lunedì 30 aprile 2012

DELLA VITA DI PIETRO BAGNOLI (seconda parte)

di Francesco Fiumalbi


In questa seconda parte, continueremo a parlare della vita di Pietro Bagnoli, una delle figure di maggior rilievo della prima metà dell’800 a San Miniato. La fonte principale è ancora la sua Autobiografia, una raccolta di carte da lui scritte e conservate presso al Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
Nella prima parte abbiamo parlato della sua giovinezza a San Miniato, dei suoi studi presso l’ateneo pisano, e del suo servizio alla corte di Ferdinando III, dapprima a Firenze, poi a Vienna, Salisburgo e Wurtzburg.

Pietro Bagnoli
Disegno di Francesco Fiumalbi
(sulla base del monumento funebre collocato nel Duomo di San Miniato)

LA RESTAURAZIONE E IL RITORNO A SAN MINIATO
Napoleone era stato sconfitto definitivamente e il Congresso di Vienna riportò la situazione allo stato precedente alla rivoluzione francese. “In patria, dimorando sotto una carta di sicurezza, senza essere stato mai suddito d’altri che del mio Principe, accadde quel gran rovescio di cose, per la quali il Padrone e Sovrano di Toscana ritornò felicemente al suo governo colla Real Sua famiglia, e con quel caro Figlio (Leopoldo, n.d.r.) che ora fa la felicità e la gloria della Toscana. E me accolsero per loro clemenza con quella medesima bontà, in cui mi avevano tenuto in Germania; ciò è a tutti noto, che basta per testimonianza e premio di mia fedeltà, perché trovai in loro quell’amore nelle parole e nei fatti, che aveva lasciato a Wurtzburgo” (1).
Pietro Bagnoli nei primi anni Dieci dell’800 aveva fatto ritorno in Toscana, proprio nella sua città natale: San Miniato.
“Samminiato di Toscana, torno qui a ripeterlo, in Italia è la mia patria. Piccola città in mezzo posta tra Firenze e Pisa in quella catena di colline che dalla Val d’Evola alla Val d’Elsa si estendono (…). Dolce è ritornare indietro sulle vestigia della prima età, che si ritrovano nel cuore, e ricordar dosi più delle persone, dei luoghi trastulli sicuri da ogni dolore e cura, di noiosi pensieri e di bisogni, che portano seco gli anni seguenti e li addossano alla crescente vita” (2).
Il Granduca Ferdinando III, per gratitudine e riconoscenza nei confronti di Pietro Bagnoli, gli concesse la medaglia d’oro intitolata “MERENTIBUS” e qualche anno dopo lo nominò Cavaliere di Santo Stefano (3).

San Miniato, veduta panoramica
Foto di Francesco Fiumalbi

LE SCUOLE REGIE E LA RESTITUZIONE DI SAN FRANCESCO
Pietro Bagnoli si occupò anche dell’organizzazione scolastica in San Miniato presso il Granduca Ferdinando III. Propose San Miniato quale sede per un collegio da affidare ai Padri Scolopi (la scelta cadde su Empoli), ma nella “Città della Rocca” arrivarono soltanto Maestri non regolari e con essi furono le Scuole formate, che esistono, con vantaggio del paese e della pubblica istruzione (4). Per la sede della scuole pubbliche propose il convento di San Francesco, che era stato confiscato in ordine al decreto del 25 aprile 1810 promulgato da Napoleone e la cui proprietà era passata al Granducato di Toscana. Il concordato del 4 dicembre 1815 fra Toscana e Santa Sede, infatti, non prevedeva il ripristino del convento francescano di San Miniato. La cosa non andò in porto poiché la spesa per trasformare il convento in collegio si presentava ingentissima. Così, furono acquistati i locali del convento di SS. Trinità nel 1818 (5) (ancora oggi sede delle scuole elementari e medie), mentre il complesso francescano rimase abbandonato, e i frati ancora sistemati nel monastero di San Paolo (6).

San Miniato, Chiesa di San Francesco
Foto di Francesco Fiumalbi

“Ora stando in quello stato di abbandono S. Francesco, accadde un avvenimento che parve del Santo medesimo mandato, che standomi io un giorno nella Reale Biblioteca domestica, a cui il principe mi aveva gratificato l’accesso, ecco che egli entrò; e fermatosi ivi, perché aspettava il suo maggior Domo per andar fuori, cominciò a parlare come affabile e […?] e per incidenza del discorso entrato a dire di San Miniato, dov’Egli non era mai stato, mi domandò di quella gran fabbrica che lassù si vedeva, passando dalla Scala. Mi sentii come ispirato la mente a quella domanda, e la risposta andò dritta al suo scopo.
Lo informai di quanto sopra ho esposto. Aggiunsi la santità del luogo, l’essere la Chiesa contigua e non interna alla città, e dominante l’adiacenza della vasta pianura del Valdarno, grande e comoda, ed effigiata, richiamava tutta la gente del contado alle Perdonanze, ed alle altre ritornate di devozione dell’anno, nelle quali alle confessioni grande sempre era il concorso. Ora i Frati interni nella città con una piccola Chiesa quasi inutili al Sacro Ministero, col loro patrimonio, l’uso del quale sarebbe servito anco a conservare quella dignitosa fabbrica, d’onde era la loro origine che gran danno veramente era quello di vederla deperire, ed annidarvi animati, e servire chi si nascondesse, a chi volesse romperne qualche pezzo per materiali o ad altra più […?] opera. E così, dettemi Egli alcune cose, e risposto avendo io sempre diretto alla reintegrazione di quel convento, si venne al punto di dire, che una sola sua parola poteva restituirlo. Questa parola venne.
Domandai di […?] un Memoriale. L’accettò, fu fatto, e riscritto. E quando si venne ai sussidi per restaurarlo, il io Signore ne dette il primo esempio con settanta zecchini d’elemosina; qualche altra somma dette l’Arciduchessa Luisa, altra il Maggior Domo, ed altre pie persone della corte. E fu in San Miniato una deputazione magistrale all’uopo del rifacimento preposta, fatta giurare una nota, e noi paesani ci prestammo in modo che si fece una somma competente che il convento e la Chiesa restituì in grado che non tale sarà stata quando era nuova. I frati vi tornarono in gran festa, venderono la fabbrica di S. Paolo, su cui fondarono un annuo livello per il mantenimento di S. Francesco” (7). Il ripristino ufficiale avvenne nel 1817 e i francescani poterono farvi ritorno solo nel 1827, dopo che la chiesa e il convento furono restaurati (8).
Il convento di San Paolo fu acquistato dallo stesso Pietro Bagnoli, per la somma di 900 scudi, dove prese residenza assieme ai suoi familiari; la situazione del convento rimase inalterata fino al 1889, anno in cui fu riacquistato e vi tornarono le monache clarisse (9).

Ingresso del Monastero di San Paolo
Da notare le iniziali “PB” nella rostra
Foto di Francesco Fiumalbi

IL NUOVO PONTE SULL’ARNO
Nel frattempo era morto il Granduca Ferdinando III, e il suo posto fu occupato dal figlio Leopoldo II, il quale, abbiamo visto nella prima parte, aveva avuto per maestro proprio Pietro Bagnoli.
In quegli anni il Bagnoli si occupò, fra le varie cose, anche del ponte in progetto nei pressi di Bocca d’Elsa a Marcignana. Bagnoli si oppose a costruire l’importante infrastruttura in quella località, puntando sull’asse viario San Miniato-Fucecchio. Nonostante l’opposizione di Bagnoli, il ponte fu costruito a Marcignana e inaugurato il 16 dicembre 1835 (10).

L’ACCADEMIA DEGLI EUTELETI
Non mancò il Bagnoli, neppure di partecipare alla vita culturale sanminiatese, con la sua adesione all’Accademia degli Euteleti (rifondata nel 1822 sulle ceneri della vecchia Accademia degli Affidati (11). “Incominciarono l’Accademia degli Euteleti alcuni scolari miei di Greco nel tempo delle vacanze; e volendosi denominare volontari sbagliarono il termine dicendosi Eutelici; e sotto questo nome avanzarono la domanda al governo per la sanzione che ottennero. Essendo venuti ad invitarmi perché volessi assisterli, gli avvertì del nome errato, che non significava quello che volevano, anzi presso che il contrario. E i vari nomi dal Greco dissi loro, come Protimi, o altro simile, ma essi vergognandosi di esser usciti col nome di Eutelici in faccia al pubblico, e al governo stesso, mi pregarono di un nome più somigliante all’esposto, e non trovai che Eutelete altro che più si accostasse, benché si trovi parola nel greco di cui siano i Greci giovati, mettendo l’al […?]. Pure la feci così accoppiando semplici usatissime a elementi legittimi, e per legittimo fu adottato. Quindi l’insegna inventai allusiva, Il cavallo non spronato nell’arena che significa i volontari senza impulso estraneo e la società fu formata, e cumulata di un numero abondantissimo ed insigne di corrispondenti toscani, Italiani, ed Europeo, oltre i dodici ordinari che leggono la Prosa ad ogni tenuta. E le tenute sono mensuali ogni secondo giovedì del mese, dal settembre ed ottobre in fuori. L’apertura si fece nella casa paterna del Sig. Canonico Torello Pierazzi istitutore primiero, insieme al di lui fratello Gabriello (…), ed ivi si tennero le adunanze, e crebbero e fiorirono, finché per insigni meriti il canonico, già per anni Vicario Generale, e poi capitolare della Città e della Diocesi, fu innalzato alla cattedra vescovile (…). Io fui eletto Presidente perpetuo dell’Accademia. E quando il canonico istiture fu fatto vescovo traslocò dalla casa nativa nel palazzo vescovile dov’è al presente” (12).

Stemma dell’Accademia degli Euteleti, ideato da Pietro Bagnoli
Foto di Francesco Fiumalbi

LA BANCA E IL TRIBUNALE
Grazie all’influenza che Pietro Bagnoli poté esercitare sul Granduca Leopoldo II, suo allievo in tenera età, la città di San Miniato fu dotata di importanti istituzioni.
Nel 1829 alcuni membri dell’Accademia degli Euteleti presentarono istanza presso il Granduca, affinché potessero costituire una cassa di risparmio affiliata a quella fiorentina. La risposta affermativa non tardò ad arrivare, anche perché tra i firmatari figurava proprio il Can. Pietro Bagnoli (13). Il decreto granducale fu promulgato il 23 gennaio 1830 e l’accordo con il Consiglio della Cassa di Risparmio di Firenze fu sancito il 25 febbraio 1830. La Cassa di Risparmio San Miniato aprì la prima filiale il 6 luglio 1830 (14).
Con il motuproprio del 2 agosto 1838, Leopoldo II istituì i cosiddetti tribunali collegiali di prima istanza, civili e criminali, nelle città di Firenze, Livorno, Pisa, Siena, Arezzo, Grosseto, Pistoia, Montepulciano, Rocca San Casciano e, appunto, di San Miniato (15). Anche questa conquista per la “Città della Rocca” è da attribuire al vivo e stretto rapporto tra Pietro Bagnoli e Leopoldo II. Di lì a pochi anni, giunse anche la Sottoprefettura, come distaccamento di quella fiorentina.
In virtù degli importanti istituti, si formò nel 1838 una deputazione cittadina, presieduta da Pietro Bagnoli, per l’erezione di una statua in onore al Granduca Leopoldo II (16). Tale monumento fu inaugurato con una solenne cerimonia nel 1843.

Palazzo Grifoni, oggi sede della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, tra i cui fondatori  risulta Pietro Bagnoli.
Foto di Francesco Fiumalbi

GLI ULTIMI ANNI
Ormai ottantenne, Pietro Bagnoli si ritirò definitivamente a San Miniato nel 1845, non prima di aver ricevuto dal municipio una medaglia commemorativa per gli onori che aveva portato alla nativa città, con su scritto “TANTO FILIO PATRIA” (17)
Pietro Bagnoli spirò il 22 ottobre del 1847 e il suo corpo fu sepolto all’interno della chiesa di San Paolo (18). “Lo accompagnava al sepolcro tutto il clero secolare e regolare, a capo il Vescovo vestito degli abiti pontificali; del quale era il Bagnoli Vicario Generale. Il feretro, sorretto dai fratelli della Misericordia, era circondato dai reali Carabinieri. Seguivano la banda in corrotto, la Deputazione delle regie scuole e quella dell’Accademia degli Euteleti di cui era il Bagnoli Presidente perpetuo. Terminarono il sacro corteggio due lunghe file di cittadini; né il dolore dei volti era mentito. Sulle fredde spoglie nella Cattedrale il Prof. Santi Neri diceva in encomio del Defunto parole di dolore sentito e ricche di pensiero e di affetto” (19).
Sul monumento funebre vi si legge (20):
NOBILTA’ E RETTITUDINE DELL’ANIMO – ACUME DI INTELLETTO – GENTILEZZA DI COSTUME INNOCENZA DI VITA – RELIGIONE EVANGELICA – ALLA VASTA SAPIENZA PARI LA MODESTIA – APOSTOLATO DELLA CATTEDRA – LEPOLDO SECONDO – PIU’ CHE DISCEPOLO AMICO – ITALIA IN CIMA A TUTTI AFFETTI  - E DI AUREI VOLUMI ARRICCHITA – IN NATIO LOCO BENEFICATO – LA STORIA RICORDANO AD ESEMPIO – AI POSTERI DIRA’ QUAL FOSSE – PIETRO BAGNOLI – FATTO CELESTE AI 22 D’OTTOBRE 1847 – OTTANTESIMOTERZO DI SUA MORTALITA’.
P. PIETRO CONTRUCCI
Frontespizio de L’Orlando Savio

OPERE DI PIETRO BAGNOLI (21)
·         L’Agricoltura, poemetto pubblicato per la prima volta a Pisa nel 1795;
·         Ottave per la liberazione della Toscana, redatte per la breve restaurazione del Granducato di Toscana nel 1799 e pubblicate in Firenze lo stesso anno;
·         Sul problema perché i tedeschi riescono perfetti di gusto e di genio nella musica e non così nella poesia, poemetto pubblicato a Pisa nel 1804;
·         Per la Venere Italica scolpita da Antonio Canova, sonetto pubblicato a Pisa nel 1812;
·         Per il faustissimo ritorno in Toscana di S. A. I. e R. il Gran Duca Ferdinando III, nostro augusto sovrano, poemetto composto in occasione della restaurazione e pubblicato a Firenze nel 1814;
·         Stanze sul ritorno dei monumenti delle belle arti ricuperati dalla Toscana per la pace del 1815, raccolta di poesie, Firenze, 1815;
·         Stanze per l'avvenimento di Mons. Morali all'Arcivescovado di Firenze, raccolta di poesie, Firenze, 1815;
·         La felicità dell'Arno, poemetto, Firenze, 1817;
·         Per le R. Nozze del Principe di Carignano con S. A. I. e R. Maria Teresa d'Austria, poesia, Firenze, 1817;
·         Giove in Creta, dramma, Firenze, 1819;
·         Il Cadmo, ossia l'introduzione della civil cultura, poema in ottava rima, considerato la sua massima opera, pubblicata a Pisa nel 1821, ristampata a San Miniato nel 1836 e rammentata anche da Giosué Carducci in Le risorse di San Miniato al Tedesco.
·         Poesie varie, prima edizione pubblicata a Pisa nel 1822, ristampata nel 1834 a San Miniato e a Firenze nel 1857 con prefazione di Augusto Conti;
·         Canzone pel parto dell'Arciduchessa M. Anna di Sassonia Gran Principessa di Toscana, Pisa, 1822.
·         Orlando Savio, pubblicato per la prima volta nel 1835 e ristampato in Firenze nel 1843 con prefazione dell’Abate Giuseppe Bertini;
·         Collaborò con il Nuovo giornale dei letterati dal 1822 al 1827, nella cui sezione dedicata alla letteratura comparvero molti suoi scritti.


NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) Bagnoli Pietro, Autobiografia, trascrizione a cura di Candela Sabina, Comune di San Miniato, 1998, originale conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, c.146r, p. 64.
(2) Bagnoli, Op. Cit., c.173r, p. 75.
(3) Bagnoli, Op. Cit., c.177r, c.178r, pp. 77-78.
(4) Micheletti Nello, Nel 1° centenario della morte del poeta Pietro Bagnoli, in Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, n. 13, 1947, San Miniato, p. 14.
(5) Piombandi, Guida della Città di San Miniato al Tedesco, Tipografia Ristori, San Miniato, 1894, p. 54, in Matteoli Anna (a cura di), Guida storico-artistica di San Miniato, Bollettino dell'Accademia degli Euteleti, n. 44, 1975.
(6) Bagnoli, Op. Cit., c.178r, c.179r, p. 78-79.
(7) Bagnoli, Op. Cit., c.180r, c.181r, p. 79.
(8) Piombandi, Op. Cit., p. 107.
(9) Piombanti, Op. Cit., pp. 114-115.
(10) Repetti Emanuale, Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, Firenze, 1841, vol. IV, p. 391, voce: PONTE NUOVO A BOCCA D’ELSA.
(11) Simoncini Vasco (a cura di), San Miniato e la sua Diocesi, CRSM, Edizioni del Cerro, 1989, p. 116.
(12) Bagnoli, Op. Cit., c.189r, pp. 83-84.
(13) Nanni Paolo, Profilo storico della Cassa di Risparmio di San Miniato, in A.A.V.V., Cassa di Risparmio di San Miniato 1830-2005, p. 62. I soci fondatori furono: Torello Pierazzi Vescovo di San Miniato, Cosimo Pini, Baldassare Ansaldi, Giovacchino Mantovani, Maurizio Alli Maccarani, Nicola Gazzarrini, Dario Mercati, can. Giuseppe Vallini, can. Cesare Lottini, Giuseppe Berni, Iacopo Toscani, can. Giuseppe Piccardi, Giuseppe Morali, Vincenzo Migliorati, Pietro Paroli, can. Vincenzo Giunti, Damiano Morali, can. Pietro Bagnoli, Giuseppe Pazzini, Michele Mannini, Andrea Mannini, Giuliano Gelati.
(14) Ibidem.
(16) Archivio Storico del Comune di San Miniato, Fondo Preunitario, F4549.
(17) Micheletti, Op. Cit., p. 14.
(18) Rondoni Giuseppe, Memorie Storiche di San Miniato al Tedesco, Tip. Ristori, San Miniato, 1876, p. 344.
(19) Conti Giuseppe, Cenni biografici, elogio funebre e canto lirico in memoria di Pietro Bagnoli, San Miniato, Stamperia Vescovile, 1849, p. 8.
(20) Micheletti, Op. Cit., p. 15.

sabato 21 aprile 2012

SECESSIONISMO PONTAEGOLESE (terza parte)


di Francesco Fiumalbi

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Dopo aver trattato delle istanze pontaegolesi e della relazione del Commissario Prefettizio, di seguito proponiamo la prima parte del testo del Memoriale che i sanminiatesi compilarono per rispondere alla concreta possibilità del distaccamento. Oltre alla suggestione storica dovuta alla narrazione di alcuni episodi curiosi, questo documento rappresenta una vera e propria sintesi della situazione agli inizi degli anni ’20. Il tono quasi canzonatorio rivolto ai pontaegolesi aggiunge del pepe ad una lettura di notevole interesse.

Memoriale contro la domanda di separazione e di costituzione in comune autonomo della frazione Ponte a Egola, San Miniato, 1923


Onorevoli Signori Consiglieri

Precedenti. Il Sig. Geometra Olinto Rovini, all’inizio della sua Relazione, sente il dovere di dichiarare <<che devesi rendere la dovuta giustizia al comune di S. Miniato, che ha sempre bene e saggiamente amministrate tutte le sue frazioni>>.
E avrebbe potuto addurne la prova, per ciò che riguarda il Ponte a Egola, nel fatto che, pur essendo un nucleo di poco più di mille abitanti, ha una scuola rurale completa con cinque insegnanti, medico residente con cura gratuita per i poveri, levatrice, farmacia, guardia comunale residente, illuminazione elettrica, acquedotti e latrine pubbliche; che l’esazioni delle imposte vi si effettua dall’Esattore comunale in giorni determinati e che anche la macellazione delle carni viene compiuta nella stessa borgata.

Egli avrebbe anche potuto aggiungere che la popolazione del Ponte a Egola non fu mai tenuta estranea all’amministrazione delle cose pubbliche locali; che il numero dei suoi rappresentanti nel Consiglio comunale andò anzi progressivamente crescendo col crescere degli abitanti e dell’importanza della frazione, e che vari di essi presero spesso parte ben accetta nelle varie giunte comunale che via via si susseguirono.
Né sarebbe stato un fuor d’opera il notare >ma questo non si poteva pretendere dal Sig. Rovini > che il Ponte a Egola ebbe una parte preponderante nell’avvento delle due ultime amministrazioni, l’una del 1914, composta in prevalenza di elementi rurali, e l’altra, del 1920, che portò per la prima volta al potere elementi socialisti, e alla quale soprattutto si deve se il debito, che nel 1913 era di sole 95 mila lire, salì via via, tra consolidato e da consolidarsi, ad oltre un milione e mezzo!.

Ex-conceria “Orologio”
Ponte a Egola, Marianellato
Foto di Francesco Fiumalbi

E a questa larga parte fatta al Ponte a Egola nella pubblica amministrazione fa degno riscontro il contegno ognor corretto e gentile della popolazione del capoluogo verso i pontaegolesi, i quali poterono sempre frequentare la città per fruire dell’importante e florido mercato che vi si tiene ogni martedì, per accedere alle Banche e ai pubblici uffizi e per giovarsi dell’opera dei vari professionisti di cui sono fedeli e apprezzati clienti, senza vedersi mai fatti segno ad alcun atto men che rispettoso, neppur quando qualche gruppo di abitanti di quella frazione volle imporre la propria volontà contro qualche deliberato del Comune.
E’ quanto accadde circa in numero venti anni fa, quando il Municipio, in seguito a regolar concorso nominò a medico condotto del Ponte a Egola persona diversa dal medico interino favorito da quella popolazione. Le cose giunsero allora al punto che venne persino inscenata una specie di presa d’assalto di San Miniato. Eppure anche in quell’occasione la cittadinanza del capoluogo tenne un contegno addirittura ammirevole perché si limitò a sbarrar la strada ai troppo focosi dimostranti senza permettersi pur l’ombra d’una pressione sui Padri coscritti, benché il medico cui si voleva dar lo sfratto fosse un suo concittadino.
E i Padri coscritti poi, sempre indulgenti verso i loro amministrati delle frazioni, finirono con l’indurre il neo-eletto a rinunziare alla condotta, sostituendogli l’interino tanto accetto a quella borgata!.


Motivi su cui si fonda la domanda di distacco.      

Fu sin da quell’anno che, a detta del Sig. Rovini, il Ponte a Egola avrebbe aspirato a costituirsi in comune autonomo. E, se la notizia è esatta, ne seguirebbe a fil di logica che quell’aspirazione non sarebbe stata che la conseguenza dell’ingiusto sdegno concepito in quell’occasione contro l’amministrazione comunale dai dirigenti di quella borgata che insieme a tante ottime qualità, hanno un po’ il mal vezzo – se lo lascin dire – di stimarsi offesi quando si vedono contrariati in qualche loro anche non troppo legittimo desiderio.
Né mancano elementi per ritenere che un’origine poco diversa abbia avuta la presente campagna separatista.
Già è abbastanza significativo che quelle aspirazioni all’autonomia, rimaste allo stato di letargo per circa vent’anni – longum aevi spatium anche nella vita di una frazione rurale!- non si siano risvegliate e non abbiano assunta forma concreta che dopo i contrasti malauguratamente sorti tra il Fascio pontaegolese e quello di San Miniato – e certo non per colpa di quest’ultimo! – durante le elezioni amministrative dello scorso febbraio.
E quest’osservazione trova d’altronde ampia conferma nella poca e nessuna consistenza dei motivi fatti valere a giustificazione delle aspirazioni separatiste.
Pareva dapprima, a dir vero, che questi motivi si volessero desumere dalla pretesa eccessività dei tributi comunali che graverebbero con ingiusta proporzione sui contribuenti del Ponte a Egola.
E’ quanto fu infatti ripetuto fino alla sazietà nei pubblici e privati ritrovi dall’inizio di quell’agitazione al giorno della presentazione alla R.a Prefettura della formale domanda di distacco, cioè dai primi del marzo al 24 dello scorso aprile e fu anche asserito che quelle forti tasse non solo avevano già fatto chiudere alcune piccole fabbriche, ma ponevano l’industria conciaria del Ponte a Egola nell’impossibilità di sostenere la concorrenza con quella della vicina Santa Croce, dove pareva che il Comune fosse assai più mite nelle sue esigenze.
(Vedere le corrispondenze che vennero inviate in quel periodo di tempo alla Nazione e al Nuovo Giornale, e specialmente quella inserita nella Nazione del 20 marzo, col resoconto del solenne comizio che era stato tenuto i giorno innanzi al Ponte a Egola, e alla fine del quale veniva proclamato presidente onorario del Comitato per l’erigendo Comune il Sig. Marchese Perrone Compagni. – Allegato C -)
Ma quelle asserzioni e quelle accuse, se potevano far presa sugli ingenui, che non mancano neppure al Ponte a Egola, inducendoli a muoversi e ad agitarsi, erano talmente prive di fondamento che non si osò di riprodurne neppur una nella domanda di distacco.
E fu così che in quella domanda si parlò invece – e per la prima volta – della dislocazione e del dislivello notevole del capoluogo in rapporto agli abitanti di quella borgata che, a detta del Sig. Roini, renderebbero quanto mai scomoda ogni loro relazione col Municipio.
Ma questo motivo non apparirà più plausibile dell’altro che si voleva desumere dall’eccessività dei tributi, quando si rifletta che il Ponte a Egola non dista che cinque chilometri e mezzo dal capoluogo  e che il dislivello tra quest’ultimo e la suddetta borgata è di appena 132 metri, che si superano comodamente mediante una strada (provinciale) che ha m. 3030 di percorso con una pendenza di non più del quattro e mezzo per cento.
Disgraziati infatti i comuni italiani, e specialmente quelli che, come San Miniato, sono anche capoluoghi di circondario, se distanze e altimetrie di questa sorte fossero sufficienti per autorizzarne lo smembramento!
Noi non ricorderemo né gli Abruzzi né le provincie meridionali in genere, i cui capoluoghi di comune e di circondario si trovano spesso ad altezze vertiginose, con territori altrettanto vasti quanto mal forniti di agevoli vie di comunicazione. Ma che ne sarebbe della maggior parte dei comuni della Toscana, così montuosa e collinosa, e di quelli della nostra stessa provincia se la tesi del Sig. Roini, avesse a trionfare? E’ chiaro che dopo un simile precedente (date le ambizioncelle private e collettive che mai non mancano nelle nostre borgate) non ci sarebbe frazione di una qualche importanza – e tante ne esistono! – che per parità di ragione o anche per più forte ragione non aspirasse presto o tardi all’autonomia. E così, per non citare che pochi e più ovvi esempi, si vedrebbe ben presto la Romola invocare il distacco da S. Casciano, l’Impruneta da Grassina, la Vallombrosa da Regello, Pracchia, Le Piastre, Piteccio e i Vecchi comuni da Pistoia, Vaiano da Prato e via dicendo.
Sarebbe il frazionamento all’infinito, che s’inaugurerebbe dei comuni della nostra provincia, in perfetta opposizione dello spirito della legge e con le direttive del R.o Governo che, come tutti sanno, più che a favorire la creazione di nuove piccole unità amministrative, mirano invece a restringere quelle che già esistono, aggregandole ai grossi centri o riunendone parecchie in una!

Vicolo del Fuoco
Ponte a Egola, Marianellato
Foto di Francesco Fiumalbi

Tanto più artificiose appaiono del resto le ragioni di distacco che il Ponte a Egola vorrebbe desumere dalla distanza dal capoluogo e dalla sua altimetria, e intese soltanto a mascherare altri non egualmente confessabili motivi, se si consideri:
1° che la maggior parte delle frazioni del nostro Comune non aderenti al movimento secessionista ed anzi ad esso recisamente contrarie, si trovano sotto questo rapporto in poco dissimili o anche peggiori condizioni di quella borgata. Tali Corazzano, Bucciano, Balconevisi, Campriano, Canneto e l’Isola, le cui distanze da San Miniato variano rispettivamente da un massimo di 10 chilometri e mezzo a un minimo di chilometri 5, mentre la popolosa e industre borgata del Ponte a Elsa dista dal capoluogo chilometri cinque e mezzo, cioè proprio quanto il Ponte a Egola.
E notisi che queste popolazioni non hanno nemmeno il vantaggio di cui godono i Pontaegolesi, di trovare, quasi ad ogni ora del giorno, nella non lontana borgata del Pinocchio, l’automobile pubblica che, se non vogliono far la salita a piedi o s’un veicolo qualunque, li trasporta in pochi minuti e con modica spesa nel centro della città; (questo servizio automobilistico è fatalmente destinato ad estendersi ed intensificarsi nel nostro Comune – seppure non verrà sostituito da una rete tramviaria – tornati che siano normali i cambi che ora mantengono tanto altri i prezzi della benzina).
2° che la causa più frequente per cui i Pontaegolesi devono recarsi alla sede del Comune essendo le denunzie riguardanti lo stato civile (morti, nascite e movimenti anagrafici), l’inconveniente di cui i Ricorrenti mostrano di far sì gran caso verrebbe in gran parte eliminato quando, cosa facilissima ad attuarsi, si istituisse nella loro borgata una succursale dell’Ufficio dello stato civile;
3° che quegli abitanti, del resto, non salgono a San Miniato soltanto per affari che debbano sbrigare col Municipio, ma devono accedervi anche più spesso, dediti come sono, ai commerci e alle industrie, per recarsi alla Sotto Prefettura, alla Pretura, alle Banche, all’Ufficio del Registro e – ahimè! – a quello delle Imposte, e via dicendo, e che questa necessità continuerebbe ad esistere anche dopo il distacco. Essi infatti non s’immaginano certamente che, ottenuta che avessero l’autonomia, tutti quegli uffici verrebbero in blocco trasportati al Ponte a Egola!

Oratorio “Madonna dei Boschi”
Ponte a Egola, “Cima di Costa”
Foto di Francesco Fiumalbi

E altro ancora si potrebbe aggiungere: ma a che prò, dal momento che il Sig. Roini e i suoi mandanti ci forniscono essi stessi la miglior prova del nostro assunto, protestando, come fanno a pag. 6 delle loro osservazioni contro la Relazione del Sig. Commissario Prefettizio (ex abundantia cordis os loquitur) – che omai non paiano provvedimenti pari alla situazione creatasi quelli d’impiantare sezioni staccate di stato civile, o di spostare la sede comunale di San Miniato, portandola in pianura - ?
Chi non dirà infatti con noi, dopo questa dichiarazione, che distanze e altimetrie non son che meri pretesti e che il distacco lo si vuole ad ogni costo, non già dalle popolazioni ma dai suoi accaniti fautori, per quelle bizze e per quei ripicchi elettorali cui accennavano più sopra?
Né la cosa sarebbe d’altronde meno a deplorarsi se, come taluno potrebbe forse supporre, si trattasse invece di ambizioncella di borgata arricchita nelle industrie, che aspiri alla dignità di capoluogo di comune per avere un proprio territorio su cui imperare.
Questa ambizione infatti sarebbe ancora perdonabile se il Ponte a Egola fosse in grado di costituirsi in comune autonomo con le proprie forze; non lo è invece quando per raggiungere quello scopo deve contare sulle forze di altre frazioni che per condizioni fisiche e per tradizione, nonché per conformità di vita e di bisogni sociali sono intimamente legate a San Miniato, e dalla quale tenta staccarle con arti che ci asteniamo dal qualificare, procurando, col proprio, il danno di quelle frazioni e del vecchio Comune!

(CONTINUA)

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domenica 15 aprile 2012

“MADONNA IN TRONO CON BAMBINO CIRCONDATA DALLE VIRTU’ CARDINALI E TEOLOGALI” (quarta parte)

di Alessio Guardini e Francesco Fiumalbi

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Siamo giunti all’ultimo post riguardo questo affresco. Dopo aver parlato del contesto storico, degli artisti che vi lavorarono e del valore religioso e civico di quest’opera, adesso tratteremo del sonetto e di una ipotesi relativa ad una variazione iconografica che potrebbe essere maturata nei primi anni del ‘400.

Vergine che allatta il Bambino circondata dalle Virtù cardinali e teologali
“Sala delle sette Virtù cardinali e teologali”, Municipio di San Miniato
Foto di Federico Mandorlini
Aut. Prot. N. 3302 del 9 febbraio 2011
E’ vietata la riproduzione

IL SONETTO

Nell’introduzione al primo post, è stato accennato al sonetto collocato nella parte bassa dell’affresco, esattamente al di sotto della composizione figurativa. Si tratta di una vera e propria didascalia, una “poesia per pittura” (1). Il sonetto, trascritto da Giuseppe Piombanti, recita (2):

Quanto fur l’opre sue perfecte et sancte
Ti dimostran, lector, le sette donne,
Del regimento suo ferme cholonne,
Chel fan d’eterna fama triunfante.
Esempro prenda chi verrà davante
Del gran guadagno che secho portonne,
Che i cuor delli uomini tucti et de le donne
Volle, nè giammai tolse un vil bisante.
Et nel novanta tre dopol trecento
Et mille, resse sì il Vichariato,
Che ciaschun fu da lui sempre contento.
In pace tenne tucti et in buono stato;
Fu in sua chorte ciascun vitio spento,
Tenendo le virtù, che vedi, a lato.
Onde sempre obbligato
Gliè ciascheduno, et grandi et piccholini,
E, per suo amore, a tucti i Guicciardini.

Si tratta di un sonetto costituito da endecasillabi. Due quartine e due terzine, con rima ABBA, ABBA, CDC, DCD. In più abbiamo un’ultima terzina, una sorta di “coda”, con rima DEE, e per questo è riconosciuto come un sonetto “caudato”. Si tratta di una variante al sonetto “tipico”, sviluppatasi a partire dal XIV secolo, a cui sono aggiunti tre versi, un settenario più un distico di endecasillabi. Il sonetto è caratterizzato da due quartine e due terzine, quindi 4 + 4 + 3 + 3, per un totale di 14 versi, ovvero il numero 7 ripetuto due volte. L’utilizzo di una composizione poetica come quella del sonetto potrebbe essere stato dettato da varie circostanze. Tuttavia è interessante notare che il numero 4 è lo stesso dei punti cardinali, quindi simbolo terreno, esattamente quante sono le Virtù Cardinali; il numero 3 è il simbolo della Trinità, quindi simbolo celeste, esattamente quante sono le Virtù Teologali. Il numero 7, quante sono tutte le Virtù assieme, simboleggia l’universo, terra e cielo, l’uomo e Dio (3).

Vergine che allatta il Bambino circondata dalle Virtù cardinali e teologali, particolare del sonetto
“Sala delle sette Virtù cardinali e teologali”, Municipio di San Miniato
Foto di Federico Mandorlini
Aut. Prot. N. 3302 del 9 febbraio 2011
E’ vietata la riproduzione

Interessanti sono anche le corrispondenze che intercorrono fra questo sonetto e un’altra opera: il poema cavalleresco La Spagna (4). Si tratta di un componimento ben più articolato, costituito da ben 40 canti, a loro volta composti da oltre 40 ottave, ispirato alla Chanson de Roland, e a cui hanno attinto anche il Pulci e l’Ariosto (5). Sull’identità dell’autore è stato molto dibattuto, ed è stato ipotizzato essere quel Sostegno di Zanobi da Fiorenza con cui l’opera sarebbe firmata al secondo verso dell’ultima strofa. Incerta è anche la data del componimento, ascrivibile tuttavia al XIV secolo. Anche se in contesti totalmente distinti, è davvero singolare notare al Canto XL, nella settima ottava, la stessa concatenazione di parole in rima donne, colonne, portonne che ritroviamo nel sonetto. Anche altri elementi sono comuni, come quel vil bisante (Canto XXIX ottave nn. 35 e 47 e Canto XXXVI ottava n. 39) che è un accostamento praticamente unico nella letteratura italiana; ancora, le parole grandi e piccolini ripetute più volte (Canto VII ottava n. 18, Canto XIII ottava n. 2 e Canto XXIV ottava n. 21). Alla luce di queste corrispondenze non è inverosimile ipotizzare che l’autore del sonetto sanminiatese, pur rimanendo anonimo, conoscesse il poema La Spagna.


IL VICARIO LUIGI GUICCIARDINI NELL’AFFRESCO?

Escludendo la Madonna e il Bambino, le altre figure, i simboli e i testi presenti nell’affresco rimandano ad una figura politica ben precisa. In particolare dal sonetto emerge un chiaro riferimento a Luigi Guicciardini, uomo politico, a cui era demandato il governo dell’allora Vicariato di San Miniato (6). Succedette nella carica a Franco Sacchetti, che aveva ricoperto il ruolo di Vicario per la Repubblica Fiorentina nel 1392 (7). Lo stemma della famiglia Guicciardini appare dipinto anche sulla copertina del libro riguardante l’amministrazione finanziaria della Comunità di San Miniato per l’anno 1393 (8).

Vergine che allatta il Bambino circondata dalle Virtù cardinali e teologali, particolare stemma Guicciardini
“Sala delle sette Virtù cardinali e teologali”, Municipio di San Miniato
Foto di Federico Mandorlini
Aut. Prot. N. 3302 del 9 febbraio 2011
E’ vietata la riproduzione

Figlio di Piero di Ghino, Luigi Guicciardini nacque a Firenze intorno al 1346. Il padre, a seguito della peste del 1348, aveva accentrato nella sua persona un grandissimo patrimonio che egli non esitò a far fruttare praticando anche l’usura. Nella Firenze nel XIV secolo, se accertata tale attività, avrebbe comportato, oltre all'ignominia, la confisca delle ricchezze accumulate attraverso l’illecito. Luigi Guicciardini, per superare le accuse che gli venivano mosse, si accordò con Pietro Corsini, allora Vescovo di Firenze, essendo questo tipo di reato di competenza ecclesiastica. Egli restituì alle persone, coinvolte nelle attività del padre, una percentuale di denaro che avevano versato come interesse, e in questo modo evitò pesanti sanzioni. Nel 1378 fu nominato Gonfaloniere di Giustizia ma si trovò subito ad affrontare all'inizio del mandato la cosiddetta “rivolta dei Ciompi". Nell'occasione egli fu accusato di essersi comportato da codardo. Tuttavia lo storico Francesco Guicciardini, suo diretto discendente, affermò che la scelta di abbandonare il palazzo ai ribelli si rivelò per Firenze il male minore. In effetti, Luigi Guicciardini, prima di essere esiliato a seguito della rivolta, ricevette la nomina di cavaliere ed in seguito ricoprì ancora importanti incarichi politici e diplomatici, fino ad essere nominato, nel 1393, Vicario di San Miniato per la Repubblica Fiorentina (9). Guicciardini fu in carica, per sei mesi, dal 5 settembre del 1393, esattamente l’anno a cui si fa riferimento nel sonetto (10). Non sappiamo se la composizione poetica sia stata aggiunta in seguito o se sia nata insieme all’affresco; la seconda ipotesi risulta essere plausibile, sia dalle fonti documentarie, che per l’epoca di componimento del sonetto “caudato”. Inoltre, si è accennato nell’introduzione alla presenza nell’affresco di ben tre stemmi della famiglia Guicciardini, uno per lato e il terzo alla sommità della composizione.
Poniamo l’attenzione su alcuni dettagli del sonetto che risultano essere molto significativi. Nella seconda quartina la frase “Esempro prenda chi verrà davante” è riferita a coloro che si avvicenderanno nella carica di vicario. Nella seconda terzina, gli ultimi due versi recitano: “Fu in sua chorte ciascun vitio spento, Tenendo le virtù, che vedi, a lato”. Nel sonetto non vi è alcun riferimento alla Madonna col Bambino e le virtù si troverebbero, sempre secondo il sonetto, a lato del Guicciardini. Si tratterebbe quindi di una contraddizione, ma forse non è così.
Presso l’Archivio Guicciardini, è conservato un documento molto significativo: la Carta n. 121 del Libro di Amministrazione n. 2 (11). Si tratta di una memoria autografa dello stesso Luigi Guicciardini in cui è scritto che il popolo di San Miniato fece eseguire un suo ritratto nella Sala delle Udienze.
In particolare vi si legge:

E più mi onorarono perché alla mia uscita non ne sapiendo niente mi dipinsero a perpetua mia memoria nella loro udienza a Saminiato”

Inoltre la commozione e la gratitudine dimostrate a Luigi Guicciardini fu un qualcosa di davvero molto grande se effettivamente “mi compagnarono infino fuori della porta co rami delli ulivi imano”. La scena trionfante descritta, proseguì ben oltre il centro cittadino in quanto lo “compagnarono per infino Empolj, per infino Monti-Lupo”.
Questo documento potrebbe aggiungere un aspetto molto interessante per la lettura dell’affresco. L’apparato figurativo originario potrebbe essere stato composto dalla figura di Luigi Guicciardini circondato dalle virtù Cardinali e Teologali. Partendo dalle suddette considerazioni e analizzando le parole di Luigi Guicciardini, le due figure centrali sarebbero state dipinte in un secondo tempo. In più, l’affresco non sarebbe stato commissionato dal vicario, bensì dal popolo sanminiatese, grato per l’opera del Guicciardini (12).
Questa ipotesi si arricchisce considerando che l’affresco è stato realizzato, con ogni probabilità, da due persone distinte: il Maestro della Madonna Lazzaroni e Cenni di Francesco di Ser Cenni. E non è inverosimile che le figure della Madonna e del Bambino siano state dipinte nei primi anni del ‘400, quando Cenni di Francesco di Ser Cenni eseguì, per la chiesa dei SS. Jacopo e Lucia, il San Girolamo nel suo studio che traduce la Bibbia, datato 1411. Inoltre la figure della Madonna con Bambino non sono ben armonizzate col resto dell’affresco: si notano consistenti rabberci, evidenti tentativi di legare sommariamente le figure centrali al resto della pittura. Un altro dettaglio, finora sfuggito, è rappresentato da quella porzione di veste rossa che si trova fra la Madonna e la Prudenza e che sembrerebbe trattarsi dell’estremità laterale di una manica, appartenente ad una figura precedentemente dipinta.

Vergine che allatta il Bambino circondata dalle Virtù cardinali e teologali, particolare del veste rossa
“Sala delle sette Virtù cardinali e teologali”, Municipio di San Miniato
Foto di Federico Mandorlini
Aut. Prot. N. 3302 del 9 febbraio 2011
E’ vietata la riproduzione

Qualsiasi cosa fosse originariamente al centro dell’affresco, dall’analisi visiva delle superfici di contatto col resto della composizione, risulta evidente che per la realizzazione delle due figure centrali sia stato realizzato un nuovo supporto, asportando quello originario.
Le cause che avrebbero determinato un radicale cambiamento all’apparato figurativo della composizione potrebbero essere molteplici: da un tentativo di rimediare ad un’iconografia non convenzionale fino all’opera di un successore, nell’intento di cancellare l’ingombrante memoria del vicario Luigi Guicciardini.

Si ringrazia il Comune di San Miniato, in particolare la Segreteria del Sindaco, l’Uff. Stampa e l’Uff. Cultura per la disponibilità.
Si ringraziano Luca Macchi e Don Luciano Niccolai per gli importanti suggerimenti, il Sig. Piero Paolo Guicciardini per la disponibilità e la gentilezza dimostrate, il Dott. Alberto Malvolti, per il fondamentale contributo nella decodifica del documento conservato presso l’Archivio Guicciardini e Federico Mandorlini per le fotografie.

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NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) Roani Villani Roberta, La decorazione del Palazzo Comunale fra arte, storia e restauro, in Roani e Latini (a cura di), San Miniato, immagini e documenti del patrimonio civico della città, Ecofor, Pacini Editore, San Miniato, 1998, pag. 24.
(2) Piombanti Giuseppe, Guida della Città di San Miniato al Tedesco, Tipografia Massimo Ristori, San Miniato, 1894, rist. anastatica, Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, n. 44, 1975, pagg. 142-143.
(3) Chevalier Jean e Gheerbrant Alain, Dizionario dei Simboli, Rizzoli, Milano, 1986, volume II, pag. 375.
(4) Per il testo completo si veda Catalano Michele, La Spagna, Poema cavalleresco del XIV secolo, Commissione per i testi di lingua, Bologna, tre volumi, 1939-1940.
(5) Il riferimento è alle opere Morante del Pulci e L’Orlando Furioso dell’Ariosto. Oltre a trattare delle gesta di Orlando, in particolare, nell’opera del Pulci ogni canto si apre e si chiude con una invocazione religiosa, esattamente come avviene ne La Spagna.
(6) Arrighi V., Luigi Guicciardini, in Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, v. Luigi Guicciardini.
(7) Boldrini Roberto (a cura di), Dizionario Biografico dei Sanminiatesi (secoli X-XX), Comune di San Miniato, Pacini Editore, Pisa, 2001, pag. 254.
(8) Archivio Storico del Comune di San Miniato, Archivio Preunitario, Fondo Vicariato di San Miniato, Entrate e Uscite, anno 1393, n. 1205.
(9) Arrighi, Op. Cit.
(10) I Libri di amministrazione generale (riordinati dal Gherardi), sono una raccolta con ricordanze, entrate e uscite, debitori e creditori, giornali, etc., consistenti in 346 registri datati fra il 1344 e il sec. XIX.
(11) Archivio Guicciardini, Libri d’Amministrazione, n. 2, carte n. 121 verso.
(12) Di parere opposto, Roani e Matteoli che indicano rispettivamente il vicario Guicciardini e la famiglia Guicciardini i committenti dell’affresco. Roani, Op. Cit., pag. 25. Matteoli, Op. Cit., pag. 34.
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