzato via da ogni nube, Carlo e Grazia salgono fin in cima alla collina per capire cosa sta avvenendo. La campagna visibile dal paese fino da 'Canuto' è tutta una distesa uniforme di acqua. Un immenso lago artificiale dal quale emergono alcune case coloniche che paiono tante piccole isole innaturali. E un silenzio assoluto sembra accompagnare quella scena, ora che anche il corso del rio è nuovamente del tutto invisibile. Solo verso l'imbrunire si leva alto il rombo dei motori a rompere quell'innaturale silenzio e si vedono volare bassi sulla campagna quelli che, in lontananza e controluce, potrebbero sembrare dei corvi. Sono gli elicotteri di Carabinieri, Vigili del Fuoco e dell'Esercito a portare i primi soccorsi, mentre alcuni anfibi stanno facendo il giro delle case coloniche isolate.

Verso l'imbrunire l'arrivo a casa, sperato ma imprevisto, di Driss, uno dei tanti marocchini che vivono da anni in paese e nei d'intorni. Odissea la sua, di ritorno dal lavoro. "Ho lasciato la macchina sulla via per San Romano, e mi sono incamminato a piedi. Ho fatto la traversata, da un cancello al portone successivo, passando per la via principale, quella davanti la Chiesa. Dalla via vecchia non si passava, l'acqua era troppo alta, allora ho preso per la Via Nuova. L'acqua fino anche oltre la vita." Anche per lui, senza luce, impossibile fare una doccia in quelle due stanzette in una casa colonica appena fuori paese. Sul canto del fuoco ad asciugare, lui e i vestiti, in attesa della cena e, nel paiolo, sul fuoco, al posto della polenta, a cuocere il kuss kuss.

RACCONTI DA PONTE A EGOLA E DINTORNI

Ponte a Egola, alluvione anno 1977
Foto di Giancarlo Pertici

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