venerdì 4 settembre 2015

BARNAGHINO L'ULTIMO DEI BRUCCI - Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

Barnaghino, l'ultimo dei Brucci.

Un po' tutti da ragazzi abbiamo avuto un soprannome che, nei casi più fortunati, ci ha resi ben riconoscibili dagli altri e al quale siamo affettivamente legati, ma del quale, arrivando all'età adulta, abbiamo perso uso e anche memoria. Ma ci sono soprannomi e soprannomi. Quello di Barnaghino pare abbia origine medioevale, anche se non ne è rimasta traccia verificabile, se non in alcune romanze tramandate oralmente e delle quali ci è pervenuta solo l'eco. Quella di dame e damigelle disposte a spendere fior di 'Patacche d'oro' per filtri d'amore con i quali accalappiare 'Messer Barnaga Mago Ghino'. È questo il nome pervenutoci, con quello che pare un 'giro di parole', ad indicare, almeno nelle attese, un grande farfallone e non sappiamo con certezza se all'eco di queste gesta abbia attinto Musolino, quando lo scelse come soprannome per Alberto, l'ultimo dei Brucci. Musolino, che non sapeva leggere né scrivere e che aveva saputo con ironia giocare con i propri limiti, aveva dimostrato un'elevata sensibilità nell'affibbiare ai figli soprannomi destinati a soppiantare il nome di battesimo. Solo nel caso della 'Zanfera' era stato aiutato dalla natura perché Gina, la più grande delle femmine, "era veramente brutta" come ammetteva la stessa Livia, la mamma. Ma nel caso di Barnaghino, di nome Alberto e di casato Brucci, pare che la storia abbia percorso strade diverse, per dame e damigelle deluse, lungo le quali - le strade - Livia, la mamma, ha avuto fin dall'inizio un ruolo importante.

È così che Barnaghino lo si principia ad incontrare per San Miniato, appena dopo il passaggio del fronte e sopratutto a guerra finita, lungo Via Carducci dove è a bottega dal Gozzini Enzo, per imparare il mestiere di trombaio, già ben prima che inizi l'orario di lavoro. È dalla mattina presto che quella via si anima iniziando dalle prime luci del giorno. Botteghe ed officine che, dopo aver tolto gli scuri, spalancano i loro sporti, per lo più porte a vetro, per prendere luce dalla via. Due sole le vetrine vere, quella della merceria e quella della cartoleria. In estate una seggiola a bordo strada appoggiata al muro in attesa del primo cliente come fa Tocchino. La Buzza sfrutta tutto lo spazio davanti alla cisterna per allestire un banchetto con sopra un po' di tutto, stivali e scarponi appesi ad una pertica legata ai cardini del portone di legno rivestito in lamiera e bulloni. Mentre Bagnolo ha messo già fuori un banchetto con le primizie appena arrivate col barroccio dalla Borghigiana. Amato è quasi sempre l'ultimo ad arrivare e ad uscio aperto, braccia conserte, nella sua vestaglia candida, se ne sta in su l'uscio ad aspettare il primo cliente per barba o per capelli, mentre accompagna in su e giù con lo sguardo ogni sposa che passa. I ragazzi del Malvezzi e dei Gozzini, quasi ad imitare i gesti del barbiere, chiacchierano tra loro a gruppetti mentre fanno la spola dal fondo della Nunziatina fino in piazza Grifoni, attardandosi con una scusa qualsiasi dal Palandri ad inizio discesa e dalla Buzza appena dopo la chiesa.

Barnaghino è tra questi, anche se i suoi amici fanno altro, come Gino il Dainelli che da una mano nella merceria del babbo, 'ma solo per il momento' come dice lui, da quando ha riaperto appena dopo l'arrivo degli americani. Evidenti ancora i segni delle ferite subite dai tedeschi in ritirata, contrassegnati da quel palazzo diroccato di Piazza Grifoni, dal vuoto lasciato dal palazzo minato dove c'era la porta Ser Ridolfo, dalla sommità del colle orbo della sua 'Rocca'. Barnaghino, ragazzo di bottega da Enzo Gozzini, sempre in largo anticipo con l'orario di apertura dell'officina, ha solo un obiettivo in testa, ogni mattina, mentre passeggia con gli altri, gli occhi incollati sulla cima di Via Carducci, e passa in rassegna tutti quei gruppetti di studenti, sopratutto studentesse, diretti all'Istituto Magistrale: quello di vedere 'lei', la figliola del mugnaio che abita a La Serra. Non ha occhi che per lei. La cerca e la accompagna ogni mattina fino a scuola, nonostante lei si mostri sulla difensiva, forse anche a ragione, visto che Barnaghino sembra sia già 'impegnato'. La mattina 'lei', Rosanna, arriva sempre in compagnia, di Mara e di altre compagne di scuola. Anche se cerca di non dimostrare interesse per le attenzioni di Alberto, lui non si arrende e continua nel suo corteggiamento.

Ultimo di 8 figli arriva all'improvviso, non previsto, così come lo ricorda Livia la mamma. L'attesa dell'imminente licenza del figlio Gino, maresciallo di Marina di stanza a Livorno, si trasforma per Livia, col passare dei giorni, in un logorio dell'anima, quasi un chiodo fisso, alimentato sopratutto dall'ansia della ricerca delle parole giuste... ansia che invece non pare mostrare Oreste che di buon grado delega tutto a Livia: parole, momento e luogo.
E quel fatidico giorno della licenza, tenendo stretto a braccetto al centro il figlio Gino, Livia e Oreste se ne stanno andando dal Micheletti per un caffè. Quasi un rito, ad ogni licenza, quasi una passerella a mostrare orgogliosi il figlio maggiore, in divisa da marinaio, lungo quella strada dove è nato ed è vissuto prima di intraprendere la carriera militare. Percorso breve da Piazza Santa Caterina fino a Piazza de' Polli, anche a cercare di mettere insieme le parole giuste ad annunciare la novità in arrivo, fin quasi davanti all'uscio del Caffè Micheletti. Parole scarne, essenziali, quelle di Livia - 'sono incinta' - che non sembrano suscitare particolari reazioni nel figlio Gino, da poco maggiorenne, e già ben poco entusiasta quando nasce Maria Pia, neppure 2 anni. A ruota gli altri: Rodolfo di 5, Eda di 7 e Umbertina di 10, solo contando i più piccoli. Le più grandicelle Adriana e Gina, di 16 e 20 anni, già informate da Livia, a completare il gruppo dei figli. Parole quasi esplose, quelle di Livia, che si riverberano evidenti in lei, liberatasi dal peso dell'ansia e dell'attesa. Quasi a suggellare una sorte di promessa, buttata là come un semplice annuncio, questo è l'ultimo, mantenuta da Livia grazie alla 'collaborazione' di Musolino.

E sempre galeotta fu la complicità, anche se involontaria, di Livia per l'incontro della vita. Siamo negli anni del dopo guerra, nei giorni nei quali Livia si trova ricoverata in Ospedale, in una camera a pago, per operarsi di ernia. E di quei giorni la caduta di bicicletta di Rosanna, la figliola del Gennai mugnaio, casualmente incontrata a La Serra nei giorni precedenti. Caduta di bicicletta, per un taglio profondo ad un ginocchio, viene ricoverata per alcuni giorni, giusto nella camera a pago accanto a quella di Livia. Forse complici involontarie le amiche di Rosanna, sempre presenti a trovare l'amica ad ogni ora, sopratutto per crearsi l'occasione di incontrare Barnaghino. Vissuto finora all'ombra di Magnino, fratello maggiore, e forse anche oscurato dalla sua bellezza, ora si è fatto anche più bello di Magnino e di questo tante ragazze se ne sono accorte e si sono fatte improvvisamente amiche di Rosanna. Incontro che per Barnaghino e Rosanna rappresenta l'inizio di un rapporto destinato a durare.

E Barnaghino come oramai tutti lo conoscono, pare proprio figlio di Musolino per la voglia di darsi da fare, per la facilità con cui impara ogni mestiere nonostante i tempi difficili, mostrando predilezione per i lavori dei campi, senza disdegnare arti e mestieri come quando dal Bellandi impara facile a riparare le gomme per auto e moto. Da Ragazzino a lavorare nelle campagne de La Serra, e al passaggio del fronte, a fare lo scasso per la vigna alla Fattoria di Santa Chiara, pur di lavorare. Ma altro doveva essere il suo destino, anche se la passione per la terra non l'abbandonerà mai. Destino con dentro sempre lo zampino di Livia infermiera in Ospedale. Lei sempre disponibile ad aiutare, benvoluta e ricordata da tutti, come dalla mamma di Enzo Gozzini, la quale in uscita dall'Ospedale, quasi per sdebitarsi chiede... Dopo quello che hai fatto per me, cosa posso fare io per te? È così che il giovane Alberto entra dal figlio Enzo Gozzini, come ragazzo di bottega ad imparare il mestiere in quel periodo di guerra, dove tutti sembravano aver voglia di fare, nonostante il fronte vicino.

E fu così che in quegli anni nei quali gli uomini sono quasi tutti al fronte, Alberto impara il mestiere grazie agli insegnamenti di un certo De Micheli, trombaio di Firenze sfollato in quegli anni in San Miniato, che lo 'prende a ben volere' per la volontà e la capacita di apprendere, e per il quale ha da subito un salario, benché modesto. Mai saprà, neppure in vecchiaia, che quella paga settimanale era Livia che la passava a Enzo, perché fosse la paga di Barnaghino. Nonna Livia, quando me lo raccontava, si raccomandava - Non farne parola! Si arrabbierebbe anche ora che è vecchio... - credo che Barnaghino, zio Alberto per me, non ne abbia mai saputo nulla. Livia presente anche quando Alberto annuncia a Rosanna, lei figlia di mugnai che studia per diventare maestra e lui 'solo' operaio: - "Mi metto a breve per conto mio!" - Annuncio realizzato con l'aiuto di Livia che trova le prime 50 mila lire per mettersi in società con il Giunti e il Centi: la G.B.C... ma questa è un'altra storia, a strappare anche il consenso in casa Gennai.

Alberto Brucci, detto Barnaghino
Foto collezione Giancarlo Pertici

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