lunedì 29 giugno 2015

LE SARTINE DEGLI ANNI '50 - Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

LE SARTINE degli anni '50
Raccontare una vita, sopratutto di lavoro


Quando ai primi anni '50, ci si imbatte in quei teli neri usati come imballaggi e mezzi di trasporto con i quali le “sartine”, prime lavoranti a domicilio dopo le impagliatrici, trasportano a mano il lavoro fatto o da fare, fino in confezione, prevalentemente a Empoli... quel colore, il nero, me le fa sentire, le sartine, proprio “in tinta” col periodo e con l'atmosfera che siamo abituati a respirare. Richiamano alla mente le immagini stereotipate delle donne e delle vedove di guerra. Come l'immagine che mia madre ricorda di sua madre, benché in giovane età: quella di una vecchia comunque e sempre vestita a lutto. C'è sempre, in quelle famiglie numerose che hanno attraversato la guerra, un morto in famiglia e un congruo periodo di lutto da rispettare, almeno da parte delle donne di casa, anche se nulla è dovuto da parte degli uomini. La mia nonna Livia, che io ricordo sempre vestita a lutto, osserva una sola variabile nel vestire: l'abito da lavoro, rigorosamente bianco, quello di infermiera. Ma dismessa quella divisa, il vestito torna quello a lutto, con poche eccezioni. Talvolta una vestaglia a fiorellini piccoli in un campo che può essere di color nero, blu o marrone, funzionale sopratutto a nascondere macchie e sporco.
Quei teli, invece, nascondono una voglia incontenibile di cambiamento in queste giovani donne. La voglia di mettersi alle spalle le sofferenze della guerra, rimboccandosi le maniche, per costruire un mondo migliore, sopratutto per loro donne.

Ed assume talvolta l'aspetto di una fiumana, quella che quotidianamente, per mille rivoli, anche dalle campagne e dal suburbio, si “incammina” prevalentemente in prima mattinata, sacco a tracolla o sulle spalle, o anche in testa, verso la fermata del Pullman, quella più vicina, per dirigersi sopratutto verso Empoli, dove molte Confezioni sono sorte spontaneamente appena cessate le ostilità, esplodendo definitivamente dopo la proclamazione della Repubblica. Le riconosci subito, dalla dimensione “innaturale” di questi fagotti e da quel color nero, le “sartine” a percorrere il sentiero della loro quotidiana transumanza: viaggio sempre a pieno carico sia all'andata che al ritorno. Uno con i capi confezionati e pronti ad essere indossati, l'altro con pezzi tagliati a misura da assemblare, a seguire stagioni e mode.

Giovanna è una delle prime a seguire l'onda del cambiamento, per un lavoro a domicilio e per un committente, che più propriamente Giovanna è abituata a chiamare “padrone”, raggiungibile solo con la corriera della "Danti & Biagioni", per una attività che sembra non esaurirsi secondo la stagionalità, ma che cambia con il cambiare del tipo di produzione. È un cambiamento epocale per chi è abituato a lavorare in Tabaccaia ad essiccare il tabacco, o alla SAIAT a lavorare i pomodori da conserva, in fornace a servizio dell'edilizia, o nei campi delle varie fattorie o dei piccoli contadini vicini o parenti, abituati, sopratutto in inverno, a lunghi periodi di “fermo”. Non ci si può permettere in casa Parentini, in una famiglia come la sua, lei, quinta di 6 figli, di starsene in ozio senza far nulla. Ogni lavoro è buono pur di portare a casa il pane. È così in tutte le famiglie del popolo, che non hanno beni al sole e che possono contare solo sul lavoro delle proprie braccia.

Non è la sola, né la prima a fare quel percorso! Una delle figlie di Musolino, lavora già per l'Etruska di via San Martino e per l'Ammannati che ha aperto ditta al Pinocchio, sopratutto cappellini per impermeabili. C'è la Giannoni che “smacchina” le trapunte. La moglie di Pampana a cucire cappotti e montgomery. Poi ci sono quelle forestiere che hanno preso dimora in quello che, un tempo era il palazzo del Finetti, e che si sono portate, in dote, una macchina da cucire, mezzo insostituibile per lavorare. Un gruppetto di donne al Nocicchio cuce già trapunte per l'empolese. Giovanna, la sua prima macchina, una Singer Industriale a pedali se l'è comprata a rate, senza cambiali, sulla fiducia, dal Rossi, un tanto il mese. Non è la sola nelle Colline a cucire per Confezione, altre in pieno centro di San Miniato, attratte dalla comodità della “fermata” lì a due passi da casa, hanno rispolverato vecchie macchine da cucire e si sono improvvisate “sarte”, contando sull'insegnamento di mamme e zie.

Più di trenta sono quegli scalini nel palazzo del Cecchi che Giovanna si fa tante volte in un giorno; la mattina a prendere il pane dal Perondi, la sera per il latte dal Branzi in Piazza de' Polli, qualche volta, quando ci sono i soldi, per due fettine di carne, una ciascuna per le figlie, Patrizia e Barbara, la prima di 5 anni e la seconda di appena 2. Almeno una volta alla settimana. - "Due bracioline di un etto, tagliate fine" - la solita richiesta a Falasco - "Ecco!... Duecento lire!!" - carta compresa. Alla bottega di “Commestibili” si segna e si paga a fine mese. Dal Macellaio si paga subito!

E quegli scalini sembrano una montagna sia a scendere, sia a salire, quando è il momento del viaggio per Empoli, a riportare il lavoro fatto e a riprendere quello nuovo da fare. Mai un giorno fisso. Mai di giovedì, giorno di mercato. Un'arte quel fagotto, teso sopratutto a rispettare gli impermeabili ripiegati a mazzetti secondo la taglia. I quattro lembi riuniti insieme, in un unico abbraccio, facile da sciogliere all'arrivo, a lasciare anche spazio per infilarci un braccio e per issarselo a tracolla, o per infilarci il collo appoggiandoci così le braccia conserte, in atto di riposo. Queste le posture prevalenti, anche se alcune donne, contadine robuste sopratutto, se lo pongono sulla testa o anche sul groppone. Giovanna se lo pone a tracolla, se quel giorno lascia le piccole in custodia alla Zucchelli, che tiene due maschietti anche se un po' più grandicelli. Ma il più delle volte se le porta con sé a fare il viaggio sulla “Danti & Biagioni” fino a Empoli, quando il lavoro è pronto anzitempo e se nessuna delle bambine, sopratutto Barbara, è ammalata o raffreddata.

Allora le agghinda tutte e due con il vestitino “meglio” e, sandali ai piedi, inizia la discesa delle scale, con il fagotto a tracolla, Patrizia per la mano e Barbara accovacciata proprio sopra il fagotto stesso. Uno scalino alla volta fino in istrada. Poi verso il “Riposo” cercando di arrivare in anticipo sopratutto per trovare posto a sedere per le piccine. Non sempre c'è con la prima corriera, ed è per questo che spesso prende quella dopo, che parte dal “Riposo” verso le 8. Il fagotto entra solo negli ultimi posti. Spesso non bastano. Allora mentre le bambine si seggono, Giovanna se ne sta in piedi, si tiene il fagotto tra le gambe in mezzo al corridoio. Succede quasi sempre così con quella corriera. “Sartine” con figli al seguito, quelli più piccini che ancora non vanno a scuola, se non c'è stato tempo di portarli all'Asilo di San Paolo.

Arrivo in Piazza della Vittoria per un viaggio a piedi fino in Piazza dei Leoni, conosciuta anche come Piazza delle Sette Porte, nella Confezione del Borracchini, per la quale lavora già dal '54 quando era ancora ragazza; Patrizia e Barbara a trapelo, affascinate sopratutto dalle vetrine.
Succede a volte che per rispettare i termini di consegna, non è possibile raggiungere Empoli con la “Danti & Biagioni”. Allora c'è solo un modo e un mezzo: "La Lazzi". Corriera che fa più corse durante il giorno, che passa sulla Tosco Romagnola, e che è possibile raggiungere prendendo lo sdrucciolo di “Pancole”, che porta dal Ricovero fino a San Pietro alle Fonti e a La Scala. Percorso più ripido e più accidentato: identiche modalità. Patrizia per mano e, gioco forza, Barbara accovacciata sul fagotto ad aumentare il peso di zavorra del lavoro fatto. Sdrucciolo che è particolarmente animato e frequentato sopratutto il giorno di mercato, ma anche da quanti hanno bisogno di raggiungere l'Ospedale. È un percorso questo, che Giovanna, Parentini il suo casato, fa spesso, se è in ritardo con le consegne, come Patrizia, la figlia maggiore, si ricorda ancor oggi, a distanza di 50 anni.

È un percorso quello con la “Danti & Biagioni” verso Empoli, che nel '56 diventa incontro con il proprio futuro. Nel progetto iniziale di questa storia “raccontata”, c'era un colloquio, una sorta di intervista con Giovanna, la protagonista della storia. Ma non c'è stato il tempo. Ci ha lasciato il 10 marzo di questo anno. È per questo che i ricordi di cui a questo racconto sono affidati a Carlo, suo marito, e a Patrizia e a Barbara, le figlie.

Quello del percorso tra Empoli e San Miniato sulla corriera "Danti & Biagioni", è proprio un incontro casuale... Giovanna di ritorno dalla confezione di Piazza dei Leoni con il solito fagotto carico di lavoro, ... Carlo di ritorno da Firenze a seguire un Corso di qualificazione professionale. La Corriera affollata dell'ultima corsa. Lo scambio di posto offerto dal giovane Carlo e una conoscenza che non decolla subito, e neppure nei giorni successivi, per la diffidenza di Giovanna e per l'approccio un po' malaccorto di Carlo, nonostante i ripetuti tentativi nei giorni successivi, in quelle rare occasioni che il tempo e il luogo concede in quegli anni '50. Solo il caso li fa incontrare, secondo la vivida memoria di Carlo, a riportare alla mente l'evento scatenante e imprevisto: in occasione della festa del Grillo a Firenze nel giorno dell'Ascensione. Incontro casuale, lontano dai luoghi soliti, che li fa sentire improvvisamente liberi di conoscersi, trascorrendo tutto quel pomeriggio insieme, anche se in compagnia del giovane nipote di Giovanna, Roberto di 8 anni, e di una giovane amica. Poi il viaggio di ritorno tra treno e corriera, complice un imprevisto, fugace e furtivo, nonché timido bacio rubato quasi involontariamente da Carlo, a segnare l'inizio irreversibile di una storia. Storia, la loro, che sfocia nel '58 nel matrimonio e nella nascita successiva di Patrizia, e la loro prima casa in San Miniato, al terzo piano di quel palazzo in Via Paolo Maioli, mentre Carlo trova un lavoro vero: a Castelfranco, ragioniere in un Calzaturificio.

Viaggi, questi di Giovanna per lavoro, tutti con la corriera "Danti & Biagioni", che si susseguono nel corso degli anni con identiche modalità, anche col cambiare delle mode, dei tessuti, degli attrezzi da lavoro. Macchine da cucire sempre più sofisticate, da quelle a mano e poi a pedale, a quelle con tanto di motore elettrico, e tanti altri accorgimenti a rendere migliore e meno faticoso il lavoro. Immutato il tragitto, identiche le modalità di consegna nel corso degli anni, lo stesso Fagotto Nero.
Fino al '66, quando Giovanna si trasferisce a Castelfranco - già ci sono le due figlie maggiori – e cambia lavoro. Inizia un lungo periodo come sarta interna, nella Confezione Cerbiatto, fino alla nascita di Sabrina nel '72, che causa la fine questo rapporto di lavoro, ma non la voglia di lavorare di Giovanna. Di lì a poco inizia a collaborare col marito nella gestione del lavoro a domicilio, settore fondamentale in quel periodo storico per ogni calzaturificio, diversi gli anni, fino a tornare a lavorare come interna in Calzaturificio, fino al pensionamento avvenuto nel 2004, a ben 72 anni. Per il quale ottiene anche il sommo riconoscimento della Camera di Commercio di Pisa, per mano dell'allora ministro Matteoli, che le consegna in data 7 novembre 2004 un'attestato "Per la Fedeltà al lavoro e per il Progresso Economico" dovutole per la lunga attività lavorativa, durata 50 anni.

Sarebbe ben stata fiera di raccontare il suo percorso di lavoro, sempre pronta e disponibile , anche quando non ne aveva più bisogno. Testimoni di questa fierezza, di questa voglia di lavorare, mai venuta meno nonostante gli acciacchi dell'età, il marito Carlo e le figlie Patrizia e Barbara, che ne rendono testimonianza agli altri, a quanti l'hanno conosciuta, in quell'aspetto della vita di cui andava orgogliosa e di cui tutti le hanno sempre reso merito: IL LAVORO.

Giovanna Parentini
Foto collezione Fam. Pinto-Parentini


mercoledì 24 giugno 2015

IN PILLOLE [036] – LE “TERME” MEDIEVALI DI SAN MINIATO

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a cura di Francesco Fiumalbi

Anche a San Miniato, in epoca medievale, c'era un “impianto termale”. Non si trattava di una struttura intesa con l'accezione moderna, cioè utilizzata anche per scopi terapeutici e ricreativi. Era una sorta di “bagno pubblico” dove era possibile lavarsi, soprattutto durante la stagione invernale, grazie al servizio dell'acqua riscaldata artificialmente. Infatti nel territorio sanminiatese non sono presenti sorgenti naturali di acqua calda da sfruttare a tale scopo. E, per questo motivo, le “terme” così concepite venivano chiamate anche “stufe”, proprio per la presenza di un sistema di riscaldamento alimentato da combustibile fossile, generalmente carbone o legna.
Erano ambienti e servizi ad uso promiscuo (donne e uomini), molto diffusi un po' in tutte le città europee. Anche in Toscana non mancano esempi: a Firenze, vicino alla Basilica di San Lorenzo, ancora oggi c'è la cosiddetta via della Stufa, che porta nel nome la memoria dell'antico servizio, gestito dalla famiglia Lotterlighi (poi ribattezzati Lotterlinghi-Della Stufa). Lo stesso anche a Siena, con via della Stufa secca nel Terziere di Camollia, e a Lucca con via della Stufa.

Curiosa è anche la fonte documentaria che attesta la presenza di tale struttura sanminiatese. Si tratta dello “Statuto” medievale fucecchiese, tra l’altro pubblicato alcuni anni fa: Lo statuto del Comune di Fucecchio (1307-1308), a cura di Giancarlo Carmignani, Comune di Fucecchio, Stabilimento Grafico Commerciale, Firenze, 1989.
Alla Rubrica numero LIII del Libro Terzo (pagine 119-120 del libro) si legge:

LIII. De illo qui fecerit teremas in Ficecchio
Et ei, qui in castro Ficecchii fecerit teremas seu stufa – dummodo sint bone et competentes et magne, prout sunt, maiores que sunt in castro Sancti Miniatis, et dummodo caveat illas manutenere trigincta annis ad minus – cammerarius Communis solvat, de pecunia dicti Comunis, libras centum denariorum florenorum parvorum sine alio decreto consilii.

Il parole povere, il Comune di Fucecchio, attraverso il pagamento di una somma annuale piuttosto consistente, si impegnava a sostenere il servizio delle “terme” fucecchiesi, dal momento che era una attività molto ben gestita e più grande di quella che si poteva trovare nel castello di San Miniato. Da questo possiamo ricavare che la “stufa” sanminiatese fosse piuttosto modesta ed avesse una conduzione “privata”. Non si ritrova alcuna menzione negli Statuti del Comune di San Miniato dell’anno 1336-37, e quindi non doveva essere “pubblica” e nemmeno considerata di particolare interesse per la comunità, a differenza invece di quella di Fucecchio. Era comunque una struttura situata all’interno del centro abitato, non al di fuori, in castro Sancti Miniatis, altrimenti le parole utilizzate sarebbero state altre. A questo punto non rimane che chiedersi: dove si trovavano le “terme” medievali a San Miniato?

Questa dello statuto fucecchiese sembra essere l’unica attestazione ed è assolutamente generica. Certamente c’era bisogno di molta acqua e di molto combustibile. Come è noto, sul colle sanminiatese ci sono diverse fonti (Fonti alle Fate, Fonti di San Carlo e Fonti di Pancole), ma si trovano tutte al di fuori del centro abitato e nessuna di queste sembra avere la necessaria portata d’acqua e le caratteristiche architettoniche per ospitare tale attività. Non rimane che supporre un’alimentazione idrica per mezzo di cisterna e quindi verrebbe da pensare alla zona dell’attuale Piazza Buonaparte (compluvio naturale sfruttato con cisterne nel corso dei secoli) e alla zona fra l’attuale via IV Novembre e via di Borgonovo dove, ancora oggi, si ritrova via della Cisterna. In entrambi i casi, la vicinanza di vicoli e vicoletti, che mettevano in comunicazione l'abitato con le carbonarie presenti intorno a tutto il centro sanminiatese, avrebbe garantito il necessario apporto di combustibile. Si tratta tuttavia di ipotesi, dal momento che non sono disponibili ulteriori attestazioni o descrizioni utili a localizzare tale struttura.

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L'immagine di una “stufa” medievale
Immagine miniata tratta dal cosiddetto “Regime dei Corpi” di Aldobrandino da Siena (XIV secolo), in Recueil de traités de médecine et Image du monde, manoscritto n. 12323 conservato presso la Bibliothèque nationale de France, Département des manuscrits. Link alla pagina.

mercoledì 17 giugno 2015

IL "MIO" PALIO DI SAN ROCCO - Racconto di Giancarlo Pertici

di Giancarlo Pertici

Il "mio" PALIO di SAN ROCCO.

Altro spaccato della nostra storia straordinaria che ha lasciato tracce indelebili nella nostra memoria, ma anche nei luoghi, che rischia di perdersi se non diventa memoria condivisa. Solo un piccolo flash con gli occhi di un 17enne alle prese con le difficoltà della vita.

Il primo Palio da me vissuto, anche se distrattamente, è quello del '63. Da poco uscito di Seminario ed impegnato sopratutto a studiare per l'esame di ammissione alla 2° classe di Ragioneria.
Altra storia quella del '64, con una partecipazione attiva, direi quasi rabbiosa, quella mia, a tutti i giochi di quel Palio, proprio lì in Piazza de' Polli, quasi fosse una disfida all'ultimo sangue, iniziando dal primo gioco, senza risparmio. Ben visibile e tangibile, anche il giorno dopo, quel primo risultato. Un dolore lancinante all'osso sacro, dopo aver sbattuto il 'culo' sulle lastre, per aver fallito la mira e lasciato intatto il Cocomero. Questo il primo gioco in ballo. Il perché del risultato ben lo sapevo, e ben lo ricordo anche oggi a distanza di 50 anni: una cocente delusione d'amore, da sbollire e da esorcizzare al più presto.

Estate, quella del '64, impegnata sopratutto a riparare un anno scolastico disastroso, dovuto anche al cambio di scuola. Quell'anno, per l'intera estate, al mare ci va mamma che ne ha bisogno urgente, causa gravi problemi di salute, portandosi dietro mia sorella Maurizia. Destinazione Torre del Lago, casetta proprio sulla spiaggia: Bagno Bruri. Vacanza che per me è limitata alla prima settimana di Luglio, forse qualche giorno in più, e che risulta fatale. La causa? La musica di Adamo e l'incontro con Anna, 'ragazza da sogno'. Così almeno a me sembra... per un amore a prima vista, quello mio! Tanto che conservo ancora oggi nella memoria tracce di singoli episodi... sul mare, in passeggiata, in pineta, al bar, ogni dove, ovunque questa Anna, con i suoi 14 anni, avesse il permesso di uscire con me 17enne, mentre conservo memoria delle canzoni di Adamo di quel momento: inconfondibile colonna sonora di quella estate.

Estate che si allunga, ben oltre quella settimana, nelle ripetute trasferte da San Miniato fino in Garfagnana, con la complicità interessata di un amico, che condivide con me quel viaggio nell'avventura, con la sua 600 Abarth, per un'amica di Anna che ha conosciuto. Tutte le domeniche, senza tralasciarne una, fino quell'ultima, quando 'lei' che mai ha realmente risposto alle mie 'avances', mi annuncia di essersi fidanzata con un certo Giorgio, dopo che lui ha chiesto ufficialmente la sua mano. - "Si è fidanzata con un 'vecchio'... 21 anni addirittura!!" - il primo rabbioso pensiero. Con quel tipo che avevo giudicato inoffensivo e che mi ritrovavo sempre tra i piedi. - "Proprio vecchio... addirittura di capelli rossi... anche brutto!" - Constatazione che non riesce a placare la mia delusione in quel tormentato viaggio di ritorno, a tutta velocità, verso San Miniato, io deciso a dedicarmi anima e corpo allo studio, mentre l'amico/complice ritorna dalla sua lei, che mai ha smesso di aspettarlo.

Il ritorno coincide proprio con l'inizio del Palio di San Rocco, in una Piazza de' Polli tutta attrezzata. Immenso il Palco allestito nell'ultimo tratto della discesa di Santo Stefano, all'altezza della latteria del Branzi, a sfruttare pendenza e altezza, per renderlo ben visibile da ogni punto della piazza, da San Rocco al bar Micheletti e nei dintorni di Canapone. Palco da dove si annunciano i giochi, si proclamano i vincitori, e da dove si allieta la serata con espedienti di ogni tipo, orchestra compresa, il QUINTETTO GIAIO, e sotto la sapiente regia del maestro Buggiani, presentatore d'eccezione.
La sede pratica e organizzativa al Circolino, in via Paolo Maioli, davanti a casa Lotti e al Vicolo del Bellorino... per chi non fosse pratico di San Miniato anni '50 e '60. Da lì tutto parte e tutto prende forma e corpo per mano di un gruppo di volontari che riportano in vita il Palio dopo anni di oblio, dovuto non solo al passaggio della guerra. Tra questi il maestro Dilvo Lotti a riportare in vita e a suggerire usanze e tradizioni. Rino Gazzarrini, il barbiere, e Giuliano Marmugi, conosciuto da tutti per "Fischio d'Oro", instancabili promotori ed organizzatori che catalizzano anche lo sforzo e l'aiuto da tanti e tante volontarie, e la partecipazione entusiasta e attiva di giovani e ragazzi nei giochi a loro dedicati.

Ed è proprio partendo dal Circolino che la prima sera mi ritrovo tra il gruppetto che, salendo sul palco, deve affrontare una Padella nera di pece e fuliggine, appesa per un filo, con sul fondo appiccicata una moneta da 500 lire, in argento. Mani dietro la schiena ad inseguire una padella ballerina ed una moneta impossibile, almeno per me, da addentare, tra le risate, gli sghignazzi e gli sberleffi lanciati senza freni da quel gruppetto di amici, quelli che, lavorando, ora sono in ferie, ma che non se ne sono andati da qualche parte, come l'anno avanti e quello avanti ancora. Tutti insieme e, anche a turno, a tentare la sorte, con distinzione netta fra 'delusi' e 'vogliosi'. Questi ultimi certi della strategia giusta per arrivare ad arraffare le 500 lire d'argento. L'unica vera differenza tra i primi e i secondi è nel colore, variabile dal 'fuliggine' al 'cenere', quali diverse tonalità di nero, ad imbrattare in assoluta fantasia i musi di quelli 'delusi' ma sorridenti nonostante tutto. E a chiusura della serata quella rincorsa rabbiosa, quasi a voler spaccare il mondo, avventandomi convinto su quel cocomero che non fa nulla per scansarmi, ma sul quale non atterro, come sperato, troppo preso come sono a prendere velocità... troppa, tanto da andare direttamente oltre.

Che mal di culo anche il giorno dopo! Quando il gruppo si ricompatta verso sera, la Musica padrona del campo sul Palco allestito proprio sotto il terrazzino delle sorelle Giampieri, bidelle dell'Avviamento, che non si perdono una serata dalla loro postazione privilegiata. E sul palco a suonare, sotto la direzione del maestro Buggiani, il "Quintetto Gaio", giovani di sicuro avvenire, a fare da colonna sonora ai giochi abilmente presentati dal 'duo delle meraviglie': Rino il barbiere e 'Fischio d'Oro'. Successo assicurato anche quando 'Smeriglio' sale a proporre la sua versione francese dell'ultimo successo di Francoise Hardy : "Tous les garcons et les filles de mon age". Sotto lo sguardo vigile e compiaciuto di Zefferi padre, la cui presenza consiglia risate e pernacchie contenute e anche sommesse, che il gruppetto, di amici dispettosi, non lesina. Pernacchie e sberleffi, in parte coperte dalla musica del Quintetto Gaio costretto, quando a 'rincorrere', quando ad aspettare, l'esibizione di Smeriglio, conosciuto, già a quel tempo, anche come Squalo, che annuncia, a fine esibizione, addirittura il suo prossimo viaggio a Milano per un'audizione, presso una importante casa discografica. Della quale mai si saprà nulla di ufficiale e di preciso, anche se arriverà, agli orecchi di amici ben informati, che siano stati congedati, a quanto pare, con modi poco gentili.

La serata finale, intensa in tutte le sue manifestazioni, che inizia già nel pomeriggio per finire a serata inoltrata e noi ragazzi, madidi di sudore e imbrattati di tutto, a scherzare e ridere, seduti per terra, oramai 'fatti' senza possibilità di recupero, a riprendere fiato, sul muretto di cinta di Canapone, raccontandosi e rivivendo l'intera giornata, ma anche quella avanti. Non seguendo un ordine cronologico, ma a seconda di chi principia a parlare.

- "Io mi sono arreso al secondo tentativo! Se c'avessi avuto i pantaloni lunghi, forse!" - fa Franceschino di Gnoppa, uno dei più piccini. Ha tentato la sorte il pomeriggio che è stato innalzato l'Albero della Cuccagna, proprio davanti al Palco, con in cima una ruota di carro tutta addobbata di salami, salsicce, finocchione, una spalla e un prosciutto, e sacchetti a sorpresa. Anche Cione! come poteva mancare! Ha tentato la sorte, unendosi ai ragazzotti di turno e non solo quelli dello Scioa.

Vincitore assoluto un moretto di Shangai, visibilmente attratto dal prosciutto, il premio più ambito, di cui, mentre ce ne stiamo lì a bischereggiare, si sta gustando l'ennesimo panino, anche se è tardi. - "Oh che non ti aspettano a casa?" - la mia istintiva domanda a questo rabacchiotto, dall'età apparente di 12/13 anni, non di più. - "Mam..ma e babbo ssono ancora al Circolo per la chio.chio..ccio..lata!" - la risposta farfugliata tra un boccone e l'altro. È al Circolino che si gioca in bellezza la chiusura di quella giornata e dell'intero Palio di San Rocco, con una chiocciolata organizzata dalle donne. Mani abili e sapienti, quelle della Lotti, dispensiera del circolo, e di Elsa, la moglie di Gallina, non certo sole, ma aiutate da figli e amici. Solo io sono solo. Mamma al mare. Babbo che ha sempre timore di perdersi un giorno di lavoro e che non se ne prende mai uno di riposo, se non per il calcio. E tra i festeggiati anche le squadre, quasi tutti i componenti del "tiro alla fune", dei Dilaisti e dei Diquaisti. Tutto apparecchiato in giardino e sulla pista da ballo dalle mattonelle di graniglia: tavoloni su caprette, rivestiti con tovaglie d'incerato colorate. A servire anche Zia Pia, assieme a Giovanna la Moncalvini, Isola la moglie di Boghe, la Zucchelli, la moglie di Rino e Irene.

In quella serata finale più prove del TIRO ALLA FUNE, a squadre contrapposte a contendersi il primato, giusto in piazza tra Canapone e il palco, tra strattoni, capitomboli, puntate di piedi, tra il riso e il sorriso, nessun tipo di arrabbiatura, neppure a sconfitta decretata e a mani sanguinanti, col culo per terra. C'erano tutti i più grossi, qualcuno anche 'forestiero' ossia del 'suburbio' come un Taddei del Nocicchio, poi i due Bighero sia Gianfranco che suo cugino, Fiore, il Marchetti samminiatese acquisito, Edo e Paolo dei Bulleri, Cione anche se leggerino, Vittorio il Matteucci, il Bertucci, Francone, Acciuga, Gasparri il figliolo di Cionce, Giuseppe Cai, Remo, Giancarlo il figliolo del Morino. Non tutti abituati ad usare la forza, ma ugualmente vogliosi di mettersi in gioco giusto per divertirsi e far divertire. Niente di più. Divertimento garantito, neppure ricordo, e non è mai stato importante, chi abbia vinto quell'anno, anche perché il Palio si assegna con la "CORSA DEI SACCHI", quella appena conclusa, noi a riposarsi, culo per terra. Io, ginocchia sbucciate e mani e noccole spellate, a ripensare all'ultima fatica appena conclusa, in maniera ingloriosa fra gli ultimi.

Partenza da Piazzetta di Pancole appena dopo cena, alla luce fioca dei lampioni che indicano appena la direzione, ma non le buche e le zannelle, anche se aiutati dal riverbero delle luci accese in casa. I più, affacciati alle finestre o ai pochi balconi presenti per non perdersi l'ultima fatica di quel palio. Io con la mente ben altrove, quando, imprevista e improvvisa irrompe nell'aria una musica, per me ben conosciuta, a riportarmi proprio ad appena alla domenica avanti. È l'ultima canzone di Adamo, "Non voglio nascondermi", a riportarmi con prepotenza in Garfagnana. Pare sia la 'Pippotta' col suo giradischi ad aver dato il via alla serata, nel momento in cui il 'mossiere', Rino il barbiere, lancia la sfida con l'ordine: - " Uno due pronti VIAAA". - Ed io, a saltelli corti, tento d'avanzare, le caviglie bloccate in fondo al sacco, le ginocchia sollecitate ad ogni zannella, ad ogni buca o irregolarità del percorso di lastre in pietra, nella speranza di trovare il giusto ritmo, mentre mentalmente sono a ripetere melodia e ritornello... - " dei tuoi capricci sono stanco.." - quando i piedi inciampano nel sacco impigliato tra due lastre. Una ginocchiata senza il tempo di un gesto a difesa, appena davanti al palazzo del Cecchi.

È un attimo! Mi ritrovo ultimo. Senza dare ascolto al dolore, mi rituffo nella corsa.. la rabbia aiuta a tirar fuori la forza e ad inventare un precario equilibrio, quando davanti al palazzo della Briccola, dopo aver raggiunto il gruppo, le ginocchia cedono all'improvviso. Pronto dò lando al sacco e, mani avanti, atterro. Peggio di prima, con le mani sanguinanti a sorreggere il sacco per un lembo, ad inseguire il gruppetto di testa già davanti al Circolino... - "come ladri nella notte" - Dilvo non risparmia incoraggiamenti a nessuno, mentre il gruppone degli amici sono lì pronti a sfottere, anche se pronti ad aiutare in caso di bisogno, appoggiati al muro, a fare strada, ora rischiarata dalle luci della festa, che addobbano davanzali e balconi, da lì fino in Piazza de' Polli. Davanti a casa Braschi, l'ultimo atterraggio, il più inglorioso. A terra come un sacco di patate, mentre sto biascicando tra me e me .. - "come un amante rubare i baci tuoi che sono suoi" - Non ho mai ben distinto quale fosse il dolore più acuto in quel momento.

Che ci fai costì imbambolato? - È Ginina, mia cugina, che arriva in soccorso sempre al momento giusto, quello dei ricordi che stanno per sopraffarmi. Non una domanda la sua, un invito, quasi un ordine a riportarmi alla semplice quotidianità. - Hai cenato? - Una vicinanza la sua, mentre mi prende sottobraccio, a trasmettere, con un leggero e gradevole tepore epidermico, anche sicurezza. - Ora ci facciamo una bella chiocciolata! Preferisci vino o birra? - Quella sera, complice il caldo di metà agosto, sperimento una gradevole sbronza da birra, leggera, ma terapeutica.

Il gioco con il cocomero da schiacciare
Foto di Francesco Fiumalbi

domenica 14 giugno 2015

LA “MEDIEVALIZZAZIONE” DELLA TORRE DEL MIRAVALLE E DELLA PORTA TOPPARIORUM

di Francesco Fiumalbi

Uno degli aspetti più interessanti e curiosi del '900 a San Miniato è certamente quel processo di “medievalizzazione” che investì l'immagine della città. In estrema sintesi, si trattò di un movimento, dapprima culturale e pseudo-filologico, che andò formandosi negli ambienti eruditi dei primi anni '20, ed in particolare attorno alla figura del Canonico Francesco Maria Galli Angelini. Furono poi le istituzioni, municipale e diocesana, che divennero gli esecutori materiali raccogliendone l'impulso. Di cosa stiamo parlando? Delle stonacature che interessarono i principali monumenti cittadini, nel tentativo di riscoprire e ripristinare la presunta immagine originaria, medievale. E, dunque, di riverberare attraverso i caratteri architettonici, i fasti di un'epoca in cui San Miniato era stata uno dei maggiori centri toscani, dapprima con la presenza dell'amministrazione imperiale, poi con l'adesione alla Lega Guelfa e l'autonomia comunale che durò per circa ottant'anni. Da un punto di vista scientifico e storiografico oggi sarebbe un'operazione impensabile, dato il mutare della sensibilità verso le testimonianze del passato, ma tanto successe. Anche questo aspetto, d'altra parte, rientra in quell'intreccio di corsi e ricorsi storici propri di una città.

Siamo abituati a vedere la Cattedrale, il Palazzo Vescovile (lato Piazza Duomo), la Rocca, il complesso della SS. Annunziata (ex Carceri, oggi Hotel San Miniato, erroneamente chiamato S. Martino), oltre ad alcuni edifici privati, con la “caratteristica” facciata in laterizio a vista. Ebbene, questi fabbricati erano giunti agli inizi del XX secolo con una “pelle”, fatta di malta, più o meno consistente. In alcuni casi si trattava di un vero e proprio intonaco, con un certo spessore, in altri casi di una semplice e sottile sagramatura. Oggi non possiamo stabilire con certezza se tale “strato protettivo” (di questo si tratta!) fosse originario o meno, se fosse antico o applicato in un periodo successivo. Le immagini d'epoca ne mostrano, comunque, la presenza. Di questo è di altro le associazioni Architettura e Territorio "Lanfranco Benvenuti", Moti Carbonari "Ritrovare la Strada", insieme al gruppo Smartarc organizzarono, il 17 gennaio 2014, una serata dibattito dal titolo "San Miniato: la sveva città del Valdarno Inferiore. Anni '30 del '900: la ricerca dell'immagine medievale della Città'”. CLICCA QUI PER VEDERE IL VIDEO INTEGRALE.

Anche la torre annessa all'edificio che ospita l'Hotel Miravalle e la vicina Porta Toppariorum (il grande arco che separa via Augusto Conti da Piazza del Seminario), furono interessate da questo processo. Entrambe le strutture erano giunte agli inizi del '900 rivestite da uno strato di malta, il cui stato manutentivo doveva lasciare piuttosto a desiderare. Qua e là riaffioravano i laterizi della muratura, specialmente nelle porzioni più esposte agli agenti atmosferici, come ad esempio la parte più alta della torre. E così venne deciso di operare una vera e propria stonacatura per riportare in vista il presunto paramento originario in laterizio. Dalle immagini d'epoca possiamo apprezzare questa operazione.

La torre annessa al palazzo dell'odierno Hotel Miravalle.
A sinistra, particolare da cartolina d'epoca, San Miniato – Palazzo della Sotto Prefettura, n. 1324 Libr. e Cart. Luigi Marconcini – Foto Fausti, 1908. A destra, come si presenta oggi, foto di Francesco Fiumalbi.

La cosiddetta “Porta Toppariorum” da Piazza del Seminario
In alto, particolare di un'immagine scattata alla fine dell'800 da Filippo Del Campana Guazzesi, tratta dal volume Il silenzio del negativo. Filippo Del Campana Guazzesi fotografo in San Miniato, a cura di Giuseppe Mercenaro, CRSM, Sagep Editrice, Genova, 1981, immagine n. 269, p. 59. Il basso come si presenta oggi, foto di Francesco Fiumalbi

A tal proposito, presso l'Archivio Storico del Comune di San Miniato, è stato rintracciato un documento molto interessante. Riguarda la “scalcinatura”, così definita tale operazione, della torre annessa all'ex-sottoprefettura, oggi Hotel Miravalle, dell'arco della Porta Toppariorum e di altre pareti annesse e connesse. Fino ad oggi l'intervento era conosciuto, ma attraverso questo atto sappiamo che fu portato avanti nel 1926, o comunque a partire da tale anno, attraverso una stonacatura generale e complessiva, con successiva ripresa e stuccatura dei giunti fra i mattoni, e più o meno anche quanto andò a costare. Si tratta infatti di una “informativa” redatta dal “Capo dell'Ufficio Tecnico”, attraverso la quale venne comunicato il “preventivo di spesa” di tale operazione. Probabilmente l'informativa era diretta al Sindaco Antonio Rigatti e alla sua Giunta, affinché arrivasse una decisione definitiva sui lavori, venissero individuate le risorse occorrenti, e dunque fossero inseriti nella contabilità generale. Colpisce la frase utilizzata per giustificare l'intervento sui caratteri formali degli edifici, al fine di rifarli allo stato di origine. Questo, in qualche modo, tradisce il carattere ideologico dell'operazione e la colloca in quel processo di “medievalizzazione” dell'immagine della città, alla ricerca della presunta estetica primigenia, e quindi autentica, prescindendo dalla stratificazione plurisecolare di interventi, di usi e di riusi, che avevano caratterizzato tali strutture fino a quel momento.

Di seguito la trascrizione del documento, conservato presso l'Archivio Storico del Comune di San Miniato, Archivio Postunitario, Comune di San Miniato, Lavori Pubblici, Appalti accolli e contratti diversi, n. 40, Varie, F200S132UF40, H, fascicolo I, Monumenti e piante, anno 1926.

COMUNE DI SAN MINIATO

UFFICIO TECNICO

INFORMATIVA

Oggetto – Torre annessa alla Sottoprefettura e archi delle vecchie porte. Loro scalcinatura – Preventivo.

Si remette alla S.V. Ill.ma il Preventivo delle opere occorrenti per la scalcinatura, ristuccatura e ripresa parziale di muri mancanti alla Torre annessa allo Stabile della Sottoprefettura ed ai muri degli archi delle vecchie porte annessi agli stabili del Seminario e della ex-Pretura per rifarlo allo stato di origine.

Per i lavori che sopra, comprese le necessarie
opere pontaie.................................................... £ 2000,00
Per ristuccatura generale e per ripresa
porzioni di muri mancanti a cortina.................. “ 1000,00
                                                                             ------------------
                                                                                   £ 3000,00
Per imprevisti....................................................      250,00
porzioni di muri mancanti a cortina.................. “ 1000,00
                                                                             ------------------
                                                                       Totale £ 3250,00
                                                                             ------------------

Con osservanza
                                                        Il Capo dell'Ufficio Tecnico

mercoledì 10 giugno 2015

[VIDEO] F. SALVESTRINI: MITI ERUDITI D'ETA' MODERNA INTORNO A MATILDE DI CANOSSA, SAN MINIATO E VALLOMBROSA – 5 GIUGNO 2015

a cura di Francesco Fiumalbi

A 900 anni dalla morte di Matilde di Canossa, nell'ambito dell'“Anno Matildiano”, venerdì 5 giugno 2015 si è tenuta presso la Sala Consiliare del Municipio di San Miniato, un'interessante conferenza di Francesco Salvestrini (Università degli Studi di Firenze) dal titolo Miti eruditi d'età moderna intorno a Matilde di Canossa: da San Miniato a Vallombrosa. Un'iniziativa promossa dal Comune di San Miniato, dal Sistema Museale di San Miniato, dal circuito Valdarno Musei, in collaborazione con la Diocesi di San Miniato.

Come è noto, una plurisecolare tradizione lega il centro sanminiatese alla figura della Gran Contessa. Addirittura, all'ombra della Rocca, si è voluto impropriamente ribattezzare il campanile della Cattedrale con l'altisonante e affascinante appellativo di “Torre di Matilde”. Ripercorrendo le più antiche attestazioni del “mito”, non essendoci alcuna prova documentaria di un tal legame, Francesco Salvestrini ha proposto un piccolo quanto interessante spaccato storiografico sulla questione.

Di seguito è proposto il video della conferenza.

Francesco Salvestrini, Miti eruditi d'età moderna
intorno a Matilde di Canossa: da San Miniato a Vallombrosa
Video di Francesco Fiumalbi

Un momento della conferenza
Foto di Francesco Fiumalbi

La locandina dell'iniziativa

domenica 7 giugno 2015

[VIDEO] L'EPIGRAFE DEI MORTI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE DI MOLINO D'EGOLA

a cura di Francesco Fiumalbi

[1° Aggiornamento 12 giugno 2017]

Nella mattina di martedì 2 giugno 2015, in occasione del programma di celebrazioni per l'anniversario della nascita della Repubblica Italiana è stata inaugurata una epigrafe commemorativa a Molino d'Egola. Si tratta di un marmo che porta incisi i nomi delle 11 persone di Molino d'Egola che persero la vita durante la Seconda Guerra Mondiale.
Una iniziativa nata a seguito delle ricerche svolte da un apposito comitato istituito per la redazione di un libro, volto a raccogliere la memoria storica della piccola frazione sanminiatese situata lungo il Torrente Egola, ai piedi della collina di Cigoli. Alla realizzazione del marmo ha aderito la locale Casa del Popolo, il Comitato “Giuseppe Gori”, la Consulta di Cigoli – La Catena – Molino d'Egola e l'Amministrazione Comunale. Presenti alla cerimonia anche l'Associazione Bersaglieri.
La storia di ciascuna persona ricordata nell'epigrafe sarà oggetto di un approfondimento specifico all'interno del libro di prossima pubblicazione.

Il testo dell'epigrafe è il seguente. Cliccando su ciascun nome è possibile accedere alle pagine con alcune note biografiche di ciascuno:

1945-2015
70° DALLA LIBERAZIONE
MOLINO D'EGOLA INTENDE RICORDARE E ONORARE
LE VITTIME CHE SUL NOSTRO TERRITORIO
PERSERO LA VITA A CAUSA DELLA BRUTALITA' DELLA GUERRA

21-06-44 BELLARMINO PINORI           ANNI 5
22-6-44 GASPERINO PINORI                ANNI 3
21-7-44 PIETRO VALORI                     ANNI 15
23-7-44 FALIERO CALVETTI                ANNI 37
23-7-44 CESARINA CHESI                   ANNI 41
25-7-44 ILIO FOGLI                              ANNI 41
29-7-44 VASCO CHINI                         ANNI 29
30-7-44 EMILIA SALVADORI              ANNI 54
11-8-44 GINO ARZILLI                         ANNI 43
17-6-45 GIUSEPPE NACCI                   ANNI 53
* OTTOBRE 42 AMELIO CAPONI       ANNI 28
*SOLD. DISPERSO IN RUSSIA                            

                                                    MOLINO D'EGOLA
                                                   2 GIUGNO 2015

Di seguito è proposto il video dell'inaugurazione dell'epigrafe, con gli interventi dei rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni presenti.


Inaugurazione dell'epigrafe
Video di Francesco Fiumalbi

L'epigrafe prima dello scoprimento
Foto di Francesco Fiumalbi

L'intervento di Walter Salvini, Coordinatore della Consulta
Foto di Francesco Fiumalbi

L'intervento di Lisandro Nacci, Comitato Giuseppe Gori
Foto di Francesco Fiumalbi

L'intervento di del Sindaco Vittorio Gabbanini
Foto di Francesco Fiumalbi

Il momento dello scoprimento dell'epigrafe
Foto di Francesco Fiumalbi

L'epigrafe scoperta affiancata da due bersaglieri
Foto di Francesco Fiumalbi

L'epigrafe
Foto di Francesco Fiumalbi

[1° Aggiornamento 12 giugno 2017]

ROMANELLO E VISINO BARBIERI PER CASO - Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

ROMANELLO FIGLIO DEL GALLO E IL VISINO - BARBIERI PER CASO.
Ossia la vera storia della 'Barberia' di Piazza San Domenico

La domenica mattina, in attesa dell'uscita della messa - c'è quasi sempre una "messa che sta per uscire" la domenica mattina in quegli anni '50 - sembra quasi una cerimonia, una sorta di rito scaramantico quello che si celebra nella bottega di barbieri, quali sono "Romanello & il Visino", su quella Piazza che dopo il passaggio della guerra ha cambiato nome in Piazza del Popolo, anche se è conosciuta da tutti come Piazza San Domenico come pure la Chiesa, tenuta appunto dai frati domenicani fin dal 1300, mentre barba e capelli sono spesso un pretesto, piuttosto che un vero bisogno. Che sia un pretesto lo si nota dai convenuti, già molto più numerosi dei clienti, e dal fatto che chi si accomoda sulla poltrona libera di turno, lo fa più che altro per avere un posto a sedere, con frasi del tipo... - " dammi una controllata e una pareggiatina alle basette" - in risposta a domande, quali.. - "che vuoi che ti faccia?" - appena sussurrate di fronte a barba appena fatta e a capelli freschi di sciampo.

Ci sono quasi tutti, i più appassionati, tifosi o meno, ma anche amici e amici degli amici, venuti giusto per bischereggiare o per sapere l'ultima, o l'anteprima sulle convocazioni della sera appena avanti, della Squadra cittadina di calcio: il San Miniato.
Una specie, anche se qualcosa di più, di un Bar dello Sport. A San Miniato è l'essenza stessa dello Sport, se si tratta di calcio: crocevia e punto di incontro, talvolta talk-show che svaria dallo sport alla politica, anche deposito e magazzino, qualche volta anche ambulatorio, inusuale palcoscenico per chiunque mastichi di calcio, se riguarda la squadra del San Miniato. Bottega che apre negli anni '50. Due gli amici samminiatesi, il Visino e il figliolo del Gallo, che 'si mettono insieme', dopo aver appreso il mestiere da Angiolino di' Botti, di casato Brunelli, loro maestro e amico, nonché appassionato di calcio. La bottega proprio in piazza San Domenico, davanti alla fermata della 'Danti & Biagioni', piazza dove tutto arriva e da dove tutto riparte. È la localizzazione a farne la fortuna, ma anche lo spirito di franca collaborazione e di amicizia tra il Carli e il Telleschi, questi i cognomi dei barbieri, con compiti distinti ma non esclusivi. Il Carli che si limita più che altro a fare la barba, e il Telleschi i capelli, sopratutto se si tratta di giovani e di bambini.

E la domenica mattina, già ben prima delle 9, lo noti subito quel primo gruppetto di tifosi, davanti al Bar Cantini, in attesa dell'apertura della Barberia, mentre sbircia oltre 'I Chiostri di San Domenico' per capire se arriverà per primo il Visino o il Galletto, visto che per loro il Bar Cantini rappresenta la sosta obbligata per la colazione di ogni domenica mattina. Quindi apertura puntale, alle 9 o giù di lì, con già un rispettoso numero di clienti, che aumentano fino al 'tutto-esaurito' già attorno alla 10. Tra questi, primi fra tutti i giocatori, se si gioca in casa al 'Santa Maria al Fortino'. Formazioni che cambiano col passare degli anni, ma che restano, testimoni del trascorrere delle stagioni, incorniciate sotto forma di foto sulle pareti di quella particolare bottega, disposte tutte in circolo e in ordine temporale, come identiche restano le abitudini, quasi un cerimoniale di ogni domenica mattina.

Anche per chi è seduto nella saletta d'aspetto della "Danti e Biagioni", dirimpettaia di quella particolare bottega, quella discussione nel vivo unita al 'tutto esaurito', può sembrare uno spettacolo che si recita a soggetto, senza copione, come ogni domenica mattina, così legato unicamente alle espressioni degli occhi, alla gestualità, alle risate mute che si intuiscono dalle rughe degli occhi e dalla postura delle labbra e dallo scuotere della testa, ...come uno spettacolo di mimi... il Visino col rasoio a mezz'aria a sostenere la sua ragione... il Romanello che si allontana e si riavvicina, tanto che sembra impegnato in un balletto che lo fa girare quando da una parte, quando dall'altra allontanandosi dalla sedia, intento come è, macchinetta alla mano, a fare la sfumatura del 'paziente' di turno (paziente perché non ha furia, anche se Romanello tergiversa di altro). Per quelli che sono in attesa in quella saletta è spettacolo assicurato, neppure fuori programma. Potrebbero scommettere quanto può durare una barba o un taglio di capelli o una spuntatura di basette.

Dal vivo è un intrecciarsi di racconti, di aneddoti, di ricordi, anche di scommesse come di promesse, tutte mosse dalla passione per il calcio, alimentata ad arte da tutti, dilettanti o professionisti, nessuno escluso. La domenica mattina arrivano tutti o quasi, alla spicciolata. Non manca mai nessuno sopratutto se si gioca in casa, iniziando dai giocatori. Il dott. Braschi con la sua Renault Quattro e l'immancabile valigetta di medico condotto, prima che Presidente del San Miniato Calcio. Bibino, come da tutti è conosciuto Pierluigi Gallerini, di mestiere assicuratore. Piero Lotti, samminiatese doc, sempre per farmacie, assieme all'amico Amerigo Cheli per lunghi anni allenatore dei giovani. Beppe Poli macellaio di San Miniato Basso e Consigliere. Nocciolino, questo il soprannome del prezioso Uliviero Morelli: maresciallo di marina in pensione. Tifosi e passionisti, allenatori del passato, ex calciatori. Tutti a dire la propria, pronti ad ascoltare quando qualche protagonista racconta l'ultima o è testimone di qualche chicca che viene ripetuta ad arte ad ogni richiesta. Un po' come essere lì presenti quando tutto avviene, mentre cala il silenzio... e cresce l'attenzione. Difficile partecipare dal di fuori, qualcuno anche sull'uscio per non perdersi l'ultima...

- "Ecco Baracca" – fa Bighero. - "Ecco il 'picchiatorino' sempre pronto a dare agli stinchi anche se la palla 'un c'è più nei paraggi da un pezzo!" - Lo sa bene Bighero e ben se la ricorda anche Baracca quella partita a Massa Marittima, partita di ritorno del Campionato 59/60, quando il Tambellini si presenta negli spogliatoi Ospiti, a domandare a Bighero in su l'uscio – "Oh che non l'avete portato il n° 8?" - E Bighero, di rimando – "Picchiatorino!!??" - rivolgendosi a Baracca – "Cercano di te!!" - E giù risate e commenti a rammentare facce, espressioni, tutte diverse, a seconda dell'autore o dell'ospite di turno. Anno particolare e intenso, quello culminato con la Vittoria del Campionato del 1960, e il conseguente passaggio in 1° Categoria.

- " Ti ricordi Angiolino? Quando venne il Castelnuovo a giocare a San Miniato?" - fa Nocciolino. - "Eccome! Fui io a dare il benvenuto alla squadra. Un'ombrellata in testa al primo che scese dal pullman. 'E Uno!' dissi. Poi al mio posto, a strappare biglietti". - Erano venuti da Castelnuovo con la squadra dei ragazzi, dopo quello che era successo a Castelnuovo. - "Ci picchiarono ben bene in campo e fuori. - fa Bighero - addirittura Gano e qualcun altro dovette scappare attraversando l'acqua gelida del Serchio, era il mese di dicembre. Fu così che io bussai alla porta del loro spogliatoio chiedendo il permesso. 'Oh che non li avete portati i picchiatori? Oggi ne toccate tutti, anche i ragazzi' dissi. Si vinse facile per 1 a 0. In quella partita di ritorno Gano si vendicò strappando pellicce d'erba dal lato valle e ributtandole addosso ad ogni giocatore del Castelnuovo che passava nei paraggi." - Qualcuno a ricordare Ferruccio a fare il tifo sul Poggio, Cione a strillare 'troncategli le gambe', il Lillo pronto a recuperare i palloni finiti in 'Cappellina' e Cionce, cassetta di legno appesa al collo, a dispensare croccanti e mente, semi e noccioline, come fossero calmanti. Altri a riportare alla memoria la formazione tipo iniziando dal portiere Martini, sostituito nel finale di campionato da Malfatti, squadra rinforzata con l'arrivo di Cordelli, Morelli e Moriani, sotto la guida dell'allenatore Castaldi Mario conosciuto come 'Tizzone'.

Ma il lunedì sera, a bottega chiusa, passare su quella piazza fa un certo effetto sempre, prevale un angosciante senso di vuoto. È giorno di riposo e di chiusura ed è sempre così ogni lunedì, quella Piazza, a cui manca la luce anche se solo riflessa, il tramestio e il via vai verso quella bottega, come anche il brusio inconfondibile e il chiacchiericcio indistinto che normalmente la rendono vivida dal tardo pomeriggio, fino all'ora di cena. Altra cosa il giorno dopo, giorno di mercato, iniziando già in prima mattinata, a piazza gremita ogni dove, sopratutto da contadini e sensali in trattativa, che non disdegnano mai una messa a punto a barba e capelli. Giornata straordinaria che nel pomeriggio inizia alle 2 spaccate con la seduta d'allenamento attivamente partecipata da tifosi quali sono tutti i consiglieri dell'A.C. San Miniato e tra questi anche Carli e Telleschi per un'apertura di bottega sempre ritardata, anche se programmata. Ritardo che non scoraggia quanti vogliano discutere di calcio e della partita della domenica avanti. Quasi sempre il Dottor Braschi, il Bibino che ha l'ufficio davanti, Nocciolino oramai in pensione da anni, Beppe lo Zingoni, qualche volta il prof. Ermanno Barsotti, quasi sempre primo Angiolino di' Botti... tutti a traccheggiare in attesa che, finito l'allenamento, si soffermi l'allenatore per rispondere alle domande di rito. Immancabile Gimmy, ossia Bighero che di nome fa Gianfranco e di cognome Taddei, che di mestiere sembra fare solo il calciatore, anche se in compagnia di altre passioni: la caccia e la pesca.

Ore che scorrono e conducono immancabilmente all'ora clou di ogni giornata, quella che coincide col 'rientro dal lavoro', che inizia invariabilmente dalle 6 di ogni sera. È a quell'ora, che come per magia, quella piazza si riempie di gente, visibilmente in festa, dopo una giornata di lavoro. Tutti di ritorno da qualche parte, chi col pullman, chi col treno, ma per tutti a fare la spola è la 'Danti e Biagioni' che tiene il garage all'inizio di San Martino, con le sue corse programmate da Empoli, da Firenze, da Pontedera o dalla stazione dei treni. È come una fiumana che cresce e viene alimentata da ogni arrivo. Nessuno che se ne vada diretto a casa, non prima di aver tirato una specie di sospirone, come a prendere una boccata d'aria, e lo è realmente, sia in primavera sia in inverno, anche fosse solo per una sosta a chiacchiera con amici.

Dove? Basta scegliere! Qualcuno Sotto i Chiostri di San Domenico. Chi dal 'Cecconi' per un espresso che si rispetti. Qualche giovane nella saletta del Desideri, già Cantini. Dal Lami per un frappè o una granita, quando in estate una distesa di tavolini occupa ad arte tutto il marciapiede a ridosso del muretto che si affaccia sulla Valle di Cencione. In Barberia a chiacchierare di calcio e di politica. Qualcuno per un panino dal Ciulli in Piazzetta del Fondo o dal Brotini. Da 'Viva Gesù' per una foto tessera per l'abbonamento del treno. Dal Bellandi per un paio di scarpe da tennis. A fare scorta di tabacco o sigarette da 'Baldo', come è conosciuto il Tabacchi di Livio Guardini. Chi dal Lilly, chi dal Corri e chi anche dal Rossi ultimo Bar ad aver aperto su Piazza Grifoni. A volte pochi minuti, giusto per riprendere fiato. Per tutti un toccasana come un'esclamazione inespressa ma che significa 'Finalmente a casa!'. E così ogni sera, come sembrano voler dire le espressioni soddisfatte, i sorrisi non certo risparmiati, i saluti anche ostentati tra amici o semplici conoscenti, di quanti si ritrovano, a sera, di ritorno dal lavoro, nella amata San Miniato.

In Barberia si ride e si scherza. È a quell'ora, ma anche prima, che qualcuno, sempre gli stessi due giocatori, in piena autonomia, quasi fossero a casa, si specchiano pettinandosi e irrorandosi abbondantemente dell'ultima Colonia consigliata da Romanello o dal Visino, per un breve tragitto, proprio nelle vicinanze. Qualcuno mormora che si tratti di incontri galanti, che si annunciano sempre con risatine ed spallucce a suggerire che ci sia una vittima designata. Serate che si chiudono spesso con il Visino a dare la sugna ai palloni di cuoio vero, lui che li conserva in quel piccolo magazzino sul retro, pronti per la partita della domenica.
Ora che quella bottega non c'è più, chiusa oramai da anni, mi viene a mente solo quella foto affissa al Centro, quasi fosse il posto d'onore, a ritrarre la Formazione tipo, sottotitolata " Campionato 1° Categoria - 2° classificata anno 1965/66", a ricordare una mancata vittoria che scotta ancora oggi.



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martedì 2 giugno 2015

2 GIUGNO 1946 A SAN MINIATO – LE ELEZIONI E IL REFERENDUM ISTITUZIONALE

a cura di Francesco Fiumalbi

IL QUADRO NAZIONALE. Il 2 giugno 1946 si svolsero le prime elezioni politiche italiane dopo la fine del fascismo e della Seconda Guerra Mondiale. Furono anche le prime elezioni della storia italiana a “suffragio universale”, con l'unica limitazione quella di aver compiuto i 21 anni d'età. La votazione riguardava l'elezione dei 556 deputati della cosiddetta “Assemblea Costituente”, che avrebbe avuto il compito di stendere la nuova Costituzione e il famoso referendum per la scelta dell'ordinamento istituzionale fra Monarchia e Repubblica.
L'ASSEMBLEA COSTITUENTE. A livello nazionale le elezioni videro l'affermazione della Democrazia Cristiana, guidata dal Segretario e Presidente del Consiglio uscente Alcide De Gasperi, con oltre 8 milioni di voti per 207 seggi. Secondo in ordine di preferenze il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, guidato dal Segretario Ivan Matteo Lombardo con oltre 4,7 mln di voti e 115 deputati per l'Assemblea Costituente. A ruota il Partito Comunista Italiano, guidato dal Segretario Palmiro Togliatti con 4,3 mln di voti e 104 seggi. Seguirono, staccate, tutte le altre formazioni politiche.
L'AFFERMAZIONE DELLA REPUBBLICA. Il referendum istituzionale si svolse nella giornata del 2 giugno e nella successiva mattina del 3 giugno 1946. I risultati furono resi noti il 10 giugno successivo dalla Corte Suprema di Cassazione: alla Repubblica andarono 12,7 mln di preferenze (54,3%) contro i 10,7 mln della Monarchia (45,7%). Nacque così la “Repubblica Italiana”.


Prima pagina de “Il Corriere della Sera”,
Anno 71, n. 27, del giorno 6 giugno 1946
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 comma 1-bis della Legge 22 aprile 1941, n. 633.

Di seguito è proposta la sintesi fra dati e documenti delle elezioni per il Comune di San Miniato. Non mancano le curiosità o le piccole sorprese, che sono opportunamente segnalate. Per favorirne la consultazione le informazioni sono state suddivise nelle seguenti categorie:

AVVERTENZA: Manca la sezione relativa alla "Preparazione" delle elezioni, che sarà pubblicata quanto prima.

 
  
 
 



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