venerdì 17 gennaio 2014

LA SECONDA RIVOLTA DI BENEDETTO MANGIADORI NEL 1397

di Francesco Fiumalbi

[Prima revisione 8 maggio 2016]

Grazie alle “Croniche” di Giovanni Sercambi conosciamo numerosi episodi di vita sanminiatese nel corso del '300, ed in particolar modo dell'ultima parte del secolo. Fra queste ci sono anche le rivolte che videro protagonista Benedetto Mangiadori, uno degli ultimi membri della potente consorteria che aveva fatto il bello e il cattivo tempo a San Miniato per almeno due secoli.
San Miniato, dal gennaio del 1370 era entrata a far parte dello stato territoriale fiorentino, dopo lunghi mesi di assedio. Non erano mancati tentativi di sollevazione, come quello di Taddeo di Francesco nel 1379 e quello di Arrigo da Mellicciano nel 1381. Ci pensò Benedetto Mangiadori a riaccendere i focolai di rivolta, con due occasioni, entrambe nel 1397.
Il primo tentativo di rivolta del Mangiadori è quello più famoso e conosciuto, quello che vide l'uccisione del Vicario Fiorentino Davanzato Davanzati e l'intervento del Capitano Cantini a ristabilire il controllo dell'esercito fiorentino su San Miniato. E' molto conosciuto, oltre per la gravità degli episodi, anche perché ne trasse ispirazione Ippolito Neri per il suo celebre poema eroicomico La presa di Samminiato.

Angelo Ardinghi, disegno tratto dall'originale
del Sercambi, conservato all'Archivio di Stato di Lucca
Edito in Salvatore Bongi (a cura di), Le Croniche di
Giovanni Sercambi, Vol. 1, Tip. Giusti, Lucca, 1892, p. 364.
Pubblicazione ai sensi L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 70.

Meno noto, ma non meno curioso, è questo secondo tentativo di rivolta operato da Benedetto Mangiadori, nello stesso anno 1397, a brevissima distanza di tempo e che sarebbe dovuto andare in porto il 10 novembre. Ancora una volta l'idea era abbastanza semplice. Una manipolo di uomini sarebbe dovuto penetrare all'interno di San Miniato e avrebbe posto il controllo su una porta, nell'attesa di un intervento esterno condotto dall'esercito pisano di Jacopo d'Appiano e guidato da Benedetto Mangiadori.
La prima rivolta, nonostante l'uccisione del Vicario Davanzati, era stata soffocata dalle truppe fiorentine accorse in gran numero, che avevano costretto il Mangiadori ad una fuga rocambolesca. Per questo nuovo tentativo, l'idea che venne ai cospiratori fu quella di far ribellare un castello del contado sanminiatese, in modo da far uscire i militari fiorentini e avere così via libera per le strade di San Miniato. L'idea sembrava non fare una piega.
Il castello designato per questo tentativo di rivolta era quello di Gello in Valdegola. Oggi, come allora, il colle denominato Gello è raggiungibile dai crinali di Corniano e Collebrunacchi, oppure salendo dalla strada che comincia dalla Pieve di Corazzano. Il presidio militare di stanza a Gello, si trovava nel punto più alto del territorio sanminiatese, quindi era facilmente visibile da un ampio raggio. Inoltre era ben distante da San Miniato, almeno 6-7 km. I militari fiorentini per raggiunge Gello, sedare la rivolta e tornare a San Miniato avrebbero impiegato un bel po' di tempo. Quel tempo che, evidentemente, Benedetto Mangiadori riteneva necessario per far ribellare San Miniato, far entrare i militari pisani e fare una bella sorpresa ai fiorentini.

La posizione di Gello in Valdegola
Foto di Francesco Fiumalbi

Gli uomini del Mangiadori sarebbero dovuti entrare attraverso il convento degli Agostiniani, che si trovava adiacente alla chiesa di Santa Caterina, la chiesa che si affaccia su Piazza XX settembre o Piazza dell'Ospedale. Era una zona marginale, lontana dagli occhi dei Fiorentini e dalla loro “cittadella” militare, che comprendeva l'area del Duomo e dell'attuale Piazza del Seminario. Inoltre la vicina valle di Sasso, chiusa a occidente e ad oriente, garantiva un ottimo nascondiglio per l'esercito dei cavalieri pisani.
L'accordo con i frati, infatti, prevedeva che circa 80 fanti sarebbero dovuti entrare all'interno del convento e restare chiusi dentro la chiesa di Santa Caterina, in attesa che partisse la rivolta a Gello. Una volta che i militari fiorentini si fossero allontanati per soffocare la sommossa, gli uomini sarebbero usciti dalla chiesa e avrebbero posto il controllo su una delle porte di San Miniato, verosimilmente la vicina Porta di Poggighisi o di San Benedetto. La porta sarebbe dovuta essere mantenuta aperta, per far entrare l'esercito pisano guidato dal Mangiadori e costituito addirittura da 1000 cavalieri pisani, guidati dall'Appiano e coadiuvati da altre truppe mercenarie fatte venire appositamente da Sarzana.

La chiesa di Santa Caterina a San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

Il Mangiadori le aveva pensate davvero tutte, ma una cosa gli sfuggì. Per compiere il disegno aveva dovuto trovare un accordo con il convento Agostiniano di Santa Caterina. Uno dei frati, informato di quello che stava per accadere, senza pensarci due volte andò a riferire tutto al Vicario Fiorentino Lapo di Giovanni Niccolini. Nel frattempo il castello di Gello si era già ribellato, ma il Vicario, udendo ciò che raccontava il frate, non fece partire nessuno verso castello in rivolta. Anzi probabilmente diresse i suoi uomini verso la chiesa di Santa Caterina per verificare se quanto riferito dal frate corrispondeva a verità.
Gli uomini del Mangiadori, venuti a conoscenza del fatto che erano stati scoperti fuggirono a gambe levate e i cavalieri pisani che erano pronti ad intervenire tornarono indietro.
Una volta che la minaccia fu allontanata, i Fiorentini si diressero in forze al castello di Gello e, dopo averlo occupato, lo rasero al suolo. I capi del castello, che avevano appoggiato il disegno orchestrato da Benedetto Mangiadori furono catturati e puniti. Giovanni Sercambi non lo dice, ma molto probabilmente vennero giustiziati. D'altra parte questa era la condanna riservata ai ribelli e ai traditori.

La ex-chiesa di Santa Maria a Gello in Valdegola 
Per molto tempo abbandonata, è stata recuperata come abitazione
Foto di Francesco Fiumalbi

Ed ecco le parole utilizzate da Giovanni Sercambi per narrare l'episodio:

DXXV. Chome Benedecto Mangiadori ordinava tollere Saminiato a' Fiorentini.[anno 1397]

E mentre che tali cose s'ordinònno, Benedecto Mangiadori da Saminiato, lo quale altra volta volse tollere Saminiato a' Fiorentini, ordinò di nuovo uno tractato di prendere il dicto Saminiato. E acciò che non passi questo punto che tucto si sappia, dico che a dì .X. novembre dovea il dicto Benedecto entrare dentro, e l'ordine era che in nella chieza de' frati di santo Agustino di Saminiato si doveano ripuonere circha .LXXX. fanti armati, et quelli doveano intrare dentro in modo di contadini, e come fussero dentro, facea lo dicto Benedecto ribellare uno chastello della corte di Saminiato nomato Gello; e questo facea acciò che tucte le brigate di Fiorenza eh' erano in Saminiato cavalcassero al dicto Gello. E il dicto Benedecto, colle genti del dugha di Milano ch'erano in Pisa e in quelle circustanzie, deveano traere a pie di Saminiato, e allora quelli fanti che erano entrati dentro, doveano prendere una delle porti di Saminiato e quella tenere aperta, e le diete brigate entrare dentro. E acciò che meglio, si potessero difendere da' Fiorentini, era venuto a Serezana messer Nicolecto Diversi et Paulo Savelli con chavalli .M., li quali doveano chavalcare di tracta là, oltre l'altre cose che aveano a fare. E avendo il dicto Benedecto tal pratica appalezato a uno suo amico frate in nel dicto ordine, il dicto frate tal cosa narrò a uno suo compagno frate, e il predicto andò e narrò tucto al vicario di Saminiato, essendo già ribellato il dicto Gello. Di che, sentendo il dicto Benedecto tal facto essere schoperto e non potere seguire l'ordine, si tornò in dirietro.
[Salvatore Bongi (a cura di), Le Croniche di Giovanni Sercambi, Vol. 2, Tip. Giusti, Lucca, 1892, pp. 61-62]

DXXVI. Come lo comune di Firenza disfecie lo castello di Gello della corte di Saminiato. [anno 1397]
Avendo questo i Fiorentini sentito, subito preso il dicto castello di Gello e quello disfacto ad exemplo che neuno ardiscila ribellarsi, e alcuni capi di Gello presi et puniti segondo il fallo commesso; & per questo modo campò Saminiato.
[Salvatore Bongi (a cura di), Le Croniche di Giovanni Sercambi, Vol. 2, Tip. Giusti, Lucca, 1892, p. 62]

Oltre alla cronaca del Sercambi siamo in grado anche di conoscere quelle che furono le iniziative intraprese dal Vicario e dalla popolazione delle comunità vicine, come quella di Montaione. Di questo ci offre una interessante testimonianza il Libro delle Deliberazioni del Comune di Montaione [conservato presso l'Archivio Figlinesi, confluito nel Fondo Pergamente Salvagnoli, oggi all'Archivio Storico di Empoli] da cui trasse gran parte delle informazioni Antonio Angelelli nel volume Memorie Storiche di Montaione in Valdelsa, Tip. Bencini, Firenze, 1875. Qui, alle pagine LXXIV-LXXV troviamo conferma della narrazione del Sercambi ed alcuni particolari in più.
Il 9 novembre 1397 giunsero a Montaione due messi del Vicario di San Miniato provenienti da Santo Stefano, i quali portarono la notizia dell'avvenuta ribellione del castello di Gello. Arrivò dunque la lettera del Podestà di Barbialla e Montaione che, forte delle direttive del Vicario, chiedeva di mettere a disposizione tutti i legnaioli e gli scalpellini presenti in quella comunità e quante più persone potessero svolgere compiti simili. Il giorno 16 novembre si sarebbero dovuti recare a Gello, ad arrecare il "guasto" a quel castello [Lib. Delib., c. 172 e 175]. Ovvero, lo dovevano radere al suolo.


Il 17 novembre successivo il Vicario di San Miniato Niccolini inviò una lettera indirizzata a tutti i Podestà e a tutti gli ufficiali dei Comuni del territorio del vicariato. Attraverso la missiva comunicava che i Dieci di Balìa del Comune di Firenze, il 15 novembre precedente, avevano messo al bando Benedetto di Bartolomeo Mangiadori e i suoi figli. Di seguito il testo:

Ieri, che furono dì XV novembre del presente, ricevemmo lectera da' signori  Dieci della Balìa della città di Firenze, nella quale si contiene, come dicono ànno fatto uno ordinamento sopra i fatti di Benedetto di messer Bartolomeo de' Mangiadori e figlioli da Saminiato Fiorentino. Il quale àanno fatto copiare, et la copia d'esso ordinamento àanno mandato a noi, perché ci scrivono vogliono noi lo facciamo bandire in Saminiato et per lo Vicariato, et che la faciamo apicare a una porta di Saminiato. Et pertanto mandiamo a voi et ciaschuno di voi, Podestà et Ufficiali a chui le presenti avverà, colla presente lectera la copia predetta scriviate, acciò che facciate i detti ordinamenti, come nella detta scripta si contiene, bandire in ogni luogho della vostra iuridictione; et fate in ogni luogho publico apichare una copia della detta scripta, sichè possa a ciaschuno essere manifesto quanto ànno fatto. Ancora per la presente avisiamo ciaschuno di voi, come di questi dì in Pisa àanno fatto la mostra di loro gente d'arme, d'Antonio et di gianni Colonna et poi di Paolo Savello e di Lucha da Chanale et di Nanni da Fighine; i quali sono con assai gente, et pensiamo senza fallo voglino cavalcare il nostro terreno; e dubitiamo non abbino qualche inditio per lo paese. Et pertanto fate d'attendere a buona et sollicita guardia di dì et di nocte, sì che non potesse per nostro difetto advenire alcuno inconveniente.
[Libr. Delib., c. 172 in A. Angelelli, Memorie Storiche di Montaione in Valdelsa, Tip. Bencini, Firenze, 1875pp. LXXIV-LXXV.

[Prima revisione 8 maggio 2016]

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