mercoledì 30 aprile 2014

FONTI ALLE FATE - LA PASSEGGIATA

Le immagini di una bella passeggiata fra amici, alla scoperta, o riscoperta, di uno dei luoghi più magici del nostro territorio: Fonti alle Fate.
Ci addentriamo nella vegetazione, scendiamo una scalinata seminascosta. Arriviamo ai fornici, e poi entriamo dentro. Riusciamo. Alessio Guardini recita la novella e racconta della Strega Barbuccia. Fra noi ci sono anche tre maestre della Scuola Primaria di Cigoli. Ci porteranno i loro bambini.

Le foto sono state scattate da Marco Mancini, a cui va il nostro più sentito ringraziamento.












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lunedì 28 aprile 2014

SAN MINIATO, DESIDERIO RE DEI LONGOBARDI E I FOCENSI SECONDO GIOVANNI LAMI

a cura di Francesco Fiumalbi

In questo post è proposta la Lezione n. 10, tratta da G. Lami, Lezioni di Antichità Toscane e spezialmente della Città di Firenze recitate nell’Accademia della Crusca da Giovanni Lami pubblico professore, appresso Andrea Bonducci, Firenze, 1766, Parte Seconda, pp. 323-342.

Giovanni Lami (Santa Croce sull’Arno, 1697 – Firenze, 1770), è senza dubbio una delle principali personalità dell’erudizione toscana del ‘700. La sua attività di ricerca storica, specialmente per quanto riguarda l’area fiorentina e il Medio Valdarno Inferiore, sua terra d’origine, lo portò alla pubblicazione di opere molto importanti, come le Deliciae Eruditorum (comprendenti anche il cosiddetto Hodeporicon), Sanctae Ecclesiae Florentinae Monumenta e le Lezioni di Antichità Toscane. Per dare un’idea dell’importanza della sua attività, basta ricordare che tutti gli studi successivi, fino ai giorni nostri, non possono prescindere dalle pubblicazioni sopra elencate.

La decima lezione, che di seguito è proposta, è assai interessante perché, nonostante la sua vastissima cultura, Giovanni Lami cadde nel trabocchetto del cosiddetto Decretum Desideri Re. Si tratta del controverso “Decreto di Desiderio Re dei Longobardi”, falsamente riportato alla luce da Giovanni Nanni (1437-1502), frate domenicano, meglio noto col nome umanistico di Annio da Viterbo, autore delle Antiquitate Variarum volumina XVII.
In tale falso “decreto”, tuttora conservato presso il Museo Civico di Viterbo, si affermava che i centri di San Gimignano e di San Miniato fossero stati fondati, o ri-fondati, per volontà di Desiderio. Lo scopo del monarca sarebbe stato quello di assegnarli ai Focesi, cioè gli antichi abitanti di Focea, una delle città greche della Ionia, che dopo varie peripezie si sarebbero trasferiti fra la Liguria e la Toscana. Non staremo a discutere della parte che riguarda Fucecchio (famosa è la questione, ampiamente smentita a più riprese, sul fatto che i Focesi fossero gli antenati dei Fucecchiesi… per comodità si rimanda a questo post di Mario Catastini).
Insomma, nonostante che il falso fosse stato ampiamente confutato già nel corso del ‘500 e del ‘600 da vari eruditi del tempo, Giovanni Lami ci offre tutto un panegirico per dimostrare che sia San Gimignano che San Miniato erano già popolate al tempo di Desiderio, e che nel nome di Fosci (antico castello fra San Gimignano e Colle Valdelsa) va riconosciuta quella gente, i Focensi, a cui il Re Longobardo aveva assegnato i due centri. Di fatto, il Lami prese assolutamente per buono il Decreto di Desiderio, cosa che creerà non pochi problemi storiografici almeno per tutto il secolo successivo. Infatti Emanuele Repetti, nel suo Dizionario, fece largo uso delle opere del Lami e quindi contribuì alla diffusione di questa falsità storica, e definitivamente confutata in tempi solo molto di recente.

G. Lami, Lezioni di Antichità Toscane,
Firenze, 1766. Frontespizio.

DI ANTICHITA' TOSCANE
LEZIONE X.

«[p. 323] Io impresi già nella antecedente Lezione a ragionare sopra quella parte del controverso Dicreto di Desiderio Re de' Longobardi, che la nostra Toscana Reale spezialmente riguarda; non perché io fossi persuaso, che quell'Editto sincero e legittimo fosse; ma perché io vedeva, che le cose in esso contenute mi davano una bella e comoda occasione di investigare tra il ritto buio della rimota antichità varie notizie, e memorie, onde in qualche barlume della Storia di que' lontani caliginosi tempi pervenire io potessi.
Conciossiacosaché nell'andare io pesatamente e maturamente esaminando, se quello, che il Decreto ne porta, sia conforme, e conveniente; o sivvero discorde, e ripugnante; all'Istoria di quell'età: mi fa di mestiero il diligentemente ricercare antichi e veridici monumenti, i quali possa con le parole del Dicreto paragonare, onde la somiglianza, o la diversità, l'incongruenza, o la probabilità, ne ravvisi: e conseguentemente ne vengo o a discuoprire nuovamente, o a mettere in più chiara e luminosa veduta, molte memorie , che la Storia Toscana della mezzana età potranno forse in qualche parte illustrare. Io finii nella mia passata Diceria coll'investigamento [p. 324] della fondazione e antichità di Pietrasanta, dopo la ricordanza della quale, cosi in quel Dicreto si parla: A' Focensi poi San Geminiano, e San Miniate: quasi dica qui il Re Desiderio, che per comodo di alcuni popoli Toscani, i quali chiama Focensi, ha costruite, o aumentare, le Terre di San Geminiano, e di San Miniato, nelle quali que' popoli passassero ad abitate; essendo o per l'innanzi dispersi, o sivvero tanto moltiplicati, che fosse loro giovevole l'esser come dedotti in colonie. Ma io credo vera la prima cagione, a conto dei crudeli scempi, e delle sanguinose atroci guerre, de' Goti inumani, e de' barbari Longobardi, predecessori di Desiderio. Per conoscere, se in questa parte dell'Editto sia verosimiglianza, e probabilità, e concordia, coll'antica e veritiera Istoria, bisogna dapprima indagate, se in Toscana siano mai stati popoli chiamati Focensi; e se le Terre di San Geminiano, e di San Miniato, siano dei tempi di Desiderio, oppure anteriori, o sivvero fondate e edificate dipoi. E per quello , che appartiene ai Focensi, io mi contenterò di ricercargli solamente nella Valdelsa, o in que' contorni, lasciando dapparte l'insufficiente vanità di chi si lusinga, essere stati così chiamati gli abitatori di quel luogo, che anticamente Ficiculum, e Ficiclum, e Ficeclum, dicevasi; ed ora Fucecchio comunemente addimandasi. Quegli, che ciò hanno irragionevolmente preteso, non sono tanto moderni , che Raffael Maffei detto il Volterrano, non ne abbia fatto menzione; e Io stesso Vincenzio Borghini sufficientemente non gl'indichi. Ma prima di tutti il nostro immortale Accademico Anton Maria Salvini, in una sua Cicalata in lode de' Fichi, fé sentire, che il vero, ed antico nome di questa Terra è Ficiclo; ed il P. Priore D. Fedele Soldani nella sua Istoria del Monastero di Passignano, ed [p. 325] io poi nella terza Parte del mio Odeporico, tali e tanti antichi Strumenti, e Carte , cominciando da otto secoli indietro, abbiamo riportate, dove sempre Ficiclum, o Ficeclum, si nomina; che non può dubitarsi avere avuto Io stesso nome ne' tempi addietro ancora, e conseguentemente non comportare l'analogia, che da Ficiclum Focenses formare, e derivare, si possa . Adunque i Focensi in Toscana non saranno altri, che quegli, i quali abitano lucum prope Geminianum ex flumine regionem eam pelabente dictum, per servirmi della parole stesse del Volterrano, cui seguitando l'eruditissimo Vincenzio Borghini così lasciò scritto; Ma forse intese de' Fosci, che era in que' tempi, ed è ancora oggi, un picciol torrente tra Sangimignano, e Colle, sul quale era, per quel, che si vede per iscritture, intorno all'anno millasimo della salute, un picciol Borgo col medesimo nome de' Fosci. Sin qui il Borghini: a cui aggiungerò, che il fiume detto Fosci ha un'acqua perenne, che sorge da un monte nel territorio di Colle in tanta copia, che fa del continovo andar mulini, e le verdeggianti rive con freschi e limpidi umori perpetuamente ne bagna. Indicata così la situazione del fiume, e del luogo, detto Fosci, mi giova il tare qualche richesca, e osservazione, sopra l'etimologia e origine di questo nome. Dubitai dapprincipio, che il nome Fosci fusse una corruzione, e storpiatura, di Fossae; essendo stati molti i luoghi così denominati, come Fossae Papirianae, Fossae Philistinae, Fossae Marianae, Fossa Clodia, appresso gli antichi Geografi; ed io in varie Carte e Strumenti antichi della nostra Toscana ho incontrato altri tratti di terra detti, o puramente Fossae, o Fossae Cononis, e Fossa Lupariae, e Fossa Cuccii, e Fossati, e Fossatoni. Che sarebbe maraviglia dunque, se anche il nostro torrente [p. 326], e la campagna circonvicina, si fussero chiamati Fossae; e perché lo stato in luogo si enunziava nel numero del più festo caso, di Fossis si fosse fatto Fossi, come di Faesulis, Fiesoli; di Ripulis, Ripoli; di Quaraclis, Quaracchi; di Furculis Forcoli ec. e si fosse poi addolcita la doppia S con cangiarne una in C, come di lasso si è fatto lascio; di basio, bascio; di cossa, coscia; ed altri simiglianti: onde finalmente nascesse il nome Fosci? Arroge, che in uno Strumento di convenzione e concordia fatto nel MCCIV tra il Comune di San Gemignano, di cui erano allora Consoli Lotario d'Ardinghello, e Palmieri d'Angioliero, e Morando di Galganetto, da una parte; e tra Sigerio di Lupino, e Antiochia sua madre, Signori del Castello de' Fosci, dall'altra; sempre si dice Castrum de Fossis, e Castellum de Fossi, e Podium de Fossi: e in oltre mi assicura il Sig. Abate Giuseppe Contri Maestro della Comunità di San Gemignano, e che di fresco ha lette e spogliate tutte le antiche Membrane di quel copioso Archivio, che nelle vecchie Carte si trova chiamato ancora Fossium, e Flumen Fossii; onde tanto più sembra, che dalla voce Fossa questo nome derivi. Ma pure non credo indubitato questo sentimento. Può avere questo nome altra origine Romana, e può esser preso dal nome del possessore, o del fondatore, del luogo, vale a dire, da Fuscus, o Fuscius; poiché questi nomi gli ritrovo nelle antiche Iscrizioni Romane, e gli vedo usati fino all'undecimo secolo in Toscana, come la Carta del MLXVIII apparisce. Che i possessori e fondatori abbiano dato il proprio nome a vari luoghi, è cosa tanto chiara e manifesta, che soverchio sarebbe l'addurne ora gli esempli. Io sospetto dunque, che questo fiume, o questo Castello, e Poggio, avesse il nome da alcuno, che Fuscus [p. 327] addimandavasi; onde poi Castrum Fusci, o Flumen Fusci, o con vocabolo de' tempi più bassi Curtis Fusci, si appellasse. Il mio sospetto nasce dal vedere, che in un Diploma di Ottone III e in altro di Errico II e in una Carta del IIM del nostro Duca e Marchese Ugo appresso il Puccinelli nella cronica della Badia di Firenze non Fosci si chiama, ma Fusci. Ora perché appresso noi altri è stato uso di convertire agevolmente l’U in O, onde di Tuscana si è fatto Toscana; di mustum, mosto; di musca, mosca ec e tutte le terminazioni dei Latini in u us um abbiamo voluto finire in semplice O; non è gran cosa, se coll’andar del tempo il nome Fusci, si conversisse in Fosci, come appunto è questo luogo chiamato in Diplomi d’Errico IV Imperatore, e di Alessandro II Papa; in un Lodo del MCCIX tra il Comune di San Gemignano, e quello di Poggibonzi, e in due Diplomi di Carlo IV per tacere di molte altre Membrane, e Scritture; benché in una Bolla d’Innocenzio IV ora Fusci, ora Fosci, venga variamente addimandato. Noi medesimi diciamo Fosco, quando quella qualità significare vogliamo, che da’ Latini col nome Fuscus indicavasi. Io di più trovo ancora in altri paesi altri luoghi denominarsi da Fuscus, onde in Carta dell’anno DCCCCXLVIII appresso il celebratissimo Muratori nel Tomo II delle Antichità Italiche pag. 174 si nomina la Valle Fisca situata vicino Ferrara. Da Fosci dunque Foscenses rettamente derivasi, dalla qual voce poté togliersi poi l’S agevolmente per maggior facilità della pronunzia, e dirsi Focenses; come altri nomi di somigliante maniera. Potrebbe ancora aggiugnere qualcun’altro, essere scorsi nelle antiche Iscrizioni, anche Greche, e Romane, frequenti errori per la ignoranza dell’autore, [p. 328] che le compose; o dello scarpellino, e quadratario, che le incise; onde non sarebbe gran fatto, che ne’ tempi Longobardi, o si fosse corrotta la vera pronunzia de’ nomi, o si fosse trovato un goffo e poco esperto incisore, che in vece di Fuscenses, o Foscenses; Focenses, senza premettere l’S al C ne scrivesse. Ma siasi, dirà alcuno, chiamato pure questo luogo dal nome Fuscus; come si proverà, che tanti popoli fossero per questa Campagna dispersi, sicché uopo fosse in due circonvicine Terre raccorgli? Circa a questo, io dirò, che siccome è indubitato, che ne secolo X e ne’ due seguenti fosse in Toscana un Castello munito, e un Borgo, che chiamavasi Fosci, il quale fu finalmente intorno al MCCII da’ San-Gemignanesi distrutto, risultando ciò dall’accennato Strumento del MCCIV e che nel suo territorio avea altre Ville e Borgora, vale a dire, Bibiano, Monte, Santa Lucia, Pietrafitta, e Viano, come nella predetta Carta si dice; così vi è tutta l’apparenza, che ancora a’ tempi Romani, e inanzi alle invasioni de’ Gori, e de’ Longobardi, questo luogo fosse popolatissimo; poiché vi sono molti riscontri, che nella nostra Toscana, dove ora sono diserti ermi, e lande sterili, e cupe foreste, e desolate campagne, fossero prima fiorite e copiose Popolazioni; testimoni tanti avanzi di Romana e Etrusca antichità, che alla giornata per essi si scavano, e disotterrano. Si sono ritrovati pochi anni sono in Maremma sulla Cecina e Sarcofagi, e Inscrizioni Romane: qualche anno fa nelle boscaglie di Cappiano sul lago di Fucecchio si scopersero e olle cinerarie, e un dente di elefante impietrito, il quale venne in mio potere, e ne fece presente al Marchese Cav. Cosimo Riccardi, che di raccogliere produzioni naturali molto laudabilmente dilettavasi, dalla morte [p. 329] sul fiorerie dell’età rapitoci; vi furono trovate medaglie antiche di argento in un olla, in cui si conservano le ceneri e le ossa abbrustolite d'un cadavero, col suo pugnale: olla che appresso di me ne conservo. Vicino a Poggibonzi in Valdelsa alcuni anni sono non dispregevoli anticaglie si rinvennero; per tacere di quante se ne trovano tutto giorno nella campagna Volterrana, nella Cortonese, nel Valdarno di Sopra: tutti testimoni certissimi dell'antica Romana popolazione. Dirò di più, che per arguire la frequenza degli abitatori nel paese di Fosci, e luoghi circonvicini, non solo ci dà fondamento la fresca scoperta di antichità fatta tra Poggibonzi e Colle, da me ora commemorata; e una testa muliebre velata di marmo pochi anni sono trovata dal Sig. Dott. Frittelli in luogo appunto tra Colle e San Gimignano; ma ricavo in oltre dalle Croniche manoscritte di F. Iacopo da S. Gemignano dell'Ordine de' Predicatori, che si conservano nell'Archivio de' Padri Domenicani di quella Terra, qualmente questi Religiosi essendo stati necessitati nel MCCCLVI a trasferire il loro Convento da Monte Scassili, ove fu nel MCCCXXIX. edificato, al luogo, in cui fi trova presentemente, lo fondarono in un colle eminente presso le mura delia Terra dalla parte Orientale, ove era una piccola Chiesa sotto il titolo di S. Stefano in Canova, intorno alla quale erano e case, e torri, e palazzi. Fabbricato qui il nuovo Convento, il monte su cui era una volta la Chiesa di S. Stefano, veniva talmente a sovrastare al medesimo, che era al pari del tetto del dormentorio; onde que' Religiosi nel MDXXIV determinarono di spianarlo, e così acquistare ancora il comodo del giardino. Ma nello spianare il monte furono trovate nelle sue viscere le rovine dell' antica Chiesa di S. Stefano, e una fabbrica e stanza in volta , lunga [p. 330] da quindici braccia, e larga dieci, a guisa di Tempio, che avesse cinque Cappelle, delle quali la prima e la maggiore era volta verso Oriente, due verso Ostro, e due verso Settentrione. Il pavimento di questo Ipogeo era tutto pieno d'urne sepolcrali, e sarcofagi, dei più grandi de' quali se ne servirono i Religiosi per fare le mense degli Altari, e gli altri rimasero ivi sepolti. In mezzo di quelle urne, e sarcofagi, erano alcuni frammenti d'Idoli, o Statue, ed un gran vaso o pila di marmo scolpita a bassorilievo, che adesso è presso la porta della Chiesa, per uso dell'Acqua santa; ed è sicuro riscontro della verità del racconto, cui ho riportato ancora volentieri, perché vedo esser noto a pochissimi; e neppure esattamente raccontato da Vincenzio Coppi negli Annali di S. Gemignano. Né la picciolezza del moderno paese detto Fosci, né la poca memoria che se conserva, né l'odierna situazione erma e solitaria, ci facciano credere, come ha pensato il Borghini, che ne' tempi Romani il paese di Fosci non potesse avere molto più grande estensione, e forse dar nome a tutti gli altri contorni, ed aver per capo qualche popolata e ragguardevole Terra; essendo pur troppo chiaro e manifesto a tutti, quante grandi, antiche, e insigni, Città nella nostra Toscana sono talmente desolate e distrutte, che appena il nome o qualche vestigio si conserva; e non si riconosce appena più la loro vera situazione, come è seguito di Vada, Populonia, Gravisce, Roselle, Vetulonia, e di tante altre: onde è un fallace argomentare dallo stato presente, o di sei o sette secoli in qua, formar giudizio dell'esser loro nella vecchia Etrusca e Romana età, del loro potere, de' lor territori, della loro popolazione: [p. 331] Giace l'alta Cartago, e appena i segni / Dell'antica grandezza il lido serba; / Muoiono le Città, muoiono i Regni, / Cuopre il fasto, e le pompe, arena ed erba.

Non abbiamo dunque difficoltà nel credere ben popolato anticamente il paese di Fosci, siccome non possiamo punto dubitare in questo caso della dispersione di quelle genti nell'orrende e crudeli guerre de' Goti, e de' Longobardi, i quali con istragi inaudite né a Città, né a Castella, né ad uomini, perdonarono, come io ho più volte indicato: sopra di che piacemi qui riportare le parole di S. Gregorio il Grande: Effera Longobardorum gens de vagina suae habitationis educta in nostruam cervicem graffata est, atque humanum gens, quod in hac terra quae nimia multitudine, quasi. Spssae segetis more surrexerat succisum arnit. Nam depopulate Urbes, eversa Castra, concrematae Ecclesiae, destructa sunt Monasteria virorum ac feminarum, desolata ab hominibus praedia, atque ab omni cultura destituita in solitudine vacat terra, nullus ac possessor inhabitat: occupeverunt bestiae loca, quae prius multitudo hominum tenebat. Cosa più naturale adunque può ritrovarsi, che un Re, qual fu Desiderio, d'ingegno mite, e propenso a ristorare i danni da' suoi antecessori alla Toscana apportati, pensasse a riunire quelle popolazioni, che, in qua e là fuggitive, non avevano più né casa, né tetto, dove ricoverarsi? Ed appunto gli si appresentò una comodissima occasione di far questo. Era stata fondata non molto tempo avanti in vicinanza una Chiesa dedicata a S. Geminiano Vescovo di Modena, il quale fiorì nel quarto secolo, e la cui devozione attraeva gran concorso di popolo; onde appoco appoco si era cominciato a fabbricarvi intorno case, e abitazioni; sicché [p. 332] il Re vi scorgeva già il cominciamento d'una Terra, o Castello, considerabile: poiché in tal guisa si sono per lo più formate tutte le Città, e Terre, che da alcun Santo hanno il nome: e circa il gran culto di S. Gemignano, i suoi gran miracoli, e la sua celebrità, si può consultare il Muratori nel Tom. V dell'Antichità Italiche dell'Era Mezzana pag. 4 e seguenti; per non dir nulla dell'Ughelli e del Bollando. In altra parte, ma sempre non lungi dalla Valdelsa, era stata fabbricata altra Chiesa sotto il titolo di S. Miniato Martire, nella Diogesi di Lucca: e siccome quel Santo era un Martire Fiorentino sì famoso, che dedicate a lui si ritrovano da trenta Chiese; quella divenne un celebre Santuario, e i popoli la cominciarono a frequentare; onde ivi ancora furono costruite abitazioni diverse, che cominciavano già a prender forma di Terra. Benché non si sappia l'anno preciso, in cui fatta la Chiesa di San Gemignano, pure non è da dubitare, che sia antichissima, e almeno del sesto secolo, per essere stata essa sempre Pieve, e Chiesa matrice; onde poscia anche del titolo di Prepositura sino ab antico fu decorata. Quella poi di San Miniato è sicuro, che è stata edificata intorno all'anno settecento di Cristo, riconoscendosi da antica Carta riportata dal famoso Lodovico Antonio Muratori nelle Antichità Italiche del Medio Evo, qualmente fu fondata, essendo Vescovo di Lucca Balsario. Posto tutto questo, qual migliore occasione poteva avere Desiderio di riunire insieme i disperdi popoli di Fosci, che col fabbricare diverse case, e magioni, in que' nascenti e non rimoti Borghi; e così accrescergli, e farvi passare poi ad abitare i Foscesi? E per vero dire, è una tradizione popolare in San Gemignano, che il Re Desiderio ingrandisse, [p. 333] e ampliasse, quella Terra, e di più vi facesse un Palazzo per sua residenza; nel quale ancora in oggi si vede una moderna Iscrizione, che questo stesso testifica. Ma benché io dia pochissima o nessuna fede a simiglianti Iscrizioni e tradizioni, che sull'antichità fondamento alcuno non hanno; e che possono esser nate dalla credulità prestata a questo Decreto di Desiderio: pure cosa certa e indubitata si è, che la Terra di San Gemignano è stata da gran tempo divisa in due parti, una delle quali si addimanda Castel Vecchio, e l'altra dicesi Castel Nuovo; per essere stato questo aggiunto posteriormente, nell'ingrandirsi ed ampliarsi il circuito delle mura. Ora non sapendosi il principio di questo accrescimento, potrebbe essere forse, che questo dal Re Deisiderio fatto già fosse. Parrebbe confermare il mio asserto una Carta del MCCXIV la quale conservasi originale nell'Archivio di San Gimignano, e in cui il Consolo, il Doge, il Camarlingo, e il Consiglio, in numero di 587 persone ivi descritte, giurano ad Sancta Dei Evangelia, che si dia l'ammissione a detti offizi ogni cinque anno una volta; e giurano franchigia a favore di tutti quegli, che andassero ad abitare in toto Castro Novo & Veteri Sancti Geminiani; la qual divisione si trova espressa ancora in molti altri Strumenti di quella nobile Terra. Io però non mi attengo molto a questa divisione, perché mi pare aver sufficienti riscontri, che il Castel Nuovo di San Gimignano cominciasse a fabbricarsi sulla fine del secolo duodecimo, o sul cominciare del decimoterzo; imperocché io vedo in una Membrana del MCCXXXII che il Comune di San Gemignano fa varie compre di terreno per farvi fossi e i muri nuovi; e intorno al medesimo tempo si trova memoria di quando furono lastricate le strade del Castel Nuovo; e [p. 334] si trovano Editti di assicurazione e fidanza a chiunque fosse andato a San Gemignano per abiarvi, e fabbricar nuove case in Castro Novo; non altrimenti di quello, che si faccia nel riferito Strumento del MCCXIV. Di più nella Porta del Castel Nuovo, che Porta a San Giovanni si appella, è un'antica Iscrizione, nella quale si fa sapere, che quell'opera fu fatta nell'an. MCCLXXIII. A me sembra tutto ciò manifesto contrassegno, che quella parte di San Gemignano, che è detta Castel Nuovo, fosse fabbricata alcuni secoli dopo l'età del Re Desiderio; sicché se questo Re costrusse o ampliò San Gemignano, non si può credere, che lo facesse, se non nel Castel Vecchio, nel che non trovo ripugnanza nessuna. E' poi da osservare, che tanto più facilmente può credersi, che Desiderio s'inducesse a fabbricare e popolare intorno alla Chiesa di San Gemignano, in quanto esso, e i re Longobardi suoi predecessori, aveano portata assai divozione a questo Santo, per quanto si può comprendere da un'antica Carta contenente un Precetto di Lodovico Pio Imperatore dell'anno DCCCXXII in cui si confermano tutti i Beni a Deusdedit Vescovo di Modena, e tutte le cose della sua Chiesa, qua Reges Langobardorum propter amorem & timorem Dei Domini Nostri Iesu Christi, & Sancti Geminiani Confessoris eius, eidem Ecclesiae vel donaverunt, vel ab aliis datas confirmaverunt &c. Quindi si nominano chi fossero questi Re benefattori della Chiesa di San Geminiano, e sono Cuniperto, Liutprando, Ratgise, Ildeprando, e Desiderio; e la Carta è riportata dal lodato Muratori nel Tom. I delle Antichità del Medio Evo. E' da notarsi ancora, che parimente il dotto P. Giovanni Bollando è stato di sentimento, che il Re Desiderio ampliasse o costruisse la Terra di S. Gemignano per la divozione, che avea per [p. 335] quel santissimo Vescovo; e pensa, che egli stesso fosse quegli, che vi trasferisse la Reliquia del Dito del medesimo Santo, checcé altri favorevolmente ne ferivano. In quanto poi a San Miniato, io non so donde Lorenzo Pesciolini, che viveva nel MD nella sua Istoria MS di San Gemignano abbia ricavato, che il Re Desiderio non solamente risedesse alle volte in San Gemignano, ma ancora in San Miniato, che poi si disse Al Tedesco, e in oggi vuol lo Statuto della nostra Città, che dicasi Fiorentino. Io dubito, che sia questa una sua frangia a questo istesso Editto, sul quale io di presente ragiono; poiché in alcun luogo, benché non con tutta esattezza, lo cita. Io, che ho fatte gran ricerche delle memorie di San Miniato, non ho potuto di ciò ritrovare riscontro alcuno, il quale meritasse qualche credenza: ma pure ciò non ostante è certo e sicuro, che la Chiesa di S. Miniato vi era fino dal settecento dell'Era Cristiana, vale a dire da cinquanta, e più anni, innanzi al Regno di Desiderio, come già ho osservato di sopra: e non sembra di potersi dubitare, che anche alcuni Longobardi abitassero a quella vicino, e nel circuito delle abitazioni fattevi appresso. E per vero dire Celestino III in una sua Bolla del MCXCIV spedita a Gregorio Proposto di S. Genesio, e da me pubblicata nella prima Parte del mio Odeporico, commemora i Longobardi di San Miniato con quelle parole: Universa etiam, quae a Longobardis de Sancto Miniate vobis legitime data sunt, ac Chirographis confirmata &c. Io so bene, che in progresso di tempo la voce Longobardi fu trasportata a significare i nobili, e possenti, e dovizioni; ma questo significato non ebbe origine d'altronde, che dall'abitazione de' Longobardi in que' tali luoghi, dove eglino, come conquistatori, e più protetti, e favoriti, [p. 336] da' Re di loro nazione, avevano ancora facoltà immense, e potere non ordinario, e dignità illustri, e cospicue. Questi Longobardi di San Miniato, credo, che fossero tra gli ultimi certi Signori di Corvara, a uno de' quali chiamato Odalberto figlio di Benedetto, il Vescovo di Lucca Corrado concedé in enfiteusi nell'anno DCCCCXXXVII la Chiesa di S. Miniato posta nel Castello, detto Castello di S. Martino; il qual Castello era vicino alla Pieve di S. Genesio: e del medesimo Castello era Signore il detto Odalberto, come costa da Instrumento scritto da Giovanni Notaio, esistente nell'Archivio Episcopale di Lucca. E quindi si conosce, che l'antico nome di S. Martino era ritenuto ancora da quel Castello, benché vi fosse la Chiesa di S. Miniato, intorno alla quale il Re Desiderio edificò quell'accrescimento, detto poi San Miniato dalla Chiesa, che vi era dedicata a tal Santo. Questo è quel Castello di S. Miniato, che poscia dagli abitanti fu nel MCXCVII disfatto per abitare nel luogo piano di S. Genesio, e di S. Gonda; e che nel MCC lo tornarono a rifare; come scrive il Villani nel Lib. V. Cap. XXI e XXVII. So altresì, che in San Miniato esiste ancora una certa Iscrizione, nella quale si fa menzione della nostra Regina Teodelinda, come di benefattrice di quel luogo; ma siccome io ho stimato sempre essere quella Iscrizione moderna, ed apocrifa, non ne fo caso alcuno; tanto più, che Teodelinda fiorì circa l'anno DXC e la Chiesa di San Miniato non ebbe origine, se non intorno al settecento di Cristo. io credo adunque, che ancora senza questa Inscrizione si possa rimaner persuasi, che in San Miniato facessero soggiorno varie famiglie Longobarde; onde tanto più agevolmente poté indursi Desiderio ad ampliare ed accrescere la Terra, ed a moltiplicarvi gli abitatori [p. 337] con invitarvi i Foscensi. Fo di più una riflessione, che Desiderio, quando era semplice Duca d'Istria, e Generale d'Astolfo Re de' Longobardi, faceva la sua dimora in Toscana; ed in Firenze forse ancora sarà stato, dove avrà venerato la Basilica del Monte del Re, dedicata a S. Miniato; e l'antica Chiesa inclusa poi dentro la ristorata Città, che San Miniato tra le Torri si appella; e gli avrà fatto impressione, che la stessa Chiesa Cattedrale di San Giovanni Batista ha per contitolare S. Miniato, come si conosce da un Diploma del Re Berengario dell'anno DCCCXCIX appresso l'Ughelli; ed avrà posto mente alla gran divozione di questi popoli a qual Santo Martire, a cui più di trenta Chiese furono nella sola Toscana erette, e consacrate, come ho già detto, la maggior parte delle quali ancora sussiste; per la qual cosa egli pure avrà avuto de' pii riguardi pel culto di un Santo sì celebre: e vedendo forse, che ne' contorni della Chiesa di S. Miniato a Quarto, che così si diceva in que' tempi, vi era gran concorso di gente, e cominciavano ad esser frequenti le abitazioni; oltre al prossimo Castello di San Martino, che credo essere stato quello posto in Faognana, poté indursi tanto più facilmente a beneficar quel luogo, con farvi varie fabbriche, e comodi, per novelli abitatori. Avrà forse emulato così ancora la pietà de' suoi Regi antecessori, poiché in quanto a me credo, che molte delle tante Chiese edificate in onore di S. Miniato fino de' tempi de' Re Longobardi, e forse la mentovata Basilica di S. Miniato presso la nostra Città, sia opera della Cristiana liberalità d'alcuno di que' Re: tanto più che essa è edificata in un monte, che nel nome stesso porta seco la possessione, o ragione, che di esso aveva alcuno de' nostri Regi, vale a dire, Monte del Re; siccome altro Monte [p. 338] del Re è vicino a Fiesole detto volgarmente Montereggi; ed a Firenze è il Campo del Rege intorno alla Chiesa di San Lorenzo, e di San Giovanni Batista, vicino a cui era ancora un luogo chiamato il Prato del Re, come osserva anche il Borghini P. II pag. 405 e antichi Strumenti ci nominano pure in Firenze il Mercato del Re, Forum Regis; e una parte ancora di campagna si chiamo Campo del Rege, o Careggi: i quali nomi credo certamente, che importino qualche diritto privato, che aveva il nostro Rege Alibrando prescritta, o per dir meglio Liutprando: della quale ha trattato in una operetta a parte il Sig. Domenico Maria Manni. Impertanto io non credo, che il Monte del Re così a caso nominato ne fosse; né mi so persuadere, che in quel luogo fosse anticamente costruita la Chiesa, e il Monastero, se non dal Re. Imperciocché io non posso darmi ad intendere con alcuni, che fino de' tempi Romani, e sotto gl'Imperadori gentili, o almeno a' tempi di Costantito il Grande, foste ivi edificato alcuno Oratorio, o Monastero; non prestando io nulla di fede alle Leggende apocrife del Martirio di S. Miniato; e molto meno credendo a qualche Fraticello, e altro negligente Scrittore, il quale poco curando la scorta della Cronologia ha scritto, essere ivi abitati i Monaci Basiliani fino da' tempi, in cui San Basilio non avea ancora dato Regola, né stabilito Ordine alcuno. Ma quello che mirabilmente conferma quanto sono andato qui divisando, si è una Carta di Carlo Magno, riportata dall'illustre Muratori nel [p. 339] Tom. V delle Antichità Italiche pag. 647 nella quale quel Re fa donazione d'immensi beni nella Toscana al Monastero di Nonantola, e tra questi vi è il Monastero di S. Miniato di Firenze, cui chiama col nome di Città Fiesolana, per essere allora per la sua desolazione considerata, come una parte di Fiesole. Sembra la Carta al Muratori del DCCLXXIV cioè, dell'anno medesimo, in cui Carlo vinse il Re Desiderio, le ragioni del quale portarono a lui il padronato di quel Monastero, non potendolo avere acquistato altramente. E' dunque cosa manifesta, che il Monastero, e la Chiesa, di S. Miniato di Firenze era de' Re Longobardi; e quindi bisognerà dire, che fu da essi verosimilmente fondata. Io riportai già le parole di questa Carta sopra pag. 294. Osservate tutte queste cose, non si scorge inverisimilitudine alcune, che Desiderio nostro Re potesse ampliare ed accrescere il Borgo allora nascente di San Miniato, e farvi passare a maggiormente popolarlo i Foscesi. Né mi si opponga, che Lorenzo Bonincontri San-Miniatese nei suo Annali all'anno MCXII ha lasciato scritto, che San Miniato ebbe la sua prima origine a' tempi di Ottone I Imperadore, vale a dire, intorno al DCCCCLXII poiché quello, che il Bonincontri afferma, non si dee in altra maniera intendere, se non che Ottone quel luogo circondasse di mura, e vi facesse rocche e torri, ed altre fortificazioni; essendo questo ciò, che dagli Storici ben si chiama edificare, costruire, fare di nuovo, come nella mia passata Lezione feci opportunamente osservare. E per vero dire, il Bonincontri si esprime col chiamarlo Opidum ab Othone I conditum; ed Opidum appunto vale luogo forte e munito. Né faccia maraviglia ad alcuno, che il Re Desiderio per popolare maggiormente i Borghi di San Gimignano, e di San Miniato, [p. 340] v'inviasse i popoli, e le famiglie, disperse che erano in alcuni contorni della Valdelsa; e non piuttosto deducesse alcune colonie dalla moltitudine di ben popolate Città: perché primieramente per le guerre de' Goti, e de' Longobardi, erano le Città della Toscana, siccome molte dell'altra Italia, guaste, e desolate, sicché appena vi erano rimasi abitatori; lo che accennò Pelagio Papa nelle Lettera, che scrisse al Vescovo Fioretnino, e che è riportata da Graziano nel suo Decreto, e da Gregorio Prete nel suo Policarpo, e da Anselmo: le parole della quale secondo quello, che riferisce Graziano nella Distinzione XXXIV Cap. VII sono: Defectus nostrorum temporum, quibus non solum merita, sed corpora ipsa, hominum desecerunt. San Gregorio il Grande ancora scrivendo al Vescovo di Luni pur troppo fa sentire la miseria, in cui si trovava la nostra Fiesole: e basta dare un'occhiata a Procopio, e ad Agazio, per rimaner del tutto persuasi d'una verità sì lacrimevole: ed io l'ho rappresentata qui sopra con altre espressioni del lodato S. Gregorio, a pag. 331 e più diffusamente la descrissi nelle Lezioni anteriori pag. 113 e seg. ed altrove. Non potea dunque Desiderio trar gente dalle Città Toscane, quando quelle aveano appunto bisogno d'esser di bel nuovo popolate, e rifatte. Ma era ben molto opportuno, e conveniente, il raccorne di nuovo insieme le genti raminghe, e desolate, e che per la campagna miseramente abitavano; essendo così quasi sempre usato per le popolazioni delle nuove Terre, e Città; e grande esempio ne sia la gran Roma, se agli Storici Latini crediamo. Ma per portare qualche esempio più fresco, e della nostra Etruria Reale, Tolomeo da Lucca ne' suoi Annali all'anno 1255 racconta, che per popolare maggiormente i due Borghi di fresco ampliati, ed accresciuti, [p. 341] di Pietrasanta, e Camaiore, furono là trasferiti i contadini e agricoltori delle circonvicine campagne, e paesi, come già mostrai nella mia precedente Lezione. Ecco le sue stessissime parole: Hunc (cioè, Campomaggiore) rusticis, seu hominibus, Cattaneorum; alium vero de Petrasancta replevit hominibus, Cattaneorum; alium vero de Petrasancta replevit hominibus de Corvaria, & de Vallecchia. Empoli ancora illustre Terra di Toscana, e assai celebre nelle nostre Istorie, che vanamente da alcuni Emporium si addimanda contro l'autorità delle antiche Carte, e Memorie; quando di più il nome Empolum fino nelle Istorie di Tito Livio s'incontra, benché d'altro Empoli egli favelli: non altrimenti fu fondato, e ridotto a quella popolazione, che si vede, se non perchP la Contessa Emilia moglie del Conte Guidoguerra, ritrovandosi nel MCXIX del mese di Dicembre nella Città di Pistoia, investì col consenso del marito di tal maniera Rolando Prete, Custode, e Preposito, della Pieve di S. Andrea d'Empoli, che promessero d'allora innanzi fino a Calendi Maggio prossimo venturo omnes homines Castellani, qui habitant modo in aliis Castellis de Impori, & in Cittadella, & in Burgis, & in Villis, facient per habitandum venire, & inibi semper habitare, ad praesatam Plebem Sancti Andreae, dando unituique casalinum, ubi eorum casa aedificent, & Castrum aedificare sua praesentia, vel alterius hominis praesentia, vice eorum facient; & post factum, donec ipsi vixerint, non destruent, vel destruere consentient, vel permittent: che sono le stesse parole dello Strumento, da me già pubblicato nella prima Parte del mio Odeporico. Che dirò io delle due ragguardevoli Terre del Valdarno di Sotto, Santa Croce, e Castel Franco, delle quali si sa per indubitato, che nel secolo duodecimo ancora non esistevano, se non nella dispersione di alcune Parrocchie, intorno alle quali erano [p. 342] certe adunanze d'abitatori, le quali all'uso Pisano, e Bolognese, Cappelle si addimandavano; e finalmente nel secolo terzodecimo, per ripararsi forse dall'impero minaccioso, e furibondo, delle spietate fazioni de' Guelfi, e de' Ghibellini, si accolsero ed unirono insieme que' popoli, e formarono ciascuno una sola adunanza di case, e abituti, cui cinsero di mura, e di fossi, e fortificarono con torri, siccome l'uso di que' tempi portava? Tutte queste verità risultano da antichi ed autentici Strumenti, che io in altro luogo, o brevemente allegai, o distesamente riferii, vale a dire, nel mio Odeporico. Se dunque coll'adunare insieme i popoli dispersi si formavano sovente le Terre, e i Castelli, e le Città medesime; se intorno alle Chiese insigni concorrevano volentieri le genti ad abitare, e edificare case, e magioni; se le Chiese di San Geminiano nella Diocesi Volterrana, e di San Miniato in quella di Lucca, sono anteriori a' tempi di Desiderio Re de' Longobardi; se alcuni popoli circonvicini chiamati Foscensi, o di Fosci, erano probabilmente dispersi e raminghi per la crudeltà delle guerre; se il Re Desiderio d'indole più mansueta e benigna degli altri, poté esser tocco ancora dalla religione e dal culto verso S. Geminiano Confessore e S. Miniato Martire, come io diffusamente mi sono studiato di dimostrare in questo mio Ragionamento; e non so vedere improbabilità, e inverisimiglianza, che Desiderio trasferisse ad abitare in San Gemignano, e in San Miniato, gli abitatori dispersi del paese di Fosci, siccome nel controverso Decreto si dice».
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