sabato 26 marzo 2011

IL FARO DELLA ROCCA (aggiornamento)

di Francesco Fiumalbi




Nell’intervento precedente abbiamo ripercorso le vicende legate al faro che era collocato sulla cima della “Rocca”. Avevamo raccolto alcune testimonianze e analizzato le posizioni politiche maturate storicamente sull’argomento.

E’ notizia di questi giorni che Mario Rossi “Maglietta” ha aperto una raccolta di firme affinché il faro votivo torni a brillare, dopo 67 anni, sulla cima della Torre di Federico II.
Complici, si fa per dire, le celebrazioni in onore del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, la cittadinanza ha avuto l’occasione di vedere acceso, seppur per una sera, il faro tricolore.  Il modello mostrato, custodito dalla Pro Loco di San Miniato, è quello donato negli anni ’50 dall’allora governo della Germania Ovest, a titolo di risarcimento per il simbolo che l’esercito tedesco aveva distrutto durante la ritirata, nel luglio 1944.

Il faro “tricolore”
Pro Loco di San Miniato
Video di Francesco Fiumalbi

La popolazione sanminiatese, la sera del 17 marzo 2011, si è avvicinata con interesse a questo “strano marchingegno”, che da una vetrina illuminava a tre colori la Piazzetta del Fondo. Anche la stessa collocazione temporanea ha riservato un piccolo retroscena. Si apprende dai giornali, in particolare dall’articolo di Carlo Baroni su “La Nazione”, del 16 marzo scorso, che il faro sarebbe dovuto essere acceso, con l’appoggio dell’Amministrazione Comunale, davanti al Municipio o al Bastione. Poi, sarebbe stata scelta una diversa sistemazione per non riaccendere vecchie questioni proprio nel giorno in cui tutta l’Italia celebrava il 150° Anniversario dell’Unità.
Tutti i presenti, chi più chi meno, si sono avvicinati per vedere il faro. Il sentimento comune è stato sicuramente di curiosità, almeno in prima battuta. Immediatamente sono sorti commenti e opinioni.

La domanda, da oltre mezzo secolo, è sempre la stessa: faro SI o faro NO?

Al di là delle questioni di natura storico-politica che ultimamente sembrano molto sfumate, il tema del faro fa molto parlare. Ma non perché simbolo della retorica fascista, bensì perché sarebbe un elemento “nuovo” nel panorama sanminiatese notturno.
Ormai sono rimasti in pochi che possono raccontare di aver visto il faro originario e una ricollocazione in “Rocca” è vista come una vera e propria novità da quasi tutta la popolazione.
In particolare ci si chiede per quale scopo e con quali modalità dovrebbe avvenire.

La commemorazione delle vittime di tutte le guerre è senz’altro un argomento sempre attuale, senza dimenticare che la luce potrebbe tradursi in un potente richiamo per turisti e visitatori, specialmente in occasione di eventi e manifestazioni.


Il faro “tricolore”
Pro Loco di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

Il faro custodito dalla Pro Loco di San Miniato, come abbiamo visto, è tricolore e, se da una parte è un simbolo nazionale, dall’altra vi sono anche molte perplessità di natura cromatica. Il faro originario aveva una luce bianca (o gialla) ed era davvero molto potente: si hanno testimonianze di avvistamenti perfino dalla Valdicecina! Fra i favorevoli, in molti concordano che sarebbe sufficiente una potenza più piccola, capace comunque di proiettare il fascio di luce a non più di una decina di chilometri, più o meno come quello mostrato alla popolazione. Il faro “tedesco” avrebbe anche un problema di alimentazione elettrica, in particolare necessiterebbe di un trasformatore ed un nuovo faro comporterebbe un esborso economico più sostanzioso. Una possibilità avanzata sarebbe quella di utilizzare lo strumento già a disposizione, montando il trasformatore necessario e sostituendo le mascherine colorate con altre trasparenti, in modo da ottenere un effetto luminoso più ordinario per un faro.
C’è anche un problema normativo, con particolare riferimento all’inquinamento luminoso, che però sembrerebbe superabile con una deroga speciale, la stessa che permetterebbe di affrontare positivamente eventuali perplessità da parte degli enti preposti all’aviazione civile e militare. Non dimentichiamo che il faro sarebbe collocato sul punto più alto al centro di un vasto territorio ed implicherebbe un cambiamento sostanziale nel paesaggio notturno di un ampio comprensorio.



Il faro “tricolore”
Pro Loco di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

La possibilità del ricollocamento si farebbe quindi molto concreta, tuttavia abbiamo visto anche quali sono le difficoltà da superare per l’iter burocratico e per l’eventuale installazione.

In questa pagina potete esprimere la vostra opinione!
Potete commentare questo post oppure partecipare al nuovo sondaggio in alto a destra di questa pagina. In particolare si chiede se siete favorevoli al ricollocamento e, in caso di risposta affermativa, di indicare la formula che ritenete migliore: se sia da preferire l’utilizzo del faro tricolore così com’è, oppure se ne vada acquistato uno nuovo o adattato il vecchio, e le modalità della sua accensione, ogni sera oppure solo in particolari occasioni come eventi e manifestazioni.
Mentre il sondaggio di questa pagina ha come unico scopo quello di misurare il parere e le sensazioni della popolazione, la petizione promossa da Mario Rossi sarà presentata all’Amministrazione Comunale.






domenica 20 marzo 2011

CARDUCCI RACCOMANDATO A SAN MINIATO (seconda parte)

di Alessio Guardini


Nella prima parte dell’intervento CARDUCCI RACCOMANDATO (prima parte) abbiamo visto la situazione del Ginnasio sanminiatese, l’avviso del Gonfaloniere Carlo Taddei per i posti vacanti nella scuola e l’esito del concorso che vide vincitore l’allora ventunenne Giosuè Carducci. L’affidamento dell’incarico al futuro Premio Nobel per la Letteratura fu regolare? Il buon senso avrebbe indicato gli altri due candidati, molto più titolati di lui, come una scelta più ragionevole. Sicuramente meno azzardata. Ci eravamo lasciati con questo interrogativo: come fece il giovanissimo Carducci ad ottenere l’ambito incarico?
La risposta la troviamo in due documenti, conservati presso l’Archivio del Comune di San Miniato, e pubblicati nel fascicolo Giosue Carducci commemorato in Samminiato il II giugno MCMVII, Comune di San Miniato, Stabilimento Aldino, Firenze, 1907 e poi nel Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, n. 31, del 1957:

DOMANDA AVANZATA DA G. CARDUCCI AL GONFALONIERE DI SAN MINIATO PER OTTENERE IL POSTO DI INSEGNANTE:

Giosuè Carducci
Mezzobusto opera dello scultore Ezio Ceccarelli
San Miniato, Giardini Pubblici
Foto di Francesco Fiumalbi

                          Illustrissimo Signore,
        Sperando anzi credendo che affabilità di magistrato e cortesia di cittadino renderanno facile la Signoria vostra illustrissima a perdonare ad un giovane l’audacia, oso, mio Signore, rivolgermi a Lei, quantunque io sappia che il mio nome Le deve riuscire ignoto e nuovo. Desideroso, e, dopo incoraggiamento del chiarissimo Professore Augusto Conti, pronto di concorrere alla maestranza di Retorica di codesta città, domando alla Signoria vostra, se io Alunno della Scuola Normale Toscana, già dottore in filosofia e filologia prossimo ad avere fra tre mesi il Diploma di Magistero che da essa scuola si rilascia, possa avanzare le mie istanze munite di diploma e certificati al Municipio di cui Ella è degnamente il Preside, o si vero debba aspettare per questo che codesto Municipio metta fuori un invito o nuovo concorso.
        Troppo mi terrei contento ed onorato se Ella volesse degnarmi di una sua risposta in proposito, la quale, se Ella si compiace di inviarmi prima della fine di questo mese potrà dirigere a Firenze Via Mazzetta, n. 2090 3° Piano; se dopo terminato il mese corrente avrà la bontà di spedirla a Pisa alla Regia Scuola Normale.
        Pregandola di nuovo a volermi avere per iscusato, anticipatamente ringraziandoLa, ho l’onore di segnarmi
        Della Signoria vostra illustrissima
Devotissimo e obbligatissimo
D.re Giosuè Carducci
Firenze, 20 Marzo 1856
Ill.mo Signore
Il Sig, Carlo Taddei
Gonfaloniere del Comune di
San Miniato


LETTERA DEL FILOSOFO AUGUSTO CONTI AL GONFALONIERE DI SAN MINIATO PER CONSIGLIARE L’ASSUNZIONE DI G. CARDUCCI.

Augusto Conti
Mezzobusto ed epigrafe
San Miniato, Palazzo Comunale
Foto di Francesco Fiumalbi

                          Carissimo Amico,
        Tu avrai ricevuto una lettera del Dr. Giosuè Carducci, che vuol concorrere alla Scuola di Rettorica. Lo conosco quel giovane, ed ho sentito varie sue poesie. A me pare, che se egli ottenesse l’impiego, sarebbe molto maggiore l’utile vostro, che il suo. Ho sentito poche cose di giovani, che si possano paragonare alle sue, e non ,olti adulti sanno scrivere com’esso. Sopratutto ne’ suoi versi c’è il gran sapore di classici, e di buona lingua: e questa loro qualità basterebbe allo scopo vostro: imperrocchè a voi non abbisogna un genio, ma un uomo perito nei classici antichi e nostrali. E poi egli mi piacque, perché di poche parole e modestissimo; Dio ci guardi dai venditori di fumo e da’ parolai.
        Secondo gli istituti della Scuola Normale il Carducci avrà un diploma di magistero il 2 Luglio, cioè 7 giorni dopo il 25 giugno, in cui si dovrebbe presentare da lui il diploma di idoneità. Io ti prego, mio caro Carlo, che tu faccia in modo, che ciò non ponga ostacolo al concorso di lui, perché sarebbe una vera perdita pel nostro paese. Perdonami se io ti parlo così franco: non è che io voglia sdottorare, né farti il consigliere: ma l’amore della nostra povera città mi fa forza nell’anima ora più assai che prima. Tuttavia la tua prudenza soprà vedere il da farsi molto meglio di me.
        Che fanno gli amici, e sopratutti il carissimo Proposto? Quanto desiderio di rivedervi, e di respirare un poco l’aria viva delle nostre colline; ma ora bisogna ch’io faccia di necessità virtù, e, mi contenti di salire sui monti per vedere lontano la nostra bicocca. Salutami di cuore il Dr. Berni. E pregalo, s’egli scrive al Capoquadri, di fargli i mei ossequi. Riverisci per me la tua famiglia, e credimi di cuore.

Tuo aff.mo Amico
A. Conti
Lì 26 Aprile 1856
All’Illustrissimo
Signor Gonfaloniere Carlo Taddei
Samminiato

Augusto Conti, filosofo e pedagogista di origine sanminiatese (1) sembra avere molto a cuore il destino di quel ragazzo ed esercita la sua influenza sulla decisione del Gonfaloniere di San Miniato in virtù dell’amicizia che li lega.
Dalla lettura dell’epistolario carducciano otteniamo un quadro più dettagliato di come si sono svolte le vicende:

Nei primi mesi del 1856 il Gonfaloniere di San Miniato Carlo Taddei decide di avviare una procedura concorsuale al fine di assumere docenti per il Ginnasio di San Miniato.
Giosuè Carducci si è appena laureato in Filosofia e Filologia presso la Regia Scuola Normale di Pisa discutendo una tesi sulla poesia cavalleresca (2). È un giovane molto preparato e con un carattere molto esuberante e, pur con qualche perplessità per le quali chiede consiglio agli amici fidati, sembra avere le idee chiare di quello che vuol fare “da grande”: ambisce fin da subito al ruolo di insegnante per accumulare esperienza prima di trasferirsi in una grande città e si rivolge alle sue conoscenze per sapere dove e a chi rivolgersi.
Tramite la Scuola Normale ed in particolare tramite il Professore Augusto Conti, viene a conoscenza che presto si terrà un concorso a San Miniato e il 20 marzo 1856 scrive al Gonfaloniere affermando che sarà in possesso del “diploma di idoneità” soltanto tre mesi più tardi, nel luglio del 1856.
Il 15 aprile 1856 Carducci così scrive a Pietro Thouar (3):

“… quasi quasi ho determinato di concorrere ad un posto di rettorica a San Miniato, col proponimento a punto di fermarmici, quand’io l’ottenessi (e per ora non vi sono altri concorrenti), tanto quanto bastasse ad assodarmi in questi miei studii, prima di espormi in una capitale. Faccio io male? Aspetto il suo consiglio, il quale in un caso come questo mi sarà utilissimo. Lo stipendio a San Miniato sarebbe di 4 paoli e mezzo il giorno …”

Nell’aprile del 1856 il Gonfaloniere rende noti i termini del concorso, la cui scadenza per la presentazione delle domande è fissata per il 25 giugno pertanto il Carducci teme di non poter partecipare al concorso per pochissimi giorni.
Non ha ricevuto nessuna risposta da parte del Gonfaloniere e ancora non sa quando potrà avere l’esame per ottenere l’agognato diploma di magistero, così si rivolge al Provveditore Scuola Normale il quale incarica il Professor Augusto Conti di adoperarsi per accomodare le cose.
Il 26 aprile 1856 Augusto Conti scrive la lettera di “raccomandazione” per Giosuè Carducci chiedendo espressamente che tu faccia in modo, che ciò non ponga ostacolo al concorso di lui e quindi che si modifichi la data della scadenza.
Ma la risposta tarda ad arrivare e il 18 maggio del 1856 Carducci scrive al suo grandissimo amico di sempre Giuseppe Chiarini (4):

“… riguardo all’affar mio di San Miniato, non [ho] ancora io ricevuto la risposta dal Ministero per avere l’esame innanzi il 2 di luglio, e così presentare a quel Municipio insieme con l’istanza il diploma di poter professare che per ora mi manca ed è necessario: [mi ha] però promesso lo Sbragia e il Provveditore [della Scuola Normale di Pisa] di accomodare la cosa in qualche modo: [ne ha] scritto il Conti [Augusto] al Gonfaloniere di San Miniato. Sono incerto se io debba intanto scrivere al Gonfaloniere. Avrei caro mi consigliaste fra tutti …”

La risposta alla raccomandazione di Augusto Conti dev’essere giunta a Carducci probabilmente il giorno stesso o quello successivo in cui ha scritto questa lettera, perché appena due giorni più tardi, il 20 maggio del 1856, scrive di nuovo all’amico Ottaviano Targioni Tozzetti (5):

“… A proposito dell’affare mio di San Miniato, il Provveditore e il Ministro dell’Istruzione han deciso consigliare il Municipio di San Miniato ad allungare lo spazio dentro il quale debbono essere presentate le istanze fino al 15 luglio: allora anche noi potrem chiedere e con diritti e privilegi maggiori degli altri. Se v’è concorso, questo sarà a novembre …”

Il Carducci, evidentemente euforico di questa notizia, è assolutamente certo che il ruolo sarà suo, forse rassicurato dalle sue conoscenze, o più probabilmente del padre (il Dottor Michele Carducci conosceva personalmente il sottoprefetto di San Miniato, ma di questo argomento tratteremo più ampiamente in un altro intervento).
Il 28 maggio del 1856 Carducci così scrive ancora a Ottaviano Targioni Tozzetti (6):

“… Per me il posto di San Miniato è sicuro, e senza concorrenti; non ho rivali in tutta Toscana, perché quelli che potrebbero concorrere non hanno esame d’idoneità e nol possono avere se non a dicembre, tempo nel quale Giosuè probabilmente farà spiegare Orazio e Tacito a’ ragazzi di San Miniato. Piglia quei quattro paoli e mezzo (e mi vien voglia, se sono solo, di fargli pretensione e volerne cinque), piglia il guadagno di qualche lezione, fai qualche altro lavoretto… o, per Dio, non ci deve campare Giosuè? Poi son vicino a casa 8 miglia …”

Il 17 giugno 1856 esce sul Monitore Toscano il bando per il concorso; la data della scadenza è stata fissata per il 3 luglio 1856.
Proprio il 3 luglio, Carducci scrive a Giuseppe Chiarini vantandosi della propria prova all’esame durante il quale, egli dice, padroneggiai col mio portamento strafottente e con la voce sfacciatamente sonora, al punto che il Provveditore dovette suonare il campanellino per interromperlo, che il tempo a sua disposizione era scaduto da mezzora. E così il giovane Carducci ottenne il diploma d’idoneità col quale si presentò, il giorno seguente, dal Segretario del Gonfaloniere di San Miniato. Di questo incontro, ad oggi, non si conoscono i dettagli.

"Carducci a San Miniato (1857)"
Archivio di Casa Carducci, Comune di Bologna

Facciamo il punto. Praticamente, il Carducci, venuto a conoscenza che la scadenza per il concorso era fissata per il 25 giugno e che lui avrebbe ottenuto il “diploma di idoneità” soltanto il 2 luglio, chiese aiuto a Augusto Conti. Quest’ultimo invitò il Gonfaloniere a cambiare la data perché il giovane Carducci sarebbe stato la scelta migliore. Il primo cittadino sanminiatese dette credito al Conti e spostò la data in modo da poter far partecipare Carducci e assegnargli l’incarico, nonostante avessero partecipato alla gara concorrenti molto più esperti e titolati di lui.

Abbiamo notizia anche di una lettera, che però non siamo riusciti a rintracciare, del linguista, scrittore e patriota Niccolò Tommaseo (1802-1874), indirizzata al Gonfaloniere di San Miniato, nella quale si complimentava per la scelta di affidare l’incarico di insegnante di rettorica a Carducci, sottolineando che non se ne sarebbero pentiti. La storia, è noto, andò diversamente. Sicuramente il legame fra Carducci e San Miniato, cambiò per sempre sia il poeta che la città. Ma delle sue vicissitudini sanminiatesi ne parleremo in un apposito intervento.




NOTE BIBLIOGRAFICHE:
(1) Per informazioni su Augusto Conti si veda http://it.wikipedia.org/wiki/Augusto_Conti
(2) Segre Cesare, Martignoni Clelia, Guida alla letteratura italiana - Testi nella storia - 3 Dall'unità d'Italia a oggi, a cura di Lavezzi, Martignoni, Saccani, Sarzana, Milano, Mondadori editore, 1996
(3) Giosuè Carducci, Lettere Volume I 1850-1858, Nicola Zanichelli editore, Bologna 1938, pagina 144
(4) Giosuè Carducci, Lettere Volume I 1850-1858, Nicola Zanichelli editore, Bologna 1938, pagina 157
(5) Giosuè Carducci, Lettere Volume I 1850-1858, Nicola Zanichelli editore, Bologna 1938, pagine 160-161
(6) Giosuè Carducci, Lettere Volume I 1850-1858, Nicola Zanichelli editore, Bologna 1938, pagine 165-166

domenica 13 marzo 2011

PER UNA NUOVA LETTURA ICONOGRAFICA DEL SANTUARIO DEL SANTISSIMO CROCIFISSO DI SAN MINIATO (seconda parte)

di Francesco Fiumalbi


Interventi correlati:
1) PER UNA NUOVA LETTURA ICONOGRAFICA DEL SANTUARIO DEL SANTISSIMO CROCIFISSO DI SAN MINIATO (prima parte)


Nella prima parte di questo intervento abbiamo trattato della costruzione del Santuario del Santissimo Crocifisso detto “di Castelvecchio” di San Miniato, facendo particolare attenzione alla valenza urbanistica che questo intervento ha comportato. Pur condividendo la definizione di “quinta urbana”, mutuata dall’esperienza teatrale del progettista Antonio Ferri, abbiamo anche visto quali sono le ipotesi riguardo alla lettura iconografica dell’edificio e del suo inserimento nel contesto urbano. Abbiamo proposto una trattazione fortemente critica riguardo alle parole del Vensi nell’800 e della Cristiani Testi (1) e, più recentemente, della Giusti (2): i riferimenti alla basilica del Santo Sepolcro, ai Martyrium bizantini, e alla Via Crucis ci paiono non del tutto convincenti. In particolare risulta evidente l’incongruenza delle tesi con l’apparato scultoreo;  l’accostamento della basilica costruita sul Monte Calvario con l’Apostoleion costantiniano è evidentemente un artificio narrativo, sia architettonicamente che iconograficamente parlando. In pratica, ci stiamo chiedendo quale “rappresentazione teatrale” sia stata effettivamente “mandata in scena”, basandoci soltanto sull’analisi della scenografia: la Via Crucis? Il Santo Sepolcro? Altro?

Il Santuario del SS Crocifisso di Castelvecchio
Foto di Francesco Fiumalbi

In questo intervento formuleremo la prima parte della nostra ipotesi, frutto dell’osservazione critica di tutti gli elementi presenti, sia singolarmente che nel contesto in cui si trovano, cosa che non ci sembra sia stata mai fatta fino ad ora. Probabilmente quanto si dirà non sarà condiviso da tutti, ma l’obiettivo è rinnovare l’invito alla ricerca continua, nel tentativo di carpire i significati e i diversi livelli di lettura dello spazio che ci circonda. Dobbiamo precisare che quanto si dirà è frutto dello sviluppo di alcune indicazioni e osservazioni di Don Luciano Marrucci. Dopo questa doverosa premessa, passiamo al tema vero e proprio.

Un aspetto che sicuramente non è stato considerato abbastanza è il plurisecolare rapporto fra l’istituzione comunale e il SS Crocifisso. Il proposto della Cattedrale Giuseppe Conti spiega che i sanminiatesi fecero “dopo il loro ingresso nella Lega guelfa toscana, fabbricare per detta Lega un nuovo palazzo del Popolo” e che “saviamente divisarono di comprendere nella sua pianta anche l’Oratorio del SS. Crocifisso” (3). Il Piombanti riflette su questa scelta e afferma che “(…) era costume dei magistrati di allora di farsi la cappella in palazzo, (…) sì perché conoscevano essere la religione la base di ogni pubblica e ben regolata amministrazione (…)” (4).
Il libero comune di San Miniato partecipò effettivamente ad una “lega” contro l’Impero, nel marzo del 1287. Grazie a questo accordo unito alla presenza di truppe fiorentine in città, a partire dal 1295, riuscirono a scacciare definitivamente i vicari imperiali (5). Questa “libertà”, pagata in seguito a caro prezzo, doveva essere salutata come una vero e proprio segno provvidenziale e per questo, sull’onda dell’entusiasmo, fu edificato il nuovo palazzo del Popolo. A tal proposito risulterebbe abbastanza plausibile la datazione della costruzione dell’Oratorio (poi “Loretino”), fra il 1285 e il 1295, proposta dal Lotti (6). Il palazzo doveva essere già essere in funzione nei primi anni del ‘300 come ricorda il notaio e cronista Giovanni di Lemmo Armaleoni da Comugnori (7). L’organizzazione dell’edificio comunale, nella sua fase iniziale, vedeva al piano terreno la Cappella del SS Crocifisso e due locali, che si disponevano secondo uno schema ad “L”; al piano superiore, accessibile da un’apposita scala esterna”, si trovava la Sala delle Udienze e le stanze del Cancelliere che si disponevano con la medesima distribuzione del piano inferiore (8).
Di questa nuova costruzione troviamo notizia anche negli Statuti comunali del 1337, chiamata “domo nova Leonis” (9), la nuova casa del Leone, con evidente richiamo allo stemma comunale.

Municipio di San Miniato
A piano terreno l’Oratorio del Loretino,
al primo piano la sala “storica” consiliare

Significative sono le parole del Piombanti che individua il legame fra religione e ogni pubblica e buona amministrazione. Infatti la Sala delle Udienze fu collocata esattamente al di sopra dell’Oratorio, a riconoscere fisicamente, ancor prima che idealmente, il ruolo di fondamento della religione sulle pratiche civiche. Infatti negli Statuti del 1337, a proposito dell’elezione dei Capitani e dei Consiglieri, si legge (10):
(…) Qui capitanei et consiliarii eligendi, ante introitum sui offitii, teneantur iurare corporaliter ad sancta Dei Evangelia, coram domino capitaneo populi vel eius offitialibus, eorum offitium bene et legaliter exercere (…).
In pratica, i Capitani e i Consiglieri eletti, prima di entrare in carica, dovevano giurare “fisicamente” sul Vangelo, alla presenza del Capitano del Popolo o dei suoi ufficiali, che avrebbero esercitato con giustizia e secondo la legge il proprio incarico. Era sicuramente una pratica diffusissima anche altrove, ma testimonia, se mai ce ne fosse bisogno, del legame tra religione e governo civico anche a San Miniato.

Facciamo un salto nel tempo di ben quattro secoli, catapultandoci agli inizi del ‘700. San Miniato, nel frattempo, era diventata sede di Diocesi nel 1622 (12) rimanendo comunque una cittadina di provincia, sede dei vicari fiorentini che controllavano l’amministrazione civica per conto del Granduca di Toscana. In questa epoca, il palazzo comunale andava piano piano espandendosi. Nel corso di tutto il ‘600 vi furono numerosi ampliamenti che portarono a ricavare a piano terreno l’archivio “grande” comunale e al piano superiore l’abitazione del Cancelliere. A lato, in direzione della “cittadella” era stata eretta una scuola (grosso modo dove adesso c’è l’Ufficio del Protocollo). Questo complesso si affacciava su di un “cortile pubblico”, collocato dove c’è l’attuale atrio di ingresso, delimitato rispetto alla strada da un muro, al quale si accedeva tramite una porta (11). Questa era sistemata esattamente dove oggi c’è il portone d’ingresso del Municipio, quindi in asse con il futuro complesso del Santuario del SS Crocifisso.

Ricostruzione della situazione del Palazzo del Comune di San Miniato durante la costruzione del Santuario del SS Crocifisso agli inizi del ‘700.
Disegno di Francesco Fiumalbi

Significativo era il potere granducale in merito alla nomina dei vescovi, infatti il Granduca, attraverso presentazioni raramente inevase, era il vero “creatore” dei Vescovi del Granducato (…) (13). Anche lo stesso Vescovo Poggi, promulgatore della costruzione del monumentale Santuario del SS Crocifisso era stato nominato su indicazione del Granduca Cosimo III, col quale intratteneva ottimi rapporti. Durante un incontro del 1705 il Poggi mostrò il progetto del Ferri al Granduca. Di questo episodio ce ne parla il “festaiolo” e “operaio” Bernardo Morali (14):
(…) mostrato al Serenissimo Duca Cosimo III il disegno del Tempio da erigersi, e richiesto dall’Altezza Sua Serenissima come mai volesse eseguirlo – che ben chiara si vedeva la spesa grande a tale edifizio necessaria, e già sapeva la mancanza degli assegnamenti – forte di viva fede nel suo Signore, rispose “Altezza Reale, Gesù Crocifisso, per sua misericordia, non ci abbandonerà di lume e di tutt’altro che possa bisognare a tal opera, che si fa per sua gloria!”. Il Granduca allora “Animo, dunque, Monsignore!” rispose. E tutto il ferro che a tal fabbrica d’uopo fosse, generosamente esibì e donò, con altre cose a ciò necessarie (…).

Sembrerebbe, quindi, che il ruolo del Vescovo fosse in qualche modo subalterno a quello propriamente politico-amministrativo esercitato dal Granduca. Più nei fatti che nell’assetto giurisdizionale dell’epoca.
Il complesso rapporto fra istituzioni civili da una parte, ed ecclesiastiche dall’altra, che andò delineandosi fra il ‘600 e il ‘700, fu contraddistinto da spinte riformistiche volte a rafforzare il potere giurisdizionale granducale. I fermenti antiromani serpeggiavano ovunque in Toscana, e si fondavano in special modo sulla dottrina teologica Giansenista. Gli effetti di questi impulsi portarono alla fine del ‘700 a significative riforme  come la soppressione delle compagnie laicali (fra cui anche l’Opera del SS Crocifisso), la riorganizzazione degli Ospedali (prevalentemente a cura di istituzioni religiose) e la drastica riduzione dei conventi femminili e maschili (15).

Il Palazzo del Comune di San Miniato dal terrapieno del Santuario
Foto di Francesco Fiumalbi

Un episodio significativo, già ricordato nella prima parte di questo intervento, è la scelta del sito per la costruzione. L’Opera del SS Crocifisso chiese ed ottenne di poter edificare la nuova chiesa nell’orto adiacente al Palazzo dei Priori, a patto che fossero trasferiti alla nuova chiesa i diritti di possesso già esercitati nell’antico oratorio e che si traducevano, in pratica, nella custodia delle chiavi della chiesa (16). Tuttavia, la storia non andò in questo modo: il Santuario non fu costruito accanto, bensì davanti all’attuale Municipio.
Le vicende settecentesche ci mostrano, in maniera abbastanza evidente, come il “potere” ecclesiastico si andasse riducendo, specialmente in termini di influenza sulla sfera civica. Nella scelta del sito della costruzione del nuovo e monumentale santuario potrebbe aver giocato un ruolo determinante anche questo aspetto, oltre agli altri motivi di natura propriamente stilistica e strutturale che abbiamo già affrontato nella prima parte. La necessità di staccare definitivamente la custodia della preziosa reliquia dall’amministrazione comunale e la ferma volontà di rimettere alcune cose in chiaro, oltre alla necessità “ufficiale” di sciogliere il cosiddetto “voto” espresso nei giorni dopo la peste del 1631. Il Santuario, infatti, è stato costruito ben al di sopra del piano stradale e questo potrebbe tradursi in un preciso monito: la chiesa sta al di sopra del governo degli uomini. Ma non sarebbe bastata la sola collocazione frontale, in una sorta di ideale contrapposizione: era necessario costruire una scena precisa, con un messaggio altrettanto preciso.
In cosa potrebbe consistere questo messaggio tradotto in comunicativo linguaggio architettonico? Quale monito potrebbe essere stato riferito alla cittadinanza tutta e ai pubblici amministratori in particolare?

NOTE BIBLIOGRAFICHE:
(1) Vensi Antonio, Materiali raccolti per formare il tomo I e II dei documenti per la storia di San Miniato da Antonio Vensi l'anno 1874, Accademia degli Euteleti, pag. 567, in Cristiani Testi Maria Laura, San Miniato al Tedesco, Marchi & Bertolli, Firenze, 1967, pag. 134.
(2) Giusti Maria Adriana, La chiesa del SS. Crocifisso di San Miniato, in Giusti – Matteoni (a cura di), La chiesa del SS. Crocifisso a San Miniato. Restauro e storia., CRSM, Allemandi, Torino, 1991, pagg. 30-32.
(3) Giuseppe Conti, Storia delle venerabile immagine dell’oratorio del SS Crocifisso detto di Castelvecchio nella città di San Miniato, San Miniato, 1915, pag. 24.
(4) Piombanti Giuseppe, Guida storico-artistica della città di San Miniato al Tedesco, Tip. Ristori, San Miniato, 1894, ristampa anastatica in Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, n. 44, 1975, San Miniato, pag. 98.
(5) Salvestrini Francesco, Il nido dell’aquila, in Malvolti-Pinto (a cura di), Il Valdarno Inferiore terra di confine nel Medioevo (secoli XI-XV), Olschki, Firenze, 2008, pag. 253.
(6) Lotti Dilvo, San Miniato. Vita di un’antica città, SAGEP, Genova, 1980, pag. 335.
(7) Giovanni di Lemmo Armaleoni da Comugnori (edizione a cura di Vieri Mazzoni), Diario (1299-1319), Olschki, 2008.
(8) Vigneri Emanuela e Giglioli Marco, Il Palazzo comunale di San Miniato, 700 anni di storia restauri e progetti, Pacini Editore, San Miniato, 1998, pagg. 15-16.
(9) Salvestrini Francesco (a cura di), Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco (1337), Edizioni ETS, San Miniato, 1994, Libro IV, rubr. 13, pag. 295.
(10) Salvestrini, Statuti…, Libro IV, rubr. 32 (34), pag. 323.
(11) Vigneri e Giglioli, Op. Cit., pagg. 14-30.
(12) Simoncini Vasco (a cura di), San Miniato e la sua Diocesi, CRSM, Edizioni del Cerro, Pisa, 1989, pagg. 21-33
(13) Simoncini, San Miniato…, pag. 81.
(14) Matteoli Anna, Arte e storia del Santuario del Santissimo Crocifisso a San Miniato, in Bollettino Accademia degli Euteliti, n. 45, 1976, pag. 36.
(15) Simoncini, San Miniato…, pagg. 99-104.
(16) Matteoni Dario, Il Vescovo e la Chiesa: una politica dell’immagine, in Giusti-Matteoni, Op. Cit., pag. 17.


domenica 6 marzo 2011

LO STEMMA DEL COMUNE DI SAN MINIATO

di Luciano Marrucci e Francesco Fiumalbi

Simbolo della comunità sanminiatese e del suo territorio, lo stemma nei secoli è sempre riuscito a tradurre in immagine l’origine passata, la fierezza contemporanea e l’ambizione per il futuro. Un emblema dietro al quale ripararsi nei momenti difficili e da portare con vanto in quelli più felici.
Oggi il significato attribuitogli è forse meno romantico di quello di un tempo, ma riscuote ancora il proprio tributo di fascino.

Stemma del Comune di San Miniato
Aut. Prot. N. 3302 del 9 febbraio 2011
E’ vietata la riproduzione

Lo stemma porta una leonessa quale effige. Secondo alcuni studi, mutò in leone nel 1355 quando il Comune si schierò con l’imperatore Carlo IV, il quale concesse ai sanminiatesi numerosi privilegi (1).  Tuttavia, in mancanza di "attributi" maschili, ancora oggi il simbolo è caratterizzato da una leonessa cosiddetta “rampante”: si tratta di un animale che esprime forza, coraggio e, soprattutto, nobiltà. La figura si sostiene in piedi con la sola zampa posteriore sinistra, mentre la destra è sollevata da terra. Le zampe anteriori sono distese in avanti e quella destra stringe, vigorosamente, una lunga spada. La leonessa si protende in avanti, come se stesse per acciuffare una preda. Infatti l’aggettivo “rampante” deriva dal latino rapiens che significa “che ghermisce”, ma anche “che conquista” (2). Lo Stemma contiene anche una frase:

“SIC NOS IN SCEPTRA REPONIS”

“Così ci restituisci agli antichi onori”
(G. Fumagalli, L’Ape Latina, Hoepli, Milano, 1975, n. 2403)

Esprime aspirazione presente a recuperare il prestigio passato. Aspirazione che oggi appare imprecisata in forza del difficile computo del dare e dell’avere scritto dalla storia.

Questa breve locuzione è in realtà una colta citazione: si tratta di cinque parole tratte dal primo libro dall’Eneide, poema scritto dal poeta e filosofo romano Virgilio (29-19 a.C.).
Dopo la terribile disfatta della città di Troia, Enea e i suoi seguaci partirono dalla Sicilia alla volta delle coste italiane. La dea Giunone venne a conoscenza che una stirpe troiana si recava verso le coste del Lazio per fondare un popolo che avrebbe mosso guerra per la rovina della Libia e della sua amata città di Cartagine. Adirata per ciò che sarebbe accaduto, istigò Eolo a scatenare contro gli esuli troiani una possente tempesta che costrinse loro, grazie al provvidente intervento di Nettuno, a fare naufragio sulle coste africane.
Venere, madre di Enea e mossa da sentimenti di pietà e indignazione allo stesso tempo, si rivolse a Giove chiedendo spiegazioni per aver lasciato operare Giunone contro gli esuli.

“(…) nos, tua progenies, caeli quibus adnuis arcem,
navibus (infandum!) amissis, unius ob iram
prodimuratqueItalis longedisiungimuroris.
Hic pietatis honos? Sic nos in sceptra reponis?”
(Virgilio, Eneide, Libro I, 249-253)

“(…) noi, tua progenie, cui prometti la fortezza del cielo, perdute (cosa indicibile!) le navi, per l'ira di una sola siamo traditi e siamo separati lontano dalle spiagge italiane. Questo il premio della virtù? Così ci restituisci agli antichi onori?”
(versione tratta parzialmente dal sito internet:
http://it-it.abctribe.com/versioni_latino/eneide/_gui_331)

A queste parole Giove, con fare paterno, si rivolse a Venere invitandola a risparmiare la paura, perché la stirpe riuscirà ad arrivare nel Lazio, dove fonderà Roma che sarà grande nel mondo.

Letta nel suo contesto, la locuzione appare quasi ironica, di sfida, dettata dalla disperazione. E’ però una frase interrogativa. Nello stemma del Comune di San Miniato la ritroviamo eguale, ma stavolta affermativa, quasi a non voler lasciare dubbi e a presagire futuri onori.
Chi può averla apposta? A quali onori potrebbe riferirsi? Ai fulgori della dinastia sveva? All’autonomia comunale? Ai vantaggi conseguiti sotto i Lorena?


Servigi e benefici erano legati assieme: quasi sempre il privilegio era pagato in sudditanza e la libertà scontata con le privazioni. Il Comune di San Miniato, già entrato dalla fine del XIII secolo nella sfera di influenza della Repubblica Fiorentina fu definitivamente conquistato da questa, al termine di un lungo assedio, nel 1369, e ne diventò un importante vicariato, mantenendo comunque gran parte dei privilegi (3). La nostra ipotesi si arricchisce di un successivo livello di riflessione: ironia verso un popolo che mai più avrebbe avuto la forza di rendersi autonomo, oppure la certezza di un futuro prestigioso all’interno di una crescente grandezza fiorentina o Toscana?
La storia è ben nota: San Miniato è sempre stata contesa dall’esterno, ancora più divisa dall’interno; incalzata dalle scelte e sopraffatta dai problemi reali ha dovuto imparare, come tanti altri centri della Toscana, che era impossibile scegliere al meglio il proprio destino e difficile seguire la propria vocazione.

La risposta corretta, forse, ci viene fornita dal Canonico Francesco Maria Galli Angelini nel testo "San Miniato, la sveva città del Valdarno", edito come numero 86 della raccolta "Le Cento Città d'Italia", pubblicato intorno al 1928. Secondo il l'autore la frase sarebbe stata inserita per volontà di Giovanni Persio Migliorati, alla fine del '700 per ingraziarsi i "Granduchi di Toscana" e dimostrare loro la devozione del popolo sanminiatese. In effetti, in quegli anni Pietro Leopoldo dette avvio ad un'importante stagione di riforme, che riguardarono un po' tutta la Toscana e anche San Miniato.

Il dubbio rimane, così come rimane questo stemma ambizioso, forse ironico, sicuramente affascinante. Sono caduti gli scettri e le corone, ma non il forte senso comunitario all’interno di una terra ricca di storia.

Questo intervento si pone come sviluppo di un articolo di Luciano Marrucci: Lo Stemma del Comune, in Fabrizio Mandorlini (a cura di), Almanacco Stradario del Comune di San Miniato 2000, FM Edizioni, San Miniato, 2000.
Si ringrazia l’Amministrazione Comunale di San Miniato, in particolare l’Assessore con delega alla Cultura Chiara Rossi, la Sig.ra Franca Giani dell’Ufficio Cultura e la Dott. Francesca Pinochi dell’Ufficio Stampa per il contributo nella realizzazione di questo intervento.


Note Bibliografiche:
(1) L. Passerini, Armi dei Municipi Toscani, Tipografia E. Ducci, Firenze, 1864, pagg. 158-159. In Lotti Dilvo, San Miniato. Vita di un’antica città, SAGEP, Genova, 1980, pag. 311.
(2) http://it.wikipedia.org/wiki/Leone_(araldica)(3) Salvestrini Francesco, Il nido dell’aquila, in Malvolti e Pinto (a cura di), Il Valdarno Inferiore terra di confine nel Medioevo (secoli XI-XV), Olschky Editore, Firenze, 2008
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