mercoledì 30 luglio 2014

L'ACQUA SANTA - Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

L'ACQUA SANTA... CORREVA L'ANNO 1956 O FORSE 1957

Raramente in Canonica ci trovavi un cane… qualche gatto sì! Forse …perché utile contro i topi, ma raramente un cane. Quando ce lo trovavi allora ti potevi immaginare un prete amante degli animali e siccome c'è un detto per cui “se non ami gli animali non ami neppure le persone” ti facevi anche l'idea di trovarti nel posto adatto e… bussavi a quella porta, alla porta di quella canonica. La Chiesa sempre aperta a tutte le ore… ma non la porta di casa, dominio assoluto del prete, il Bellaveglia, di suo cugino Duilio e della Perpetua in compagnia del cane. In quella canonica c’è sempre stato un pastore tedesco … libero di girare in tutte le stanze e in giardino… mai in sacrestia. Deterrente contro qualsiasi tentativo di intrusione, pronto ad affacciarsi alla finestra al suono del campanello.

Per noi bambini… confinati in sacrestia e nelle stanze adiacenti per la “dottrina” o in Chiesa durante la messa, bastava il solo pensiero a fugare qualsiasi fantasia di intromissione… avevamo paura. Quando vedevamo Duilio scendere e aprire il portone a chi aveva avuto la ventura di suonare, il guinzaglio corto stretto al polso a tenere a bada quel popò di “lupo” sempre in tensione, sempre pronto all'attacco …noi stavamo pronti a ritirarci ancora di più all’interno della sacrestia... se in piazza, ad allontanarci il più possibile e a scomparire se a giocare a pallone davanti all'arco d'accesso di quella canonica, che fungeva da “porta”.

Non correva certo buon sangue tra noi bambini e quel cane, e quella canonica e quel prete... anche se era il nostro, il prete. Ci facemmo istintivamente l’illusione di un'apertura, anche mentale, quando… (sarà stato il '56 o il '57) arrivò la televisione e fu piazzata in quell’androne enorme che separava la sacrestia dalla canonica … “zona neutra” quasi “porto franco”… finalmente!! la Tv dei Ragazzi e “Rintintin”!! Ci eravamo fatti l’illusione e tale rimase, come chiusa rimase quella porta per noi bambini… sempre… in ogni occasione. Porta che si apriva solo la sera .. per Lascia e Raddoppia, per il Musichiere ma solo per i grandi, non per noi.
E a quell'ora, quella della Tv dei ragazzi, si apriva il portone della maestra Rossi e uno stuolo di bambine si accovacciava a terra, quasi ad incorniciare la maestra stessa assisa sulla sua poltrona come fosse un trono, davanti alla sua Televisione… e noi bambini, destinati a guardarci la TV nelle retrovie, alle spalle delle bambine, e con la sensazione di non essere ben visti… non sempre ma spesso prendevamo altre strade.

C’era prete e prete anche allora, come c’è prete e prete anche oggi. Se ti allontanavi da Santa Caterina e ti fermavi in Santo Stefano notavi subito, senza bisogno di farti tante domande, la differenza… In quel portone sulla piazzetta di Santo Stefano, quello che nell'angolo conduceva in Canonica, quel portone che sembrava quasi rimosso… completamente aperto... tutti e due gli sporti, ben fissati alle pareti da una catenella a far intendere a chiunque che così doveva restare. E nessun cane... ma gatti sì! Liberi di girare in canonica, in sacrestia, in giardino e qualche volta anche in Chiesa. E ti imbattevi nel prete... il suo vocione… la sua imponenza che incuteva rispetto. Quando lo avevi imparato a conoscere… era come un nonno... ti dava tutto, poi il momento del dovere… senza battere ciglio, senza apparente sacrificio, quasi con piacere. Era il momento della messa, del vespro, della dottrina, del rosario, del canto. Monsignor Balducci, il nome di quel prete, neppure giovane e amante del bel canto… ci lasciava liberi dei nostri giochi per tutto il tempo che volevamo… due Biliardini piazzati nello studio… tavoli da Ping Pong in giardino… Biliardo per le “boccette” nell’ingresso e la TV. Non ci negava mai “Rintintin”. Io ogni tanto, seguito come un'ombra da Nonno Nuti, mi avventuravo lontano dal mio territorio, fino in Piazza dei Polli, per arrivare lassù sulla piazzetta di Santo Stefano in cerca di quegli amici comuni, viatico gradito per entrare e giocare con gli altri. E Monsignor Balducci che non faceva storie anche se sapeva che eri di un'altra parrocchia, ti salutava con il più bel saluto possibile… ti chiamava per nome.

I tempi era Nonno Nuti a dettarli, a rammentare mese e ricorrenze. “Siamo in Avvento” e c'era l'ora del vespro.. “è ottobre.. mese mariano” e la funzione iniziava con la recita del rosario… in quei giorni prima di Natale “è il momento della Novena” e si andava dalle Monache di San Paolo alla funzione. “E' il momento del Maggio”... quante volte la madonnina di Fatima faceva il giro delle nostre case, una casa diversa ogni sera… si allestiva un piccolo altare per accogliere quell'immagine e subito dopo cena, tutti assieme, anche nel corridoio, …sulla strada per coloro che non potevano entrare… a recitare il rosario e cantare le litanie. Era Nonno Nuti che mi comunicava le preghiere da fare, le funzioni da seguire, quelle in parrocchia, quelle in Cattedrale come le Rogazioni. Arrivava poi la Quaresima… penitenza… digiuno… astinenza. Il viola liturgico a rammentare il clima, lontano da lussi, da sfarzi, da divertimenti chiassosi... tempo dedicato soprattutto alla preghiera. Con Nonno Nuti non te lo potevi dimenticare... cambiavano anche le preghiere del mattino e quelle della sera si facevano più lunghe.

Con la Quaresima giungeva il momento anche dell'Acqua Santa, in giro per le case a spargere benedizioni e preghiere… E con l'Acqua Santa SCOPPIAVA all'improvviso LA PACE. Cominciava un periodo di particolare, intensa, vera collaborazione tra noi bambini, noi chierichetti e il nostro priore, ma anche con Duilio e con la Perpetua che avevano il compito di rifornirci di panieri per le uova, secchiello per l’acqua benedetta ed acqua benedetta di scorta… “non si sa mai”. Liberi di circolare eccezionalmente anche in canonica da dove partivamo e dove ritornavamo carichi di “benefici”, “pensierini”, “omaggi”, “doni” ...titolo col quale le “famiglie benedette” ce li porgevano, mentre il cane in quei momenti o era in giardino o veniva rinchiuso in una stanza in fondo al corridoio... da dove lo si sentiva grattare alla porta e guaire in cerca di aiuto... Si trattava spesso di uova, di olio, di vin santo, formaggio, ...tutto quello che la terra sapeva offrire.

Che il tempo dell’Acqua Santa si stava avvicinando lo si poteva capire e vivere... in casa, dagli amici, in qualunque famiglia e non solo. A scuola, all'asilo di San Paolo, al Ricovero ma anche “Da Mandorlino” come da Pietro nella sua Bottega di Commestibili. Era nell'aria quasi fosse un profumo quel clima di preparazione. Lo si vedeva già dalle finestre che generose si aprivano a ore insolite a far prendere aria alle stanze quasi si dovessero ossigenare… dall'ostensione di coltroni al sole come fossero reliquie…. dalla fila in piazza a pompare acqua piovana e farne scorta nelle case per il Bucato… dai lenzuoli, dalle federe, dai teli, dagli asciugamani, prima a bollire e poi a fare mostra di sé negli orti sia quelli a solatio della valle di Gargozzi, sia quelli a merizzo sul Valdarno. Quasi una gara contro il tempo che iniziava appena poco dopo la Befana …ancora in clima di carnevale. Era un fermento che in ogni casa aveva un suo rituale scandito e ripetuto nel tempo, per certi versi quasi immutabile per abitudine come in casa di Nonna Livia. In vista dell’acqua santa, con l’aiuto del mi’ nonno Musolino che diressolava tutto il camino e metteva a pulito il focolare, Livia, quasi fosse un vezzo, imbellettava l'architrave in legno del camino stesso con un festone.

Ricavato da carta colorata, la stessa che usavamo noi bambini per fare gli aquiloni quando c'erano i soldi, e bordato e rifinito a mo' di trina o come fosse un origami, e lo fissava torno torno, con religiosa precisione e attenzione quasi fosse un tappetino di quelli che si mettono alla finestra per la processione del Corpus Domini. E con lo stesso materiale e lo stesso sistema interveniva Berta ad abbellire la Vetrina del salottino, quello buio dove in due lettini dormivano i maschi di casa Rodolfo e Alberto, la svuotava prima del “servito bono” che si usava solo a Natale e a Pasqua, per riporvelo dopo aver rinnovato i tappetini in carta così rifatti ed aver ripassato in acqua piovana chiara tutti i pezzi del servito. Se salivi lo scalino che portava in camera dei vecchi, ti accorgevi che era stata cambiata la grande tenda verde oro con quella delle feste. Tenda che divideva in due la stanza, per farne camera a Berta, dopo che si era separata, e alle sue bambine con quel letto a una piazza e mezzo…due da capo e una da piedi.

Se ti spostavi da Via Pietro Bagnoli alla Piazza Santa Caterina allora era ben visibile il grande tramestio nel palazzo del marchese Migliorati, cominciando anche dalle stalle, divenute oramai garage, fino all'ultimo piano. E personale extra a rifare tutti i vetri …giardinieri in Ragnaia a modellare le siepi …donne a cambiare cuscini, lavare e cambiare tende, rifare e cambiare camere anche se in disuso da anni… Sapevi che eravamo vicini all’Acqua Santa. Io lo potevo vedere anche dal bugigattolo del Cecconi, il ciabattino amico di Nonno Nuti, …quando Marisa, la figlia maestra elementare, gli cambiava la tenda alla porta a vetri dopo aver riportato il vetro alla sua naturale funzione… e anche da un altro particolare… da quel catino di terracotta, sotto il deschetto, usato per mettere a molle il cuoio, ritornato al suo colore naturale verde chiazzato di bianco, dal marrone scuro che era stato il resto dell’anno. Tutti a prepararsi tranne poche eccezioni …come Tetta, vecchia e oramai non più in cervello insieme al suo Micheli, lassù all'ultimo piano di palazzo Vannini... che aspettava sì, il prete per l'acqua santa, l'aspettava in cucina … quel suo tavolone di legno con al centro un'enorme sveglia tenuta a bada da una altrettanto inquietante campana di vetro, ma non lo faceva salire in camera. E li accanto alla cucina di Tetta la nostra camera con il nostro, mio e di Nonno Nuti, letto a una piazza e mezzo che nessun prete è venuto mai a benedire.

Quando scatta poi l’ora scandita dal suono delle campane, un doppio che Duilio avvia sempre con il nostro aiuto, ogni casa è tornata a regime normale… in abito da festa se rientra nel giro di quel giorno. Me ne ricordo diverse di queste “Acque Sante” ma una in particolare, doveva essere il ’57 quando io avevo quasi 10 anni di età. Al primo “doppio” di quel primo lunedì di Quaresima ….il giro di piazza… il Dott. Nardini e la maestra Rossi come inizio ...il Latini in chiusura all'altro lato quasi a scaldare i motori. Poi a scendere in Via Pietro Bagnoli a destra con i numeri dispari per risalire a sinistra con i numeri pari. E' la volta di casa mia e di quella di mia nonna, io costretto ad aspettare il passaggio del prete per ricevere la benedizione. Solo dopo mi posso accodare al seguito, tonaca nera e cotta bianca d'ordinanza per andare… in missione fuori in campagna. Alla sera, al ritorno, ma più delle volte è a letto, che con Nonno Nuti ripercorro la giornata, rispondo alle sue domande come volesse riappropriarsi di un momento che non ha potuto condividere con me.

Di quel primo giorno passando da casa di Pellegrina verso la campagna aperta, territorio mio anche di giochi, iniziando dalla scorciatoia che taglia di lato a quella casa verso Pian delle Fornaci ...si parla di “Marianna”. Di quella sua viareggina ai piedi della salita, tutta madonne e santini attorno all'immagine incensata del figlio morto da seminarista. Si parla della Benedizione e dell'orazione... “Dominus vobiscum” – “ Et cum spirito tuo”…, dell'aspersione a stanze ed immaginette. Poi le prime uova nel paniere e su per la salita passando davanti alla Madonnina, dove il pensiero indugia al ricordo della vigilia di San Giovanni, lì a “bruciare la mosca” e noi ragazzi a saltare con le fiamme alte al cielo, ...e dopo la Madonnina ...a sinistra verso il podere che fu della famiglia Latini, Vestro il capoccia, proprio di sopra alla “casa bruciata”.

Della Casa di Vergella, casa Taddei, lassù in vetta allo scollinamento prima della discesa che porta diretta ai Cappuccini, …il Nuti mi ricorda di quell'aia tra casa e strada, di quando ci fu grande festa con musica e balli fino a notte fonda per un matrimonio (forse il suo?). Sì, Sì… io c'ero con la mi' mamma e il mi' babbo. “Raccontami! Chi c’era ad aspettare il prete?” è la domanda indagatrice intesa a capire, quasi volesse lui essere presente. Io che non conosco tutti i nomi, ricordo solo del vecchio, un nonno vestito di tutto punto in maniera quasi innaturale con le scarpe lucide ed il panciotto strippato sotto la giacca del vestito della festa, fazzoletto nel taschino e Cappello Nuovo rigorosamente in mano in atteggiamento di reverenza. Gli altri uomini presenti …in attesa ansiosa. Più naturali e meno impacciate le donne di casa, la mamma, la nonna e alcune ragazzine sedute in disparte gli occhi bassi, il velo in testa a prendere la benedizione. Poi cantuccini per noi chierichetti e vin santo per il prete, e una boccia da portare via rinvolta nel giornale che è quasi mezzogiorno.

Breve sosta proprio prima dei Cappuccini a casa delle Fabbrizzine, tre sorelle tutte e tre bionde, oramai intente a preparare il pranzo e di poche parole per noi chierichetti affamati ed assetati.
La sera che Nonno Nuti mi chiede delle sorelle Cei, siamo a letto … luce spenta dopo l'ultima di Tonino. “Tanti saluti da tutti e due, e ‘Torna col tu nonno’ mi hanno ripetuto”… non ho avuto il coraggio di dirgli che erano così indaffarate intorno al prete... quasi mi sembrava che in disparte si stessero addirittura a confessare... mi hanno appena salutato e che per quell'ora, tarda serata, avevano appena versato un vin santo al prete prima della benedizione. In compenso mi sono dilungato sulla casa di contadini, famiglia Ceci, che si trova appena prima, a destra su quel ciglione incorniciato di cipressi, tutte le volte… ogni “acqua santa” ci puoi contare sulla loro accoglienza. Tavola apparecchiata con tanto di tovaglia, quella delle occasioni, imbandita di prosciutto, salame e rigatino... anche baccelli questa volta, cantuccini e zuccherini accompagnati da una ciambella a fette (deve essere una di quelle di Nonna Rina del Perondi) e sottaceti misti quelli fatti da loro come peperoncini e cetriolini. Da bere Vino della loro vigna e acqua … “quella di fonte alle fate” precisano “l'acqua del nostro pozzo è terrosa”.

Ben più lunga e faticosa la sera precedente conclusa in maniera tragicomica in San Maiano al podere Mancini. La partenza scandita dal Doppio ad inizio pomeriggio... tempo incerto, dopo una mattinata di sole conclusa dalle Fabbrizzine. Svoltati a destra lungo il muro di cinta del convento dei Cappuccini il cambiamento del tempo, dapprima pioggia leggera, poi aumento di intensità quando siamo a casa Bertucci… per finire... una tregua temporanea. E’ proprio allora che prendiamo la discesa, quella discesa di “mattaione”, terrore di noi chierichetti… memori dei risultati... almeno di stabilità… degli anni precedenti. La pioggia ha reso viscido tutto il percorso che ha ingoiato subito la poca ghiaia gettata dal Comune. Come una marionetta piomba per primo col culo a terra il prete che dopo una risata istintiva si rialza, senza curarsi della tonaca e di quello strato oleoso di color blu elettrico. Quando sta a me mi sono appena perso le cadute di Serpentone e di Patita. La mia è una caduta con scivolo che dura alcuni metri fin dentro la fossa... secchiello dell'acqua santa svuotato irrimediabilmente, la bottiglietta di scorta arrovesciata anche quella. E' per me un mesto viaggio all'indietro a recuperare acqua benedetta... dovrei andare in parrocchia e chiederla a Duilio. Mi viene incontro e in soccorso la sorte e Marianna, sempre provvista di buon senso e anche di acqua santa... così conciato mi dona buona parte della sua scorta. La sera al ritorno non ho neppure bisogno di raccontare l'accaduto a Nonno Nuti, lo capisce ad occhio nudo.. il colore indica esattamente anche il punto.

Una sera mi domanda di Cesare, che sarebbe il fratello del mio nonno Virgilio, che tutti conoscono come Lillo. Mi chiede soprattutto come sta, anche se lo vede transitare spesso in San Miniato e anche “da Mandorlino’” Sta nel podere giusto sotto il Bar e sotto l’Ospedale, la cui strada, quella che costeggia il Sanatorio, tagliata nel ciglione sopra la Via Del Sasso, muore sull'aia di Cesare. E' stata la prima tappa ad inizio pomeriggio. Ad aspettare il prete e la benedizione quasi tutti di casa... oltre a Cesare, Graziella di appena due anni maggiore a me, la bella di casa, e il suo fratello piccolo. “Saluta nonno” mi fa Cesare. Dopo aver offerto il caffè al Prete, che si è preso anche un ammazzacaffè, … rinvolto un fiasco di “verdea” in un giornale, lo consegna a Serpentone con l'ordine di portarlo subito in canonica – “E che avete fatto nell’attesa?” – “Ci siamo avviati... dopo un po', senza correre e l'abbiamo aspettato in cima alla strada finché non è sbucato dalla curva davanti al Sanatorio”.

Si è fatto tardi.. la luce già spenta.. mi sembra di essere ancora là sull'aia di Cesare a guardare verso il Sanatorio, su quel ciglione incorniciato da un lato da un Fico “dottato” e dall'altro da un ciliegio. Quante volte ci siamo avventurati o a fine estate o in primavera, sfruttando l'ora del giorno in cui il sole scollinando andava ad illuminare l'aia e la casa di Cesare, lasciando in un cono d'ombra il ciglione, con il fico o il ciliegio a seconda della stagione. Difficile con il sole negli occhi accorgersi di quella masnada di bimbetti intenti a saccheggiare il fico o il ciliegio... ma qualche volta ci sentiva ed iniziava il fugone… quante volte!! -- “Dormi già?” mi fa il Nuti. “Non ancora Nonno”. “Diciamo le devozioni, questa settimana comincia la settimana di passione” – “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo – Giuseppe rimirate la povera anima mia, nella diletta via fate ch'io ponga il pié. E quando sarà l'ora del mio fatal periglio, chiedete al caro figlio amor, pietà e mercé” – “Buona Notte Nini” – “Buona Notte Nonno”.

La chiesa di Santa Caterina dove risiedeva il Canonico Don Bellaveglia
Foto di Francesco Fiumalbi



martedì 29 luglio 2014

SETTANT'ANNI FA L'ORRORE – NESSUNO DIMENTICHI! - Circolo Arci di Isola 20 luglio 2014

Domenica 20 luglio 2014, in concomitanza con il 70° anniversario del passaggio del fronte nel territorio sanminiatese, il Circolo Arci di Isola ha presentato il video-documentario curato da Alessio Guardini e Piero Nacci.
Una serata molto interessante, che ha visto la partecipazione di decine e decine di persone accorse all'evento. Il video, oltre a ripercorrere le drammatiche vicende di quei giorni, nel contesto locale e generale della guerra, si pone anche come commemorazione per le oltre 30 persone di Isola che morirono durante quei tragici giorni, e come momento di riflessione sui conflitti bellici e sulle loro conseguenze spesso terribili. Tutto questo programma è racchiuso nelle poche parole del titolo:

SETTANT'ANNI FA L'ORRORE – NESSUNO DIMENTICHI!

Interessante, oltre ai racconti e alle video-interviste dei testimoni di quei giorni ancora in vita, l'idea di far parlare anche alcuni giovani, nati a 40-50 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Questo aspetto è stato particolarmente apprezzato, perché mostra quale sia la percezione delle giovani generazioni rispetto ai quei drammatici episodi vissuti in prima persona dai propri nonni.

Gli organizzatori fanno sapere che il video non è in vendita, ma ne può essere richiesta una copia presso il Circolo Arci di Isola.

Di seguito è proposto il video con l'introduzione e la conclusione della serata.






Aspettando la proiezione del video-documentario
Isola, 20 luglio 2014, presso Circolo Arci


sabato 26 luglio 2014

ADDSM – 767, SETTEMBRE – CORAZZANO, IL PRIMO DOCUMENTO – TRASCRIZIONE E COMMENTO


ARCHIVIO DOCUMENTARIO DIGITALE DI SAN MINIATO [ADDSM]
767, settembre, Corazzano: il primo documento

Il documento originale è conservato presso l’Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico antico, * E.30.

SPOGLIO: «Fridulo di Brancoli vende a Deusdede rettore della Chiesa di S. Giorgio di Gignano una pezza di terra con viti sopra di sé in vicinanza della stessa Chiesa per due soldi d'oro nell'anno sudd. 767».

Trascrizione del testo tratto da: D. Barsocchini, Memorie e Documenti per servire all'Istoria del Ducato di Lucca, Tomo V, parte II, F. Bertini Tipografo Granducale, Lucca, 1837, doc. CIV, pp. 61-62.

In Dei nomine. Regnante dn. nostro Desiderio et Aldelghisi regibus, anno regni eorum undecimo et nono, mense septembrio, indit. sexta feliciter. Constat me Fridulo v.d. filio q.d. Ciehu de Brancalo hac die vendedisse et vindendi tivi Deusdede presb. rector Ecc. S. Gergi una petiola terra mea qui viti superposite sunt. …. abere visu sum in loco Genariano, prope S. gergius, et est uno capo et uno latere tenente in vinea Barattuli, et alio capo in via publica, et alio capo tene in vinea Aspruli: ipsa suprascripta terra quod est vinea tibi vindere videor in integrum per designata locas. Et suscepi a te pro ipsa vinea pretium placitum auri solid. numero dua in finito et deliverato capitalo: et quod fueri menime crido, si aliquando tempore ego q.s. Fridulo vel heredes meus tibi Deusdeti presb. vel heredes posteris tuis ipsa vinea intentionavit retraere quesierimus, aduc vobis eam ad qualive homine menime defensare potuerimus: ispondimus nus vobis componere ipsa terra, quod est vinea in dublum meliorata, fer quidem infer quidem loco sub istimationem cum qui indi et illa majori substimationem: et Ghisprandum iscrivere rogavi.
Actum Luca
Signum † ms. Friduli vindituri et auteri
Signum † ms. Dulcipert filio qd. Aritei v.d. de Quaratana
Signum † ms. Perisindi Munitario v.d. testis
Signum † ms. Warniprandi de Quaratana filio Teudori testis
Ego Emmo cler. rogatus in ahe cauto me teste sub.
Ego Ghisprand post traditam compl. et dedi

COMMENTO [F. Fiumalbi]: il documento proposto in questa pagina, un contratto di vendita per un terreno situato nella zona di Gignano, nei pressi di Brancoli (Lucca), sarebbe del tutto irrilevante per il territorio sanminiatese, se non fosse che due delle persone chiamate a vergare l'atto, in qualità di testimoni, Dulcipert figlio del fu Aritei e Warniprandi figlio di Teudori, sono indicati come de Quaratana.
Si tratta, con ogni probabilità, della prima attestazione documentaria relativa alla zona di Corazzano, che anticamente veniva indicata come Quaratana o Quarantiana. Nella porzione territoriale che oggi ospita la frazione del Comune di San Miniato, conosciuta per la splendida pieve romanica dedicata a San Giovanni, aveva sede una curtis, una sorta di antesignana dell'azienda agricola, che costituiva anche l'unità insediativa minima nelle campagne dell'epoca. Era sotto il controllo diretto del Vescovo di Lucca, e risulta documentata fra l'VIII e il X secolo. La pieve, invece, sembra essere attestata con certezza solamente dall'anno 892, ma quasi sicuramente venne fondata in epoca tardo-antica, fra i secoli V e VI d.C..
In ogni caso, nella documentazione altomedievale, il nome di Quaratana/Quarantiana è utilizzato per una zona abbastanza ampia, corrispondente alla media Valdegola nel tratto fra Bottega Genovini e Casastrada, passando per Corazzano. Quindi si tratta di un toponimo molto esteso, a differenza del moderno Corazzano che oggi, invece, qualifica il centro abitato e le sue immediate vicinanze. Si tratta quindi di un toponimo areale, cioè relativo ad un’area, e non puntale e circoscritto.

La media Valdegola in corrispondenza dell’abitato di Corazzano
Sulla destra spunta il campanile della Pieve di San Giovanni
Foto di Francesco Fiumalbi


venerdì 25 luglio 2014

AL MERCATO DEI POLLI - Racconto di Giancarlo Pertici

di Giancarlo Pertici

AL MERCATO DEI POLLI

E' un movimento lento quello che il martedì mattina comincia presto… fuori è ancora buio, così mi ha spiegato una volta Nonno Nuti, iniziando dalle campagne di Calenzano e oltre, da quelle di Gargozzi e da quelle del Sasso e non solo. Sono i contadini, gli ortolani, i mezzadri, il popolo delle massaie che si muovono presto nel giorno di mercato, verso quello (il mercato) dei polli e degli ortaggi …diretti in San Miniato in quella piazza che fa conca tra Santo Stefano e Sant'Andrea, a ridosso della Chiesa di San Rocco. Tutti la conoscono come 'Piazza de' Polli' anche se recentemente è stata intitolata a Buonaparte, credo si tratti della famiglia addirittura di Napoleone… così dice Nonno Nuti. E' lui che vede passare presto le Massaie con sulla testa ceste piene di polli e d'uova messe da parte e il ricavato destinato a spese extra ...un lusso in casa di contadini… a volte uno stacco di stoffa, una pentola nuova, gli zoccoli per la domenica… corredo per la figlia.

Dalla valle di Ranci un carro trainato da una coppia di buoi si arranca con fatica e lentamente verso il falsopiano di Calenzano prima di dirigersi leggero in direzione dei 'Cappuccini' per puntare diritto in San Miniato passando per la Piazza di Santa Caterina… carico di conigli, quelli da riproduzione maschi e femmine in stabbioli separati, quelli da vendere al consumo dentro ceste aperte, …poi mazzi di carciofi di quelli che i più chiamano 'mamme', ma che per un samminiatese sono solo Carciofi. Ed è una massaia che dentro il carro tiene sotto controllo il carico per tutto il viaggio.

Dalla Via del Sasso le sorelle Cei sopra un piccolo carro vanno anche loro al mercato, a quello dei polli… sperano di vendere quelle gerle fatte di vimini col coperchio legato alla stessa, quelle ceste aperte fatte per trasportare un carico di fieno, una bigonciata d'uva, mazzi di agli o cipolle. Lentamente trainato da un asino, il lavoro di un'intera settimana delle sorelle si avvia a tentare la sorte in quella Piazza non sempre generosa con quanti vi si avventurano con dentro il cuore la speranza di vendere tutto. Non ha ancora albeggiato …. la piazza già occupata in ogni dove… libero solo un corridoio centrale per il passaggio eventuale, ma raro, di ambulanze dirette all'ospedale, ..pochi il martedì nelle campagne quelli rimasti al lavoro dei campi.. i più in piazza… a vendere e a comprare.

Nonno Nuti mi sveglia presto… vuole andare in "Piazza dei Polli" al mercato…. il sole è già alto nel cielo… è estate. Mi aiuta a vestirmi …calzoncini corti, una mogliettina a maniche corte …un paio di sandalini che lui stesso ha appena risuolato con l'avanzo di un fascione per moto. Il martedì quasi come di festa… lui, dismessi i panni dell'orto dai segni evidenti di ortaggi nel colore e nelle ombre ed anche negli aloni tendenti al verde di diverse gradazioni e tonalità, … lui si abbiglia di tutto punto con giacca, panciotto, cappello nuovi …l'orologio con catena nel taschino …cravatta in tinta. Come avesse da promuovere chissà quale mercanzia, o quale primizia dell'orto, si incammina lentamente... lo sguardo fiero, la barba appena fatta e il taglio perfetto di capelli e baffi… verso la Piazza dei Polli mano per la mano con me…. 8 anni?? Forse anche meno!

Il tragitto è breve ..tra soste, ripensamenti, avanti e indietro per incontri tra amici, domande a più titolo interessate …di conoscenti, amici, curiosi. Pietro, a quell'ora che non sono ancora le 7, ha già imbandito davanti bottega… un caratello di Aringhe ed uno di salacchini proprio lì fuori, a bordo strada, davanti alla vetrina, sotto la serranda aperta, giusto per le massaie di ritorno verso il podere, seduto sulla panca piazzata tra bottega e l'uscio di Maria di' Caciagli saluta a modo suo… "Oh Nuti!!!... vai al Mercato? ...se ti manca un bel Maschio da monta io ce l'ho bello!". E' uno dei suoi soliti saluti… vende sempre qualcosa, questa volta un coniglio. "Porto il puttero a fare un giro, prima in piazza dei Polli… poi di là al mercato sul Piazzale" è la risposta del Nuti. Mi tiene per mano mentre davanti a Mandorlino, Italia si fa in su l'uscio … tira sù per il naso, le mani sui fianchi quasi un inchino ad accompagnarmi …."Buongiorno Nini!"…. Prima del forno di Nello, che è di lato a Pancone e alla sua piazzetta, sempre puntuale come un orologio, sgattaiola da una cancellino laterale, quello che accanto alla cappella dà nell'orto, Ghigo diretto da Mandorlino. Sottobraccio una cassetta di legno, con coperchio e serratura, destinata ai fondi di caffè che al Ricovero mescolano con La Vecchina. Davanti al 'Perondi' è il profumo di biscotti appena sfornati, quella fragranza calda che quasi ti sembra di gustarla col palato che ti viene incontro... sono i cantuccini di Nonna Rina. Anche la 'Poppa' con la sua bottega di frutta e verdura è lì sull'uscio a guardare chi passa in quel giorno di mercato, a salutare e a commentare quasi facesse delle previsioni per il viaggio di ritorno di ciascuno… "A giro col bimbo.. Nuti?"… il suo saluto …più un'affermazione che domanda anche se il Nuti risponde "Poi anche sul piazzale..".

Davanti alla bottega di Romanello che tutti chiamano Topposo, ma che di cognome fa Tapinassi" i primi segnali del "mercato dei polli" cosparsi sulle lastre sotto forma di paglia a coprire le lastre stesse, ad attutire il calpestio, ad assorbire quello che polli e conigli si lasciano dietro, quasi un tappeto che prende forma ogni martedì mattina presto e che quasi per miracolo sparisce quando passa a fine mattinata il Camion del Vitali con Musolino e Tarcisio al seguito a raccogliere il tutto, per farlo scomparire appena fuori le mura, prima dei Cappuccini, lassù nei 'broti' di Scacciapuce.

La statua di Canapone sembra circondata da gabbioni e ceste alcune con ancora dentro nane, polli, conigli, paperi, gallinelle, piccioni… altre vuote, messe a castello fino a sfiorare ed incorniciare la ringhiera che rinserra la statua stessa... e la mette in salvaguardia da eventuali invasioni. Ci si passa tutto attorno come davanti ad una vetrina. Dal lato di Gargozzi, lungo quel palazzo dimesso e in disuso, appese alle inferriate del piano terra alcune funicelle con all'altro capo, due pecore, una capra nera dalla barbetta folta e un asino sempre carico. Sotto la terrazza di 'Occhiobello' il carro delle sorelle Cei che ha già venduto parte del carico e sta per riprendere il suo viaggio… "Nuti buongiorno" è il saluto di una delle due. "Venga a trovarci quando le pare, noi siamo sempre laggiù a impagliare" il commento dell'altra mentre riprendono il cammino in direzione Piazzale per vendere al minuto le ceste rimaste. Vorremmo quasi seguirle, è una tentazione per inseguire anche un discorso… ma dobbiamo terminare il giro e non solo. I soliti contadini della zona dei cappuccini e di Calenzano, alcune massaie con i loro conigli e le loro uova giusto a ridosso del Caffè Micheletti, alcune nell'angolo della chiesina di San Rocco… attente agli ultimi avventori, quelle massaie di casa che attendono le ultime creste di agli e cipolle o l'ultima dozzina d'uova rimasta …a sconto.

Il Nuti pronto a scambiare due battute, a sentirsi salutare, "Buongiorno" "Tutto bene?" "Oh Nuti... sempre in gamba!" e pronto senza offendersi a rispondere "Grazie" quando qualcuno gli offre l'ultima dozzina di uova rimaste. "Ci si fa una frittata…" commenta mentre mi guarda e mi sorride perché sa quanto sono goloso della frittata. Ma è il momento della brioche. E' il rituale di ogni martedì mattina, appena terminato il giro di Piazza dei Polli e prima di riprendere il cammino per 'di là' e per il Mercato sul Piazzale. E' Pietro di' Bulleri che ci accoglie sempre con quel sorriso bonario che fa aprire come per incanto, senza sforzo, in maniera automatica la mia bocca e gli occhi a gustare quella scena che va in replica ogni martedì… una stretta di mano al Nuti, quel leggero scarruffamento col quale mi saluta mentre entro e siedo ad uno dei tavoli. E' sempre una brioche con al centro una larga riga di crema quella che mi ha messo da parte…"E' la più grossa" mi dice mentre me la porge. Per Nonno Nuti un Caffè seduto accanto a me ….lo guardo …. incantato dal suo rituale… almeno tre cucchiaini di zucchero e il rito unico del 'rimescolamento'…il cucchiaino che inizia a girare …a mescolare ….a sciogliere… a tentare di sciogliere lo zucchero… e gira… e gira… e gira… prima in un verso... poi in quell'altro… e gira… e gira.. Quando si appresta ad assaporare lo stesso, sorbendolo un cucchiaino alla volta… sono già all'ultimo morso della brioche.

Qualche volta terminiamo insieme, spesso sono io ad aspettare per ripartire in direzione Piazzale facendo il giro lungo, su per la salita del Bagagli passando davanti al 'Crocifisso' fino in Piazza del Seminario dove Gigi lo stagnino è al lavoro da tempo… appena dopo la prima Messa, lui che è anche sacrestano al SS. Crocifisso. E' li …a piazza imbandita di mezzine, paioli, secchi di rame o di stagno nuovi, che lavora a stagnare qualche mezzina forata, un dòccio di rame bucato, che i contadini portano a riparare alla mattina presto e si riprendono quando fanno il viaggio di ritorno, talvolta riprendendo ciò che hanno lasciato a Gigi dalla settimana avanti. Con Gigi nulla si butta via, tutto può tornare a vita nuova… e con poche lire. Anche Nonno Nuti lo sa e lo saluta mentre passiamo oltre lui e oltre la bottega di falegname di Pietrone verso la Piazzetta del Fondo.

Da lì in direzione Piazzale, partendo dal Bar del Lami e dai suoi tavolini allineati lungo il marciapiede a ridosso del muro che separa dal precipizio della Valle di Cencione, è tutta una sequela di banchi di tutti i generi davanti ai quali si passa quasi in religioso rispetto, io avido delle informazioni e delle annotazione che Nonno Nuti non mi fa mancare… riesce a dirmi sempre qualcosa di ciascuno. Lo Scali, samminiatese verace, che vende stoffa a metraggio col suo camioncino Grigio e che sul banco stende sempre l'ultima novità, l'ultimo disegno, l'ultimo grido, il filato di moda… anche su quello Nonno Nuti riesce a dire la sua … "Anche Tonino…" … si ritorna nel mondo della fantasia, se dal reale non riusciamo ad avere notizie utili.

"Pesce d'Arno Vivo" dal suo improvvisato banchetto fatto di due grandi portabagagli piazzati sul davanti e sul dietro della sua bicicletta un omino di Roffia offre il suo pescato lanciando e ripetendo il suo richiamo, che lancia anche il venerdì quando percorre a piedi tutta la strada che da Piazza Bonaparte porta fino all'Ospedale… giusto ogni venerdì mattina. Sta lì appoggiato agli archi del loggiato all'angolo del viale per godere della migliore visibilità possibile, messa in evidenza dal suo ripetuto richiamo che attira Nonno Nuti che verso la fine della mattinata, all'ultimo giro, si prende quasi sempre i resti di quel pescato, quando gli sembra fresco, giusto per poche lire…talvolta anche in regalo.

E lì accanto forse l'unico banco che rimane senza commenti… quando Nonno Nuti si tura il naso e passa oltre, sorridendomi di sottecchi e invitandomi con un cenno a fare lo stesso, mentre si leva un grido che è un invito "Carbonina Donne"… da quella vecchietta che sembra appena uscita da un bagno…. di carbonina, tutta vestita di un nero che reca tracce incancellabili di carbonica …ogni dove… anche tra gli stessi capelli… bianchi naturali ma cosparsi dell'odore inconfondibile della carbonina. Non saltiamo banco, neppure quello dei giocattoli. Tra bomboloni o zucchero filato è una scelta che sta a me... sempre difficile... a volte a sorte. Da ogni banco un saluto, un benvenuto, un arrivederci, un cenno d'intesa e una piccola sosta a gustare quel saluto e a perlustrare con lo sguardo la merce in mostra. Fino in fondo, fino all'ultimo banco piazzato su quella striscia di cemento e asfalto che ogni domenica mattina funge da Campetto per una partita di Pallacanestro della squadra cittadina che gareggia sotto l'insegna dell'Etrusca, una Confezione di impermeabili di via San Martino. La conosco… la mia mamma gli cuce i cappellini per gli impermeabili, che chiamano 'trancy' o giù di lì.

Si torna a casa su per la via dei Frati per scendere in sant'Andrea fino a Piazza dei Polli che a quell'ora tarda è quasi sgombra, oramai riportata al suo aspetto originale… qualche traccia di paglia trasportata dal vento, che sembra non voglia andarsene neppure dai miei sandolini e su per Via Maioli fino a casa. Quasi tutti dentro i propri usci dentro bottega… finito il via vai del mercato… gli ultimi ritardatari ad affrettare il passo verso il ritorno. Solo Pietro è sempre lì fuori sulla panca mentre Rita è al banco a vendere, …è l'ora di chi viene all'ospedale in visita …il contadino che prende l'occasione con l'abito bono e con le scarpe da festa... e Pietro a consigliare il pacco di biscotti adatti al ricoverato di turno. E' l'ora di prepararsi da mangiare noi due… la Corinna al mare e mia madre che sa che il martedì è un giorno tutto nostro, mio e di nonno Nuti, è in casa a cucire i cappellini... la pentola al fuoco per un pranzo a due, lei e Maurizia. Un salto in casa per dire "siamo tornati" e per un bacio e giù di nuovo con Nonno Nuti… io apparecchio. Nonno prepara con patate e cipolla una frittata mentre la pentola bolle per la pasta asciutta. E' questo il menù accompagnato dai pomodori dell'orto. Il programma del pomeriggio che comincia tardi… è caldo... è estate avanzata… lo decidiamo nel riposino dopo pranzo. Sdraiati sul nostro letto da una piazza e mezzo decidiamo il percorso, la girata… Poi spesso è la volta di Tonino e delle sue storie, quel giorno è di un bambino di nome Adolfo di quasi 10 anni il racconto… niente fantasia. Nonno mi parla di se stesso… si racconta… in prima persona. Ed io me lo immagino, occhi socchiusi, mentre con il suo babbo…. (del quale non ho mai saputo il nome) lavora al deschetto, manovra la lesina per cucire, bagna e ribatte il cuoio per conciarlo e renderlo più resistente all'usura…

Mi racconta dei contadini e dei loro scarponi rinforzati sulla suola con grosse semenze dal capo stondato, contro l'usura e per una presa migliore sulla terra. Lo vedo e lo guardo mentre prepara la tomaia… il disegno… la riduzione in pezzi… il taglio di tomaia e fodere… la aggiunterai… la messa in forma… la suolatura… il tacco fatto con tanti strati di cuoio. L'ho sentito e l'ho visto tante volte come un film ripetuto all'infinito. Se ora socchiudo gli occhi e penso a lui intensamente, rilassato nel mio letto… appena riletto questo breve racconto di memorie… me lo sento accanto bambino, io suo coetaneo certo della sua ombra mentre mi parla e mi ripete passo per passo il suo lavorare.

Non oso perdere questa sensazione di vicinanza, gli occhi sempre socchiusi quasi a mantenere la sicurezza della consapevolezza e neppure oso volgermi di lato per non fugare quel sogno… perché è anche vero, se è un sogno. Un sogno che inconsapevolmente si è avverato… glielo devo raccontare questo sogno, quando verrà il momento che ci rincontreremo. Sono io a meravigliarmene per primo e certamente anche lui se ne meraviglierà. Ce ne meraviglieremo insieme perché solo ora, in questo preciso momento che sto terminando proprio questo racconto… solo ora e non prima… mi rendo conto della cosa più evidente che anche ad occhi aperti non riuscivo a vedere. Il mio primo lavoro serio, quello che mi ha condotto fino alla pensione, quello per cui avrei fatto carte false, quello per cui avevo una naturale predisposizione e per il quale ho speso una vita, con passione e con particolare competenza a tutto campo è stato proprio quello di Nonno Nuti: Ho fatto SCARPE. Per una vita ...curandone la vendita, l'acquisto di tutte le materie prime, lo sviluppo dei modelli, la messa a punto di tutta la componentistica, il taglio e l'aggiunteria …passando dal montaggio, fino alla spedizione e a tutti i compiti amministrativi e fiscali. Sì, glielo devo proprio dire a Nonno Nuti… da Grande ho fatto proprio il suo lavoro: ho fatto le SCARPE.

Piazza Buonaparte, comunemente detta Piazza de' Polli
Foto di Francesco Fiumalbi

IL LORO SACRIFICIO FACCIA GERMINARE LA PACE – ESPOSIZIONE DI LUCA MACCHI – 27 LUGLIO 2014 – ORE 17.30

Domenica 27 luglio 2014 alle ore 17.30, presso l'atrio di Palazzo Roffia, in via Augusto Conti, si terrà l'inaugurazione dell'esposizione:


Il loro sacrificio faccia germinare la pace

Si tratta di un grande dipinto su tela (cm 200x300) realizzato dal pittore sanminiatese Luca Macchi: una meditazione per immagini sul nostro tempo.

Con il contributo della Venerabile Arciconfraternita di Misericordia di San Miniato, l'opera resterà esposta dal 27 luglio al 31 agosto 2014.

Presso Pietrone Antichità, in Piazza della Repubblica (Piazza del Seminario) sono esposti alcuni bozzetti preparatori dell'opera.


giovedì 24 luglio 2014

SAN MINIATO: DAL “GELIDO ECCIDIO NAZISTA” ALL'INUTILE CRIMINE DI GUERRA AMERICANO

SAN MINIATO: DAL “GELIDO ECCIDIO NAZISTA” ALL'INUTILE CRIMINE DI GUERRA AMERICANO

di Paolo Paoletti e Francesco Guidotti

Il 22 luglio 1944 le truppe di terra americane si trovavano a circa 6 chilometri dalla dorsale collinare di S. Miniato al Tedesco, in Provincia di Pisa. Le artiglierie erano nascoste dietro piccoli rilievi boschivi a circa 10 km. in linea d’aria, in località Bucciano e Montebicchieri.

Almeno dal giorno 20, le bandiere pontificie sventolavano su alcuni edifici religiosi posti poche decine di metri sotto alla torre di Federico II, il punto più alto della città. Ne fa fede il diario di don Francesco Galli, che alla data del 20 luglio scriveva: "Bandiere papali su San Francesco, San Domenico e Vescovado". Anche Don Livio Tognetti scriveva che "sul tetto della chiesa del convento di San Jacopo sventolava una grande bandiera pontificia" [01]. Si intende la bandiera dello Stato vaticano, bianca e gialla con le chiavi di San Pietro. Accanto al Vescovado stava il Duomo, un edificio che da Sud si apprezzava in tutta la sua lunghezza, con il suo campanile. Anche il giorno della strage, il 22 luglio, le bandiere papali sventolavano su quei tre edifici religiosi di San Miniato. Se ne trova ulteriore conferma nella testimonianza di Alessandra Donati che davanti alla Commissione d'inchiesta italiana nel 1945 dichiarò: "Io e il Prof. Fiore andammo al Comando tedesco.... Fu chiesto ad uno dei militari se potevamo usare la bandiera bianca e il detto militare rispose che non importava perché bastavano quelle papali che sventolavano già su alcuni edifici della città...".

Gli Statunitensi le osservarono il 21 luglio, fraintendendole nella forma, in quanto nel sole estivo credettero di vederle tutte bianche, ma non nella loro sostanza di segnale di non belligeranza. Recita il diario di guerra americano della 88° Divisione alle ore 14,50 di quel giorno:"Il 3° Battaglione ha riferito che alle 14,40 il posto d'osservazione della Compagnia M ha osservato una bandiera bianca che veniva innalzata su un edificio in San Miniato...." [02].

Oltre agli osservatori a terra, c’era almeno un aereo alleato che volteggiava in cielo. Ne fanno cenno quattro testimoni: il domestico del Vescovo, Mario Del Bubba, Mario Caponi e Maria Chimenti nello loro deposizioni per la stessa commissione [03]. Lo conferma infine l’allora undicenne Beppe Chelli che poi scriverà in un suo recente articolo: “Mentre andavamo in Duomo in alto vegliava silenziosa e lenta la cicogna[04]. Molti cittadini di San Miniato cercarono rifugio infatti nel Duomo stesso, come nei secoli più bui, probabilmente confidando anche nella protezione di quella bandiera. Dal punto di vista del diritto di guerra l’apposizione della bandiera non generava obblighi vincolanti, in quanti gli edifici non erano territorio vaticano (né extraterritoriali) né ospitavano cittadini vaticani. Era però ben chiaro il significato, che gli Americani avevano in modo fortuito recepito, equiparando il vessillo ad una bandiera bianca: esse indicavano luoghi religiosi, non difesi. Ciò non li influenzò minimamente nella vicenda del 22 Luglio.

Il giornale di guerra del 337° battaglione d’artiglieria [05] attesta che alle 10.15 di quel giorno la batteria A sparò 47 colpi dirompenti da 105 mm. contro EN.M.G., cioè enemy machine gun, ovvero mitragliatrice nemica, individuata dagli osservatori a terra [06]. Alle 10.30 i colpi sparati dalla stessa batteria furono 51 e sempre contro mitragliatrice nemica (non è possibile stabilire se si tratti della stessa, o di altra, o di più mitragliatrici; il testo comunque non porta la “s” del plurale). Dunque l’obiettivo non era l’ipotizzato osservatorio tedesco sul campanile del Duomo o sulla torre della Rocca, come taluno ha sostenuto. Le due postazioni tedesche si trovavano nascoste tra gli oliveti a mezza collina e sotto la Rocca. Sorattutto il tiro non era richiesto da necessità tattiche, non doveva precedere un’avanzata delle truppe di terra: si cannoneggiò il 22 luglio, non il 23, giorno di tregua, non il 24, giorno dell’avanzata americana e della liberazione. Si badi bene, dunque: quel cannoneggiamento di medi calibri era la semplice reazione all’individuazione di un obiettivo militare. Non importava la quantità o la qualità del target. Come per gli aerei in volo, qualunque essere vivente od artefatto sospetto era un opportunity target, ovvero un obiettivo utile.

Anche così, dal punto di vista dell’arte militare lo strumento era inappropriato. Si trattava di mirare ad una superficie di 3 mq., cioè una mitragliatrice poggiata su bipiede con due serventi, da circa 6 km di distanza. Faccia la prova chi vuole: è come cercare di centrare una moneta da due euro lanciando petardi da trenta metri di distanza. E dietro la “moneta” vi era un abitato segnalato da bandiere bianche. In altri eserciti si sarebbe fatta avanzare una pattuglia, e questa avrebbe guidato il tiro dei mortai, con il duplice probabile vantaggio di evitare “danni collaterali” e di colpire davvero le mitragliatrici. Ma ciò avrebbe esposto gli osservatori avanzati a qualche rischio personale, il che nell’U.S. Army era (e continua ad essere) anatema. Si scelse quindi, per conseguire comunque lo scopo, di effettuare quel che equivale a tutti gli effetti ad un tiro di saturazione. E grandinarono i colpi di cannone. Bisogna aggiungere che gli artiglieri dovevano inoltre essere coscienti che il tiro dei loro pezzi sarebbe stato estremamente impreciso, in quanto era molto prossimo alla gittata massima.

Racconta un testimone oculare, don Enrico Giannoni, che si trovava in località “Al Tufo”: “Erano circa le 9,30 [07], quando da sud ovest, sulla linea tra Montebicchieri e Montopoli si scatena un bombardamento americano che, colpendo prima la collina stessa ove io ero, e poi le pendici del colle della città, e, alzando, sempre più il tiro, gli orti prospicienti ..giunge, con un proietto al Seminario, lato ovest; al Municipio lato idem; con due alla mia casa; con altri due al Vescovado; con uno al Miravalle (albergo a fianco del Vescovado nda); con molti altri al lato destro di via del Piazzale e al viale della Rimembranza; con varii scoperchiando la lapide dell’acquedotto, sul prato del Duomo e sul tetto della sagrestia; con uno sul Duomo, tra il muro e la grondaia, senza sfondare all’interno; fra il tetto più alto ed il muro del campanile; nel campanile presso la prima e la seconda campana; con molti nel poggio della Rocca, compresa la villa Donati; con uno entro la finestra, lato ovest della Cappella del Santissimo Sacramento, quello che ha causato tanto sangue e tante lacrime” [08]. Come è noto, un proiettile da 105 mm penetrò nel Duomo da una finestra, ed esplose uccidendo 55 persone e ferendone molte altre.

Dalla precisa descrizione di questo testimone oculare che si trovava sul colle di Scacciapuce prospiciente la città, risulta evidente come il cannoneggiamento americano fu intenso [09], e si concentrò rapidamente sul centro storico e sugli edifici sacri. Oggi si sa perché: Vittorio Campani ricorda che nel 1945, nel corso delle riparazioni sul tetto della chiesa del Santissimo Crocifisso, che si trova a fianco del Duomo, venne ritrovato un proiettile fumogeno. Questa la sua testimonianza: “Avevo 15 anni, e come tutti i ragazzi dell’epoca, aiutavo mio padre, che faceva il muratore. Un giorno, insieme ad un terzo operaio, salimmo sul tetto della chiesa del Santissimo Crocifisso perché pioveva all’interno. Scoprimmo subito da dove veniva il guasto: con nostra sorpresa trovammo lassù un proiettile di cannone, che era rotto solo in basso. Sembrava che non fosse esploso, ma l’eccitazione fu tale che con delicatezza lo portammo a terra. Mio padre non lo fece vedere a nessuno e lo portò a casa. Poi un giorno fissò un gancio a L nel muro di casa nostra, riempì il fondo spaccato della bomba con il calcestruzzo e murò il proiettile per ritto, come fosse un trofeo. E’ stato lì sull’aia per 55 anni, a ricordarci la guerra passata. Poi nel 2000 lessi sul giornale, che un fiorentino aveva scritto un libro sulla strage del Duomo e attraverso un amico lo contattai”.
Il Col. Massimo Cionci ha potuto esaminare il proiettile il 15.12.2000 concludendo trattarsi senza dubbio di un proiettile fumogeno, e se si lancia un fumogeno prima o durante un cannoneggiamento è per indirizzare il tiro. Siccome il 21 e il 23 luglio l’artiglieria americana non sparò su S. Miniato, occorre dedurre che quel proietto arrivò sulla chiesa del SS. Crocifisso quella mattina e finì per dirigere il fuoco proprio sul paese, ed in particolare sugli edifici sacri con le bandiere vaticane.

La testimonianza già ricordata del Canonico Giannoni sembra ipotizzare altre armi pesanti nel verde del centro cittadino, e in particolare "la permanenza, nella corte della Misericordia,... di un lungo cannone mimetizzato e, nell'orto della stessa Misericordia, infilate nel muro di cinta, e nell'orto del Seminario, fra i tronchi di vecchi ulivi, fitte mitragliatrici". Verosimilmente quel cannone e quelle mitragliatrici si trovavano lì da tempo in attesa del trasferimento al momento del ritiro definitivo. Dubitiamo molto che “nel muro di cinta, e nell'orto del Seminario, fra i tronchi di vecchi ulivi, fossero infilate fitte mitragliatrici": non è certo così che si dispongono. Inoltre non sarebbe stato tatticamente corretto concentrare in quell'unico punto della collina e per giunta accanto al cannone tutta la forza difensiva tedesca. Ma al di là di quello che vide o che credette di vedere Don Giannoni, l’unico dato da considerare è la percezione che ebbero gli Americani delle difese tedesche della città. E ciò è scritto nel giornale di guerra del 337° battaglione d’artiglieria [10]: due mitragliatrici leggere.

E a questo punto la colpa degli artiglieri appare davvero gravissima. L’ipotesi è che (almeno) il fumogeno sia stato centrato. L’artiglieria americana avrebbe quindi preso di mira il paese, al quale corrispondono le coordinate di tiro Q-46.48/59.50, mentre quelle dei supposti nidi di mitragliatrice erano 46.37 / 59.22 per quella a mezza costa e 46.48 / 59.50 per quella sotto la Rocca Questa è uguale!. Ma se anche così non fosse, rimane comunque grave e criminale la negligenza di aver aperto il fuoco su di un obiettivo sbagliato (sul quale sventolava una bandiera quantomeno bianca) senza osservare e senza correggere. Ed emerge con forza il sospetto, già tante volte affacciato, che per gli Statunitensi l’unica vita umana che aveva valore fosse quella dei loro militari.

Per tutto quanto sopra, il cannoneggiamento americano si deve configurare come una evidente violazione dell’allegato alla Prima Convenzione dell'Aja del 1899, possibile riguardo all’articolo 25 e conclamata rispetto all’articolo 27. Mentre l’art. 25 vieta l’attacco ed il bombardamento di città o paesi indifesi (sotto il quale rispetto S. Miniato è un caso limite, in quanto le posizioni tedesche gli erano in effetti molto vicine), flagrante è la violazione dell'art. 27, che recita: "Negli assedi e cannoneggiamenti si devono prendere tutte le misure necessarie per risparmiare per quanto possibile gli edifici dedicati al culto, all'arte, alla scienza e alla beneficenza, i monumenti storici, gli ospedali e i punti di raccolta per malati e feriti, premesso che essi non vengano contemporaneamente usati per scopi militari". In questo caso, gli artiglieri non presero alcuna precauzione, ed agirono invece in modo tale da fare il massimo del danno gratuito: nonostante il fatto che il centro del paese inerme, e gli edifici religiosi certamente non difesi, fossero addirittura segnalati con bandiere (che avevano avvistato), essi aprirono il fuoco da grande distanza per evitarsi il disturbo ed il pericolo di individuare esattamente le posizioni nemiche, e colpirono obiettivi civili ben segnalati sbagliando le coordinate o quantomeno non curandosi di osservare il tiro.

Il risultato di quelle 98 cannonate sparate contro quegli edifici, sacri e indifesi, fu, come era ampiamente prevedibile, di morti e feriti tra i civili e nessuna conseguenza per i soldati tedeschi [11].

Per concludere, una domanda: per quante S. Miniato d’Italia i fatti sono stati ricostruiti correttamente? Basti pensare che per più di cinquant’anni la strage del Duomo è stata attribuita ad un ordigno tedesco. E poi c’è la politica. Anche quando, recentemente, il Comune ha preso atto che i morti erano stati vittime di un cannoneggiamento americano, ha messo accanto alla lapide “sbagliata” un’altra targa in cui si sostiene che, al di là del fatto contingente, la responsabilità dell’eccidio restava nazista in quanto era stato Hitler a scatenare la guerra…

La Cattedrale di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

NOTE E RIFERIMENTI
[01] In "Chiese Toscane. Cronache di guerra. 1940-1945" L.E.F., 1995 p. 595.
[02] "3rd Bn reported that at 1440 Co M's O.P. observed white flag being raised above building in S. Miniato....”
[03] Paolo Paoletti “1944, S.Miniato: tutta la verità sulla strage”, Mursia 2000.
[04] L’articolo dal titolo “Quel 22 luglio 1944” è apparso sulla rivista mensile “AERONAUTICA” N° 9 dell'ottobre 1994, pagg.31-32. “Cicogna” era il nome, tradotto, del ben noto aereo germanico da osservazione e collegamento Fieseler 156 “Storch”. Per la sua grande diffusione, ed il suo impiego anche da parte della Regia Aeronautica, passò nel lessico comune ad indicare genericamente tutti gli aerei provvisti della medesima funzione.
[05] Si veda, fra le varie opere dedicate all’argomento da Giuliano Lastraioli e Claudio Biscarini (Autori entrambi di scoperte e studi fondamentali in materia), il breve saggio “La prova”.
[06] Indicati nel diario con le abbreviazioni OP OBS.
[07] Don Giannoni usa l’ora solare mentre era in vigore l’ora legale, come si evince da tutte le altre dichiarazioni testimoniali e dalla documentazione americana, in particolare il Journal of the 337th Field Artillery Bataillon.
[08] in “Il Giornale del Mattino” di Firenze del 21.7.1954.
[09] Così continuava il già citato Enrico Giannoni: “Non si possono citare le cento e cento altre granate insabbiatesi nel terreno, ma sono già troppe le citate a dirci l’entità di quel bombardamento. Ne sono visibili anche oggi le profonde scheggiature o i segni delle riparazioni
[10] Si veda ancora il saggio di Giuliano Lastraioli e Claudio Biscarini “La prova”.
[11] Le mitragliatrici germaniche rimasero, come era prevedibile, del tutto indisturbate e la 3° Div. Panzergrenadiere non lamentò né morti né feriti a S. Miniato.

martedì 22 luglio 2014

IL SILENZIO DELLE CICALE - VIDEO DOCUMENTARIO - PROIEZIONE - GIOV 24 LUGLIO 2014 - ORE 21.30

L'Associazione turistica "Pro Loco" di San Miniato invita tutta la cittadinanza alla proiezione in anteprima assoluta del video-documentario dedicato al passaggio del fronte della Seconda Guerra Mondiale, nel giorno del 70° anniversario dell'arrivo degli Alleati a San Miniato.
Appuntamento a San Miniato, presso l'Aula Pacis (Chiostri di San Domenico), giovedì 24 luglio 2014, alle ore 21.30. L'ingresso è libero. 





Alle prime luci del 24 luglio 1944 la Compagnia G del 349°Reggimento di Fanteria americano entrò in San Miniato, dopo che i Tedeschi avevano lasciata la Città abbattendo la Torre di Federico II e dopo aver lasciato "molte mine ed ordigni esplosivi camuffati nelle strade coperte di macerie e nelle case” (Col. 349th. J. Grawford).
A settanta anni, l’Associazione "Pro Loco" di San Miniato vuole ricordare quella data proiettando  ”Il Silenzio delle cicale”, video curato da Daniele Benvenuti e Giuseppe Chelli. Realizzato attraverso testimonianze e video interviste, cinque sanminiatesi che vissero in tragici giorni ripercorrono i momenti più significativi del passaggio del fronte con le loro testimonianze, assieme all'esperto di storia militare Claudio Biscarini. Ragazzi o giovani adolescenti, con la spregiudicatezza della loro età, vissero i giorni del passaggio del fronte, ognuno alla propria maniera: sotto le cannonate, nei sotterranei dei conventi o dentro il Duomo. Maria Chimenti Caponi, Giuseppe Chelli e Renzo Brotini, presenti in Cattedrale, raccontano episodi inediti della strage; i racconti di Giorgio Morelli e di Luciano Marrucci si soffermano, invece, sugli avvenimenti che precedettero l’eccidio del Duomo e la “vita” nel Convento di San Domenico. Claudio Biscarini, con la sua profonda conoscenza della storia militare, sa legare, da par suo, i singoli racconti al contesto storico del luglio 1944. La testimonianza di Don Luciano Niccolai è indirizzata alla memoria del Vescovo Giubbi, così come l’apprese da Don Ezelino Arzilli, all’epoca seminarista e segretario personale di Ugo Giubbi.



IL SUDICIUMAIO LUNGO LA VIA FRANCIGENA - LUGLIO 2014

di Francesco Fiumalbi

La via Francigena è l'antica strada da cui passò Sigeric, Arcivescovo di Canterbury, che nell'anno 991 percorse per tornare da Roma alla sua chiesa in Inghilterra. Ormai conosciamo tutti questa storia, così come ci siamo abituati a veder passare dalle nostre strade i pellegrini, carichi del necessario per arrivare alla meta, talvolta coadiuvati da un asinello. La gran parte dei pellegrini è diretta a Roma. In pochi scelgono la Francigena anche per tornare: chi ha fatto un pellegrinaggio, anche piccolo piccolo, sa che la strada del ritorno deve essere diversa da quella percorsa all'andata. E' un piccolo segno per indicare che la vita prima e dopo il pellegrinaggio è cambiata, o comunque che c'è l'intenzione di cambiarla. Tornare alla vita di tutti i giorni con spirito diverso, nuovo e dunque con una strada diversa.
Quindi nel nostro territorio, chi percorre la Francigena, generalmente lo fa da nord in direzione sud. Ovvero, proviene da Altopascio, transita da Fucecchio, e giunge nel territorio sanminiatese, prima di proseguire verso Gambassi, San Gimignano e Siena.

Da tempo mi incuriosisce una cosa. Mi chiedo: i pellegrini che transitano dal nostro territorio sanminiatese, cosa pensano di noi? Apprezzano il nostro paesaggio? Si sentono accolti? Che ambiente trovano? Che ricordo lasciamo loro?

Ecco cosa trovano: RIFIUTI.

Avevo fatto un post il 22 aprile 2014, denunciando lo scempio perpetrato nella nostra campagna, proprio lungo il tratto “ufficiale” della via Francigena, fra il confine comunale con Fucecchio e Ontraino, prima di proseguire verso San Miniato Basso. E' il primo tratto della Francigena che i pellegrini percorrono nel territorio sanminiatese. Si tratta, dunque, del nostro biglietto da visita, del nostro biglietto di benvenuto.
Sono trascorsi tre mesi e non è cambiato niente. Anzi, forse si è aggiunto qualcosa. L'inciviltà di certe persone è incredibile. C'è da vergognarsi: elettrodomestici, materiali edili, rifiuti di ogni genere. Senza pensare che sono anni, ormai, che i comuni della zona si sono dotati delle “isole ecologiche” in cui far confluire, gratuitamente (talvolta anche con un piccolo “premio” economico) i rifiuti ingombranti. Addirittura, almeno nel Comune di San Miniato, fissando con gli operatori preposti, vengono a ritirare i rifiuti a domicilio.

Perché questo scempio? Perché inquinare la nostra campagna? Perché gettare rifiuti proprio lungo la Francigena?

Le amministrazioni pubbliche, negli ultimi anni, hanno speso numerosi fondi (quindi i soldi di tutti noi) per organizzare il percorso della Francigena, per renderlo percorribile, nonché per creare eventi e manifestazioni al fine di promuovere il territorio. Molti privati hanno investito i propri soldi nelle strutture ricettive, perché credono in questo territorio, nella sua ricchezza, nella sua bellezza.

Perché tutto questo deve essere vanificato da un gruppetto di delinquenti?
(abbandonare rifiuti costituisce un reato, è bene ricordarlo!)

Il tratto della Francigena “ufficiale” fra il confine
comunale con Fucecchio e la fraz. Ontraino

Oggetti di plastica gettati a bordo strada

Materiali vari nella fossa lungo la strada

Materiali edili, tubazioni

La via “Francigena” verso Ontraino

Un bel frigorifero abbandonato

Poteva mancare una tv?

La tv

Sacconi pieni di rifiuti nella fossa

Altri rifiuti

Persino un divanetto. Se qualcuno volesse riposarsi


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