lunedì 2 dicembre 2013

ADDSM - COMMENTO - 1223 - 15 GENNAIO - ACCORDO CON IL COMUNE DI SAN GIMIGNANO

di Francesco Fiumalbi

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ARCHIVIO DOCUMENTARIO DIGITALE DI SAN MINIATO [ADDSM]
ADDSM - 1223, 15 gennaio, Accordo con il Comune di San Gimignano

[1° aggiornamento - 15 gennaio 2017]

San Gimignano
Foto di Francesco Fiumalbi

In questa pagina è proposto il commento al documento conservato presso l'Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico,Comune di San Gimignano, 1223, 15 gennaio. Si tratta di un atto volto a stabilire alcuni rapporti, prevalentemente di natura commerciale, tra la comunità di San Gimignano e quella di San Miniato. Presenta diversi aspetti di interesse, sia per l'argomento stesso del documento, sia per quanto riguarda tutta una serie di informazioni collaterali.

IL CONTESTO Siamo nei primi anni di regno di Federico II, incoronato a Roma nel 1220. San Miniato, almeno dagli inizi del XII secolo fu scelta quale sede di un vicario, che curava gli interessi della corona nella Toscana. La stessa comunità sanminiatese, già a partire dalla seconda metà del XII secolo si era dotata di una organizzazione di tipo comunale.

GLI ATTORI La figura centrale del documento è Alexander che viene indicato come castellanus per conto di Gontholino Vicario imperiale per la Toscana. I Vicari imperiali, pur dimorando ufficialmente nel castello di San Miniato, in realtà erano spesso in viaggio a causa dell'importante incarico diplomatico. Infatti, proprio a partire dall'epoca di Federico II, erano soliti avvalersi di un proprio uomo di fiducia, a cui affidare il controllo sul castello sanminiatese durante i periodi d'assenza, con il titolo di castellanus. In altri documenti, temporalmente precedenti, la figura del “castellano” spesso coincideva con quella del “vicario”.
Inoltre accanto alla figura di Alexander è segnalata la presenza di Loderii, indicato come militis, e come suo socii. Probabilmente gli incarichi di tipo amministrativo e giudiziario erano affidati ad Alexander, mentre a Loderii era affidato un ruolo di tipo militare e organizzativo.
Curioso poi il termine con cui viene definito Gontholino, ovvero imperialis aule dapifero, colui che porta le vivande per la corte imperiale. Con quel termine viene sottolineato da una parte l'aspetto del “servizio” svolto all'Impero e dall'altra gli viene riconosciuta una grande fiducia. D'altra parte colui che porta il cibo potrebbe somministrarlo anche avvelenato, e quindi per tale ideale mansione era necessaria una persona in cui era riposta la massima fiducia. E la parola dapifero è utilizzata proprio per rendere questa idea, ovvero che Gontholino era un fedelissimo servitore dell'Impero.
Tornando ad Alexander, egli viene indicato anche come habito consilio bonorum ac sapientum virorum sancti Miniatis, cioè investito dell'approvazione da parte degli “uomini” del Comune di San Miniato. Quindi, in questo accordo, Alexander oltre a rappresentare gli interessi dell'Impero per conto del Vicario, rappresenta anche quelli della comunità sanminiatese. Quest'ultima, si era dotata, probabilmente, di un organo rappresentativo costituito da un “consiglio degli uomini”, antesignano del Consiglio del Popolo la cui descrizione possiamo trovarla, un secolo più tardi, negli Statuti del 1337. Interessante anche come vengono indicati questi “uomini”, ovvero bonum e sapiendum: “buoni” che agivano con spirito di servizio e con fedeltà, curando gli interessi della comunità sanminiatese, e “sapienti” nel senso che erano persone istruite, fornite cioè di conoscenza, ma anche di esperienza, ovvero della capacità di decidere sul da farsi. Probabilmente per poter far parte di questo ristretto gruppo decisionale, i membri, rigorosamente maschi, dovevano essere in possesso di alcune caratteristiche morali, di istruzione e, forse, anche di censo.
Quindi Alexander con il potere conferitogli dal Vicario Gontholino, con il consenso del suo socio Loderii, e investito dal Consiglio degli Uomini "buoni e sapienti" del Comune di San Miniato, stipula un accordo con il Comune di San Gimignano, che risulta rappresentato da lacobo Assedicti et Lamberto Turris et Sanguineo. Quest'ultimi sono indicati sia come ambasciadoribus comunis et hominum sancti Geminiani, ma anche come consuli mercatorum sancti Geminiani, quindi oltre a rappresentare la comunità sangimignanese, sono i portatori anche degli interessi commerciali.
Inoltre a testimoniare la stipula dell'accordo, troviamo indicati i giudici sanminiatesi Forteguerra et Schiatta et Rodulfo, una persona che non ha un ruolo ben specificato, Henrico Paganelli, mentre è interessante notare la presenza del tesoriere, ovvero Hermanne canevario eiusdem cassari. Infatti, come è noto, il castello imperiale di San Miniato funzionava anche come centro di raccolta per i tributi della Toscana e di alcune zone dell'Umbria, e questo già dagli anni '60 del XII secolo, al tempo di Federico I “Barbarossa” e quindi la figura del tesoriere era certamente molto importante.
Infine conosciamo anche colui che redasse fisicamente l'atto, Deotisalvi de sancto Miniate, giudice e notaio, investito della sua carica dall'Imperatore Ottone IV.

L'ACCORDO Con questo atto le comunità di San Miniato e di San Gimignano stipularono un trattato di natura commerciale, volto a consentire ai mercanti valdelsani di poter transitare attraverso il territorio della comunità sanminiatese e del distretto imperiale secondo determinate condizioni e garanzie. Lo stesso accordo venne sottoscritto anche dai sangimignanesi nei confronti dei commercianti di San Miniato. Quindi si trattò di un atto reciproco, anche se le condizioni fissate dai sangimignanesi per il proprio territorio non sono specificate in dettaglio.
L'atto riconosceva ai sangimignanesi di poter entrare, spostarsi e sostare per castrum et curiam sancti Miniatis (alludendo al fatto che queste condizioni erano valide sia all'interno del centro abitato, il castrum, quanto nel territorio distrettuale, la curiam), in plenam securitatem, e valeva per personis et rebus omnibus. Avere garanzie di questo tipo, significava poter attraversare un territorio in sicurezza, tanto per gli uomini quanto per le merci da trasportare. Era molto importante perché un mercante non sceglieva necessariamente il percorso più breve, bensì quello più sicuro, per sé e per il suo carico. Era una garanzia volta ad aumentare la possibilità che il trasporto andasse a buon fine. Inoltre venivano stabilite anche le condizioni in caso di controversia.
Per i Sangimignanesi era un accordo importante, che garantiva loro un sicuro transito attraverso il territorio sanminiatese in direzione nord, verso Lucca e i valici appenninici, e verso il porto fluviale dell'Arno, da cui potevano raggiungere Pisa e Firenze.
I Sanminiatesi dal canto loro si facevano pagare, d'altra parte per niente non si fa niente. Infatti, il trattato prevedeva anche il pagamento di un pedaggium, fissato nella misura di 26 denari, e che dava il diritto di transitare nel territorio sanminiatese dal rivo de Arsiccione fino all'Arno e poi dall'Arno fino a Porcari. Il pedaggio, tuttavia, non poteva escludere il pagamento di altre imposizioni locali, evidentemente presenti nel tratto tra l'Arno e Porcari. Si potrebbe osservare un tacito riferimento alla presenza di ponti, o in alternativa di traghetti, presenti per l'attraversamento dello stesso Arno, del fiume Usciana e di altri corsi d'acqua. Per poter usufruire di questi servizi ovviamente era previsto un pagamento specifico che non era compreso nei 26 denari di pedaggio.
Grazie alle preziose indicazioni di Franco Ciappi, siamo in grado di riferire il rivo de Arsiccione ad un piccolo affluente di sinistra dell'Elsa, a confine fra gli attuali comuni di Montaione e Gambassi, denominato anche "Rio Petroso". Infatti, su un rilievo a sud di tale corso d'acqua, è presente il toponimo di Arsiccio dove era presente la chiesa di Sancti Micchaelis de Arsicciole, indicata nell'elenco delle suffraganee della Pieve di Santa Maria a Chianni (prossima a Gambassi Terme) stilato in occasione della Decima degli anni 1276-77  [P. Guidi, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, Vol. 1, La decima degli anni 1274-1280, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1932, p. 165].
La strada interessata dal pedaggio, con ogni probabilità, era l'antica via Francigena (la direttrice nord-sud, comprensiva di varianti e diramazioni), il percorso che l'Arcivescovo Sigeric fece da Roma per tornare a Canterbury alla fine del X secolo. A questo punto prende significato anche la data dell'atto, il 1223. Infatti, nel 1217 l'Imperatore Federico II, non ancora incoronato, aveva concesso ai sanminiatesi i diritti sulla strada, assieme a quelli sul borgo di San Genesio. Quindi chi voleva transitare da quell'arteria viaria, doveva farlo secondo le modalità che sarebbero state fissate dai sanminiatesi. Tuttavia, stando al documento, almeno fino al 1223, sembra che il Vicario imperiale, o comunque il suo rappresentante, potesse ancora vantare diritti sulla strada. Se non altro un diritto di veto. Tra l'altro il luogo dove doveva essere corrisposto il pedaggio sembra non essere ancora stato fissato alla data del 1223. Infatti nell'atto viene specificato che sarà fatto pagare in uno loco ad voluntatem castellani, che quindi non era ancora stato deciso.

IL CASTELLO DI SAN MINIATO Nel documento ci sono una serie di informazioni collaterali che possono tornare utili per cercare di capire come era organizzato il centro sanminiatese.
Innanzitutto merita fare attenzione sui termini. Con cassaro sancti Miniatis viene indicata l'incastellatura vera e propria, il presidio militare dove era presente l'amministrazione imperiale, ovvero quella che noi oggi chiamiamo la “rocca” e che spesso troviamo indicata anche con il termine “cassero”. Con castrum è indicato invece il borgo fortificato, il centro cittadino, che si estendeva al di sotto del castello imperiale. Infine con curiam deve intendersi il territorio, o distretto, giurisdizionalmente dipendente dal centro sanminiatese.
L'amministrazione imperiale, abbiamo visto, si componeva almeno di quattro figure significative: il legato (o vicario), il castellanus, il militis (responsabile militare) e il canevario (tesoriere), oltre a tutto il seguito di iudibus (i giudici) e di notai. Più controversa la situazione dell'organizzazione comunale sanminiatese, in cui sembra comunque essere presente una sorta di Consiglio degli Uomini.
Infine, come riportato al termine dell'atto, il trattato viene registrato in cassaro sancti Miniatis ante ecclesiam beati Michaelis, cioè all'interno del cassero e davanti la chiesa di San Michele Arcangelo, che sappiamo essere stata costruita proprio all'interno della fortezza imperiale. Il titolo della chiesa, dopo un lungo periodo di abbandono, fu trasferito all'interno della chiesa di Santo Stefano, anch'essa suffraganea della Pieve di San Genesio prima e della Pieve SS. Maria e Genesio (oggi Cattedrale) poi.

[1° aggiornamento - 15 gennaio 2017]

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