mercoledì 5 novembre 2014

I CARCIOFI DI SAN MINIATO - Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

I CARCIOFI DI SAN MINIATO

Nunziatina, mani in mano dentro il grembiule accuratamente legato in vita, se ne sta quasi in su l'uscio della cantina, intenta nel compito tutto suo, quando ci sono in ballo i carciofi da dividere e il fattore a fare da guardia. Compito di massaia curiosa e chiacchierona, quale in realtà non è, ma che le è stato assegnato da quando sono mezzadri in quel piccolo podere tra Pian delle Fornaci e Vicolo Borghizzi, giusto alle porte di San Miniato. Ma l'asprezza del podere, tutto a terrazze, assieme alle stagioni sfavorevoli hanno ridotto notevolmente il raccolto sia di carciofi che di olive, dal quale vanno sottratti olio e carciofi da portare all'ammasso. Ben lo sa la massaia in quegli anni '30 segnati dalle “sanzioni” che gravano sull’Italia fascista, ora che cominciano a farsi sentire più vicini i venti di guerra.

La Massaia in su l'uscio a chiacchierare col fattore, per tenerlo fuori dalla cantina dove campeggiano in quell'inizio di primavera due tini, oramai svuotati del vino che riposa tranquillo nelle damigiane. Tini che si preparano ad accogliere i carciofi raccolti in giornata e destinati al mercato di Firenze. Lavoro quindi senza pausa di Lillo, il capoccio, e di Manlio, il giovane figlio, mentre in disparte Norma, la figlia minore, osserva la scena, senza conoscere il copione, come se stesse assistendo ad uno spettacolo di magia, perché questo sta avvenendo. E per raggiungere, lassù, lo sportello di carico dei tini, due scale appoggiate. Dall’aia i carciofi ammucchiati vanno a finire dentro i corbelli che due compari del fattore riempiono con egual numero: un corbello a Lillo e uno a Manlio.

Entrano assieme, sotto lo sguardo vigile del fattore, che li segue mentre salgono ognuno su una scala. Ed è qui che entra in gioco il “lavoro” di Nunziatina a volgere lo sguardo quando verso l'aia, quando verso lo stradello di passaggio, quando verso Norma ad ordinarle qualche faccenda, quando a versare un generoso gotto di vino al fattore che mai rifiuta, visto che è quello del contadino. Attimi fuggenti, mentre gli uomini sono già lassù, corbello in spalla a versare il contenuto ognuno in un tino. Rumore sordo i primi scarichi, appena un fruscio quelli successivi. Intanto i tini vanno a riempirsi in egual misura, quello destinato al contadino e quello destinato al padrone. Ma non è la quantità che è passata per la porta. Qualche corbello è andato a rifinire altrove. Solo qualcuno, mai senza esagerare per lasciare al padrone un minimo “bottino”, e perché non sospetti che oltre la cattiva stagione e oltre l'obbligo di ammasso, quell'anno ci siano altri fattori (quasi concorrenti di lui... fattore) a ridurre il raccolto. Ma come ogni magia che si rispetti, il trucco non viene mai svelato se non agli addetti ai lavori, mai agli spettatori e così Norma finisce a letto prima che si completino i giochi.

Ora viene il bello perché c'è da caricare i carri che domattina presto, anzi! …appena dopo mezzanotte, partono per Firenze. Un carro a guida del fattore, ossia di un suo compare, e uno tutto di Lillo che a Firenze porta i carciofi e alla Lastra deve scaricare delle damigiane di vino. Non c'è da arrampicarsi per fare il carico e neppure da ricontare i carciofi che dallo sportellone basso, vanno a rifinire nuovamente nei corbelli. Corbelli, ...del padrone che mai si fida, che tornano pari... tanti a Lillo e tanti al padrone. E così, a magia riuscita con lo svuotamento dei tini finito in parità, il Fattore se ne va soddisfatto, dopo aver aggiornato il libretto di mezzadria e dopo aver ingollato l'ultimo gotto di vino col quale Nunziatina sembra chiudere la serata, quasi un brindisi. Cantina chiusa, carro sotto la capanna carico di carciofi e damigiane in attesa della partenza per Firenze e ...tutti a letto!!

Potrebbe essere il giusto epilogo di una faticosa giornata di lavoro. E invece per il Lillo e Manlio inizia il lavoro, ...a rinvenire quanto scomparso per magia. Nottetempo, al buio, in assoluto silenzio è il recupero, non facile, in quella intercapedine tra tino e tino, dove è andato a finire, quando un corbello di Lillo, quando uno di Manlio... ma in egual numero... per un carico alla rinfusa fra corbelli e damigiane.

Negli anni '50 in quel podere, abbandonato da Lillo appena dopo guerra, arriva la famiglia Giusti che continua a prendersi cura sia dei carciofi, sia degli ulivi. Grande lavoratore il Giusti. Se in quegli anni '50 ti trovi a passare da Sotto il Ponte e prosegui dopo Frillo verso Via Ferrucci, e dai un'occhiata a quella carciofaia sulla destra la noti subito, quella vanga là, piantata in terra, in mezzo a l’erba, in quella carciofaia del Dainelli a confine col Giusti. La differenza tra le due carciofaie è evidente. Quella del Giusti sempre vangata e ben curata, quella del Dainelli tra l’erba, e i carciofi con evidenti segni di stanchezza. Se poi ci passi nel mezzo del giorno, diciamo verso le due di un pomeriggio di inizio primavera, allora puoi assistere ad una scena, identico copione ogni giorno. Il Dainelli intento a.. ( più nel senso di intenzione che nello sforzo di... ) ..vangare il campo, vestito di tutto punto, giacca, panciotto e cravatta; dare una, due, tre, quattro vangate e un riposino. Una due tre vangate e un riposino. E così via fino al minimo, fino alla scena madre. La giacca sottobraccio, la vanga ben infissa in terra, lo sguardo vagante tra il lavoro fatto e la carciofaia del Giusti, mentre si incammina verso l'appalto di “Mandorlino” per la solita partita a briscola.

E nel gesto di indossare la giacca, soffermandosi nuovamente a rimirare il lavoro fatto e a calcolare quello da fare, quasi a dichiarare chiusi i giochi... se sei lì, lo puoi quasi anticipare, quasi a suggerire al Dainelli che fa, quasi fosse una sentenza ...anzi! una promessa: “DOMANI GLI SI DA UN BEL COLPO”. Tono che meriterebbe, come fosse un epitaffio, di restare affisso in una lapide su quel muro alto e austero di quel Vicolo Borghizzi che, altrimenti, resterebbe testimone muto di quella promessa.
Promessa che mai fu mantenuta, e che resta a ricordare l’avvio, quasi il là, all'abbandono delle carciofaie Samminiatesi, come a voler convenire con il giudizio critico del Carducci nei confronti delle inesistenti risorse samminiatesi, oggi come allora. Oggi che neppure le cicale sembrano aver più voglia di cantare all'ombra della Rocca.

Un carciofo sanminiatese fiorito
Foto di Francesco Fiumalbi

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