domenica 11 gennaio 2015

IL CIRCOLINO DELLO SCIOA – Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

IL CIRCOLINO DELLO “SCIOA” … e il veglione della Pentolaccia

Non era una mossa studiata. Tutto era avvenuto per puro caso, un gioco di sponda, che aveva sortito un effetto imprevisto. La palla colpita dal terzino sinistro, esterno del piede, colpita male e per questo indirizzata a sbattere sulla stessa sponda di quel Calcio Balilla vecchia maniera. Palla che s'impenna, ma non esce dal biliardino, come c'è da aspettarsi. No! Quella palla supera sia il centrocampo, sia la difesa avversaria, passando sopra quelle teste e va ad insaccarsi direttamente nella porta avversaria con un suono sordo. Un caso! puro caso! È anche mentalmente il mio pensiero.

Intanto Beppe di Brocchette, nella porta avversaria, sorride, quasi un sogghigno, incredulo ma consapevole della propria superiorità. La partita non avrà storia. Io ed Orlandino di Gnoppa, siamo destinati a perdere contro il Cingottini e il Baglioni in coppia. Troppo più forti loro! Intanto stiamo uno a zero in nostro favore! Anche se per caso. Io in difesa, Gnoppino in attacco. Lui è forte. Io scarso in difesa, in attacco addirittura improponibile. Nel volgere di poche battute siamo in svantaggio per 6 a 1. La partita finisce quasi con un cappotto. Quasi... perché sull'onda della disperazione tento il miracolo. Contando sul ripetersi del caso, mi avventuro in alcuni tiri di sponda, cercando di capire com'è sortito quel primo tiro fortunato. Al terzo tentativo, il miracolo. La palla fa esattamente lo stesso percorso della prima, identico anche il suono sordo in fondo al sacco, e così la quarta e la quinta. La palla successiva, l'ultima, decreta la vittoria del duo Cingottini/Brocchette.

Ma che paura gli si è messo con quei tiri imparabili! È Gnoppino, a gioco fermo, che allora tenta, anche lui, lo stesso tiro. Stessi tentativi da parte di Brocchette e del Cingottini. Nessuno che riesca a fare alzare in volo la palla. E' un caso! Anche se ripetuto faccio io, mentre m'impossesso della pallina. L'ultima! Non ho voglia di mettere dentro un altro gettone a vuoto! La piazzo giusto accanto al terzino sinistro. Il polso sembra suggerirmi sia il giro sia la spinta giusta. A vuoto provo mentre gli altri mi osservano, increduli, lo sguardo di chi è abituato a snobbarmi. Poche prove a vuoto e all'improvviso il colpo, stesso giro stessa forza. La palla, ubbidiente verrebbe da dire, si alza in volo e disegna la stessa identica traiettoria. GOALL! La voglia di gridare, ma mi trattengo; gioia e incredulità mi spingerebbero a fare ben altro...

Finora snobbato, da poco uscito di Seminario, così lontano dai giochi di oggi e dai più elementari fatti della vita, lontano dagli amici di un tempo quando eravamo bambini. Bambini diventati ragazzi con poco in comune e da riconquistare alla confidenza, agli interessi comuni, in quella quotidianità oramai perduta che ci fa sentire talvolta degli estranei. è l'inizio del processo di “riabilitazione”, quale lento percorso a riconquistare un posto dentro il gruppo, quel posto che avevo lasciato di mia spontanea volontà per fare un'altra strada. Non c'è un esame d'ammissione, non sono codificati canoni d'accesso, né previste coreografie particolari d'iniziazione. È un rapporto epidermico, quasi uno stato d'animo che si manifesta e ti fa sentire ben accetto nel gruppo, ti fa sentire degno di appartenervi, ti fa sentire quella consanguineità di quartiere che a San Miniato ha altro nome. E all'improvviso sei parte del gruppo, considerato, rispettato e anche temuto. Ci ripenso. “Rispettato!” Per un caso, per puro caso! Caso che comincia a ripetersi ogni sera e ci prendo gusto, veramente gusto. Prima nessuno mi voleva in squadra e ora tutti mi vorrebbero. Quasi non ci credo.

Quando entri al Circolino, il biliardino, ossia il Calcio balilla, è piazzato davanti all'ingresso, tra il Bancone del bar e la televisione che occupa tutta la parte destra di quello stanzone, non unico del Circolino “Enal”, che un po' tutti identificano come il Circolino dello Scioa. L'ingresso anonimo, di lato ad un andito, porta sempre spalancata, che si apre proprio davanti alla casa di Dilvo Lotti e al vicolo del Bellorino. Lo si può riconoscere da una modesta e minima insegna di lamiera, infissa nella parete esterna, che l'Enal ha consegnato al Circolo al momento dell'affiliazione. Accanto, lo sporto di un altro Lotti, ciabattino questo. Ciabattino di lusso. Fa anche scarpe su misura e ne vende per ogni esigenza, quelle artigianali di un calzaturificio di Fucecchio. Per quell'andito si accede a due appartamenti ai piani superiori, mentre a piano terra, giusto in fondo allo stesso, c'è un uscio, che è d'ingresso alla camera di Dusola, camera comunicante con il ripostiglio del Circolino.

Dusola una vecchia che vive oramai sola da anni in questa camera sempre al buio anche di giorno. Noi ragazzi si sbaglia tante volte uscio, e invece di andare a prendere una scopa, ci si ritrova in quella camera, dove Dusola sembra dormire sempre, di giorno e di notte. La finestra, gli scuri sempre chiusi. Oltre al Bar nell'ingresso, altre due stanze completano il Circolo. Larga quanto il Bar e comunicante, tramite una terrazza, con l'orto, ora messo a giardino, una stanza troppo piccola per le carte. Serve soprattutto per le riunioni dei capocci e da deposito. Di lato la stanza grande, alla cui sinistra c'è, da una parte il ripostiglio e la camera di Dusola e dall'altra, sempre a sinistra, il cesso. Al posto della buca una turca e uno sciacquone con l'acqua corrente. Stanza grande adibita al gioco delle carte, dove da pochi giorni sono apparse tre “Slot Machine”, tra la curiosità soprattutto di noi ragazzi, ma anche di qualche vecchietto, che con qualche “ventino” tenta la sorte.

In quella domenica d'inizio Quaresima, ultima chiamata utile per festeggiare con i bambini il Carnevale, è in uso giocare alla “pentolaccia”. E proprio in quella stanza per iniziativa dei soliti volenterosi, ossia di Giuliano detto “Fischio d'Oro” e di Rino il barbiere, quella domenica pomeriggio non si gioca a carte, si fa festa con i bambini. Tutti a giocare alla pentolaccia e a fare baldoria. Tante mamme; chi a fare cantuccini, chi biscotti, chi un dolce. E vassoi in attesa dell'assalto dei bambini all'ora di merenda, pane e olio, ma anche panini e “semmelli” con mortadella di quella buona col pistacchio. È dalla mattina che alcune mamme, preso possesso della stanza, l'hanno ripulita ben bene, passando anche il rosso in terra sui mattoni. Messi in fila alcuni tavolini, quelli delle carte, l'hanno apparecchiati con delle tovaglie, quelle che al circolo usano in occasione delle feste. Quando arrivo, sono quasi le tre, sembra di entrare in un altro mondo. Già l'illusione del pulito, lo stesso profumo d'acquetta nell'aria, pulito che salta agli occhi tanto in terra quanto sui tavoli. Le quattro Pentolacce da appendere ai correnti del soffitto e le sedie messe in fila, rispolverate, tutte attorno alla stanza a lasciare libero tutto lo spazio centrale. Sopra un tavolino, ad angolo, dove c'è una presa della luce, Fischio d'Oro col giradischi sta facendo le prove, sceglie la musica che decreterà il tempo utile a chi, bendato, tenterà di trovare e rompere la Pentolaccia. È “Fischio d'oro” a far girare i dischi di Mina, di Celentano, di Betti Curtis, di Dallara e Joe Sentieri. Tutto fatto con precisione e dedizione e lì, da una parte Rino insieme a Romanello, anche a preparare sorprese da mettere da ultimo dentro la pentolaccia. Mi fermo affascinato da quella bramosa collaborazione. Le donne che affettano il pane e preparano le merende, mentre dentro alle pentolacce vanno a rifinire alcuni dischi a 45 giri, qualche libro di quelli tascabili della Bur, pacchetti di caramelle, astucci di matite e buoni spesa da consumare al bar: dispensiere il Lotti. Altro Lotti, è quello che sta al Poggio. Segnali importanti e forieri di novità per una gestione, quell'attuale, a misura esclusiva dei soci più grandi, soprattutto se Reduci o Partigiani, ben poche attenzioni per noi ragazzi che non siamo niente di questo.

Intanto io mi godo quel momento, come segno di cambiamento, un po' come quello personale, di cui sento quasi epidermica la sensazione, che è di benessere e leggerezza, mentre arriva Orlando con il suo Torpado. “Cinquantino”, in dotazione di Gnoppino, che parte importante avrà nella nostra amicizia; complice indivisibile delle nostre domeniche, a suggellare un rapporto destinato a durare nel tempo. Si va alla Serra??? Oggi è l'ultimo giorno che ci ballano… per tutta Quaresima restano chiusi, è l'invito, quasi un comando di Gnoppino. La domenica usciamo insieme, usando fino in fondo quel senso di libertà che ci dona il Torpado. Libertà di andare ben oltre le nostre gambe, a nostro piacimento, in velocità. Piacere che io assaporo tutto, dietro a Gnoppino, su quel sellino, a lui avvinghiato, i piedi a mezz'aria ché non freghino in terra… gli occhi chiusi a difesa del vento e dei moscini. È una tentazione irresistibile. Lì al Circolino non c'è nulla per noi che ci trattenga, oggi che la festa è tutta per questi bambini piccoli. Però stasera, dopo cena, ballano anche qui. Mi piacerebbe vedere se ci fanno venire anche quelle tre o quattro ragazze che ho adocchiato e che abitano a due passi. Almeno quelle verranno! Oltre a mia sorella e alle mie cugine. Mi aggrappo a Groppa, appena in tempo a salutare Nonno Nuti lì di strada, diretto alla Misericordia e alla sua partita a 21 che mi fa: “Non fate tardi”. Nel frattempo cominciano a sciamare tanti bambini, chi da solo, chi accompagnato dal nonno, chi per mano alla mamma o al babbo, mentre qualcuno si limita a attraversare la strada come Cecilia, o come Francesco che viene da Piazza dei Polli, o come Luca il figliolo della parrucchiera. A prima vista sono davvero tanti. Non ce la faccio neppure a tentare di contarli. La salita di Sant'Andrea, la superiamo a stento. Verso la Serra, passando dalle Colline e giù dalla Borghigiana, davanti a quel Bar Alimentari che si sta attrezzando per ballare nel retrobottega. Alla Serra, solito giro! Tutte le ragazze in fila, tutte d'accordo o quasi a dirti di no, quando le inviti a ballare. Quasi tutte scortate da mamma o da zia. Poche variazioni al tema! Poi anche loro cominciano a sciogliersi, ma con chi pare loro, poche volte con me. Senza rimpianti, anzitempo, torniamo in San Miniato. Confidiamo, questa è la speranza, in un veglione tutto nostro, al Circolino delle Scioa. E sarà veramente un veglione tutto nostro, anche imprevisto.

Dopo le nove, appena poco dopo, mi ritrovo al Circolino. Ci siamo quasi tutti: oltre me, Berto, Gnoppino, Brocchette, Gallina, Alberto, Beppe di Gnoppa, Pierino, Francesco, Giancarlo di' Turini. In arrivo alla spicciolata lì. Punto d'incontro per ripartire verso “altro” in quella sera d'inizio primavera. Giancarlone col suo Moto Morini, pronto a partire in gruppo, diretto verso Montecatini assieme al Pantani e al Nencini, anch'essi muniti di moto. Li vedi e li senti ripartire anche dal rombo del motore che rimbomba lungo tutta Via Paolo Maioli quasi a chiedere strada. Restiamo noi, quelli più piccoli, appiedati o quasi, a prendere posto e visione in quella estemporanea sala da ballo, di cui ci sembra quasi di avere l'esclusiva. Gradevole sensazione che si traduce in un senso di sicurezza nel muoverci, nell'esserci di fronte agli altri, alle ragazze, agli adulti e ai vecchi. Sala che si riempie velocemente, mentre consumiamo una pacifica partita al biliardino, fatta lì per lì, più per ingannare l'attesa che per il piacere del gioco. Solo pochi minuti e ti accorgi che, il prezioso lavoro del pomeriggio e lo spontaneo passaparola, hanno portato i suoi frutti riuscendo ad attirare ragazze, mamme, ma anche ragazzi, coppie di giovani sposi giunte lì per la voglia di divertirsi. E “Fischio d'Oro” a mettere la musica, mentre con la sua “Reflex” ferma immagini della serata.

Seguendo le note e il ritmo del “Tangaccio” facciamo il primo giro di sala. Le mangiasoldi, già incappucciate, quasi ad anticipare il clima di quaresima. Davanti le prime sedie; una ragazza e una mamma, una ragazza e una mamma, tre ragazze in fila e una zia… è Zia Pia, e ancora una ragazza e una mamma. Inaspettati anche la mia mamma e il mio babbo si affacciano appena. Dopo pochi minuti li rivedo seduti ad un tavolino all'altro capo della sala. In angolo, davanti all'uscio che da anche in camera di Dusola, una ragazza, già intravista appena pochi giorni prima, di passaggio in quel pezzetto di strada. Deve essere nuova, non so dove abita né come si chiama. Ora è lì, lo sguardo appena incrociato e poi distolto verso terra, il suo. Identica reazione del nostro primo fugace incontro. In fila davanti a me Gnoppino, Berto a scherzare ridendo. “Si fa un ballo?” domanda indirizzata a vista lungolinea senza pretese, senza neppure soffermarsi. Nell'angolo mi soffermo. Quasi un sussurro il mio “Si fa un ballo?”. Lo sguardo perso nel vuoto, non oso fissarla. Sguardo che vaga tra lei, la mamma e quel pavimento di mattoni appena ripassati col rosso.

Certo!” risposta ben scandita, due braccia robuste che mi afferrano, mi dirigono al centro della stanza. È la mamma che ha risposto all'appello anticipando la figlia. Non oso volgere lo sguardo nel cantone tutto intento al ballo che neppure conosco. Poche prove fatte con l'aiuto delle mie cugine ad introdurmi ai rudimenti del ballo. Non è panico, ma quasi. È questa mamma che mi viene in soccorso a guidarmi, un braccio attorno al collo e l'altro sulla spalla destra a dettare tempo e direzione. Quando a destra, quando a sinistra, quando a girare, quando a fermarsi… forse un tango. Ben stretto in quella morsa, ubbidiente al tempo e al ritmo anche se in affanno, compresso e stretto ad un seno straripante che contiene e mantiene inalterate le distanze. Solo ora mi rendo conto fino in fondo di questa mamma, generosamente abbondante in ogni dove, intenta a tenermi affinché non gli sfugga dalle mani, prigioniero delle sue mani e di quel seno che mi sospinge e nel contempo mi trattiene a distanza. Alla fine di quel primo ballo, neppure il tempo di un timido grazie che mi sento quasi risollevare… è un valzer.

Quasi una morsa quella mano prensile a manovrare la spalla come fosse un volante, sensazione che rimane sotto forma di fitta dolorosa anche alla fine del terzo ballo, quando riesco a liberarmi. La sorpresa vera è il risultato del giro successivo che sembra volermi informare di una regola non scritta: se balli con la mamma, hai la possibilità di ballare anche colla figlia. E in quell'angolo, con un sorriso appena accennato, è in attesa per sussurrarmi un timido sì, quella ragazza, la figlia. La musica quasi non la sento, l'emozione mi impedisce di aprire bocca al primo ballo. Entrambi sulla difensiva. Io muto. Lei un braccio timidamente appoggiato sulla spalla sinistra e l'altro puntato decisamente alla spalla destra a mantenere le distanze. A distanza di tanti anni mi rimane impressa la sensazione di quella innaturale distanza, di quei balli sofferti insieme, di quei sorrisi ricambiati all'incrociarsi degli sguardi, e di quella sedia improvvisamente vuota e di un nome che non ho mai conosciuto. La notizia, il giorno dopo, del suo ritorno a Casale Monferrato assieme alla mamma, dopo un breve soggiorno da una sua cugina di San Miniato.


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